Il naufragio della Medusa, opera che sconvolse Parigi

Nel 1816 la morte di 140 persone abbandonate al loro destino su una zattera in balia dell’oceano sconvolse l’opinione pubblica francese e ispirò il più celebre dipinto di Géricault

Talvolta l’opera d’arte assurge a testimone della storia. Nulla è più vero nel caso del drammatico episodio rievocato nel famoso quadro del francese Jean-Louis-Théodore Géricault, La zattera della Medusa, a cui il pittore deve gran parte della sua fama. Esposta per la prima volta nell’agosto del 1819, al Salon di Parigi (un’esposizione temporanea degli artisti viventi organizzata al Louvre), l’opera destò grande scalpore, rendendo nota una drammatica vicenda che mostrava il volto peggiore del sistema sociale allora dominante in Francia.

Autoritratto di Jean-Louis-Théodore Géricault. Olio su tela, 1808

Autoritratto di Jean-Louis-Théodore Géricault. Olio su tela, 1808

Foto: Joseph Martin / Album

Lo sfondo è quello dei primi anni della Restaurazione, il regime sorto nel 1815 dopo la definitiva sconfitta di Napoleone e la restaurazione sul trono di Francia del ramo primogenito dei Borbone. Nel giugno del 1816 la fregata ammiraglia Medusa salpò dall’isola d’Aix, situata lungo la costa atlantica francese, alla testa di una flotta diretta a Saint-Louis, in Senegal, dove una colonia caduta in mano agli inglesi durante le Guerre napoleoniche era stata appena restituita alla Francia. Della spedizione facevano parte militari, ma anche funzionari civili con i loro familiari e numerosi coloni. Il più illustre tra i passeggeri imbarcati sulla Medusa era il colonnello Julien-Désiré Schmaltz, da poco nominato governatore del Senegal da Luigi XVIII.

Il comando della fregata ammiraglia era stato affidato all’ufficiale di marina Hugues Duroy de Chaumareys, un vecchio capitano emigrato al tempo di Napoleone che non navigava da oltre vent’anni, i cui unici meriti erano l’ascendenza aristocratica e un’indiscussa fedeltà alla Corona. Nel corso della spedizione egli avrebbe commesso più di un errore. Innanzitutto, per giungere quanto prima a destinazione, impose una veloce andatura alla nave, che distanziò così di molte miglia il resto della flotta. Poi, privo di carte nautiche aggiornate e incurante dei suggerimenti degli ufficiali più esperti, de Chaumareys sbagliò rotta, portando la Medusa ad arenarsi sulle secche del Banc d’Arguin, al largo della Mauritania. Era il 2 luglio. Fallito ogni tentativo di disincagliarla, due giorni dopo fu presa la drammatica decisione di abbandonare la nave, benché fosse chiaro a chiunque che le scialuppe non sarebbero state sufficienti per tutte le quattrocento persone a bordo.

La lotta per sopravvivere

Sulle scialuppe s'imbarcarono 250 persone, tra cui de Chaumareys, che non esitò a mettersi in salvo per primo con la moglie e la figlia, gli alti ufficiali e alcuni notabili con le loro famiglie e i loro bagagli. I restanti 150 passeggeri, tra marinai e militari, invece, furono costretti a salire su una zattera di fortuna di venti metri per sette, costruita in fretta e furia con alcune travi della nave. La zattera avrebbe dovuto essere trainata da una delle scialuppe fino alla costa africana, ma poco dopo l’inizio della navigazione le funi che la tenevano agganciata furono cinicamente recise e i suoi occupanti vennero abbandonati alla deriva nell’oceano aperto, in condizioni spaventose.

Uno dei tanti schizzi preparatori realizzati da Géricault prima della versione definitiva del dipinto. Louvre, Parigi

Uno dei tanti schizzi preparatori realizzati da Géricault prima della versione definitiva del dipinto. Louvre, Parigi

Foto: Musée du Louvre / Rmn

La zattera si trasformò in un inferno: fame, sete, risse e suicidi segnarono ben presto le ore dei naufraghi. Dei 150 uomini che si trovavano sull’imbarcazione, venti morirono già la prima notte e quasi la metà sarebbe finita in mare in seguito ai litigi tra gli sventurati occupanti. Il peso eccessivo, infatti, inclinava pericolosamente la zattera, e tutti volevano conquistarsi un posto più sicuro al centro.

La lotta per la sopravvivenza era continua e, poiché le provviste erano molto scarse, le persone deboli, malate o ferite venivano gettate in mare senza alcuna pietà. Dopo aver esaurito il carico di vino, i naufraghi dovettero bere acqua salata, se non la loro stessa urina, e al nono giorno i sopravvissuti, stremati dalla fame, si diedero al cannibalismo. Infine, il tredicesimo giorno, dopo che i più erano morti di stenti o si erano gettati in mare in preda alla disperazione, un pugno di superstiti venne tratto in salvo dal brigantino Argus. Quest’ultimo, peraltro, era stato inviato da de Chaumareys non già per soccorrere i naufraghi, ma per recuperare un forziere pieno d’oro che era stato lasciato nello scafo della Medusa. Dei quindici uomini rimasti in vita, cinque morirono poco dopo aver raggiunto la terraferma.

Lo scandalo scoppiò il 13 settembre, quando il quotidiano antiborbonico Journal des débats pubblicò una relazione dell’ufficiale medico Henri Savigny, uno dei sopravvissuti, che raccontava l’atroce esperienza. La sua, insieme con quella di un altro superstite, l’ingegnere geografo Alexandre Corréard, salito sulla zattera volontariamente per non abbandonare gli uomini che lavoravano con lui, fu la voce che si levò più alta a testimoniare il disastro della Medusa. Il resoconto di un naufragio in cui l’imperizia si era accompagnata a decisioni ciniche e di parte, scritto da Savigny e Corréard, uscì nel 1917 con il titolo Naufragio della fregata Medusa. La memoria metteva in luce l’inettitudine e la codardia del capitano e la violenza e la sopraffazione che regnarono sulla zattera. L’eco della tragedia suscitò un’ondata di sdegno e commozione in Francia: pamphlet, opuscoli e incisioni rievocavano i drammatici eventi in ogni minimo dettaglio.

Frontespizio della relazione sul naufragio della Medusa di Corréard e Savigny, 1817

Frontespizio della relazione sul naufragio della Medusa di Corréard e Savigny, 1817

Foto: Getty Research Institute

Gli oppositori liberali al regime borbonico sottolinearono innanzitutto la discriminazione subita dai non privilegiati e ne approfittarono per denunciare l’inadeguatezza della restaurata monarchia. La vicenda ebbe strascichi politici e giudiziari: il ministro della Marina dovette dimettersi e de Chaumareys fu condannato a tre anni di detenzione.

Il naufragio della Medusa e la sua cinica gestione, metafora delle ingiustizie sociali del Paese, ebbero strascichi politici e giudiziari

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Un’opera rivoluzionaria

In quest’atmosfera carica d’indignazione, Jean-Louis-Théodore Géricault, appena ventisettenne, decise d'immortalare la vicenda del naufragio in un quadro di grandissime proporzioni. All’epoca l’artista aveva già attirato l’attenzione dei critici partecipando, pur senza successo, al concorso del Prix de Rome, che finanziava un soggiorno di studi di quattro anni nella Città eterna. Ambiva a realizzare un’opera che potesse fargli conquistare la fama, e un tema di scottante attualità gli parve l’occasione giusta.

Nel novembre del 1818 lasciò la sua piccola bottega di rue des Martyrs per stabilirsi in un ampio atelier nel Faubourg du Roule, dove avrebbe avuto spazio sufficiente per dipingere la sua grande tela, di sette metri per cinque. La preoccupazione per la verosimiglianza spinse Géricault a incontrare personalmente Savigny e Corréard e a farli posare. Non solo: commissionò a un falegname superstite della Medusa un modellino della zattera, che provò in acqua per apprezzarne le modalità di galleggiamento e le possibilità di manovra; osservò poi il moto delle onde direttamente in mare. Infine l’artista francese ritrasse in una serie di bozzetti preparatori – caratterizzati da un realismo sconvolgente – parti anatomiche e dettagli di cadaveri osservati all’obitorio o fatti recapitare nel suo studio, dove, secondo Charles Clément, il biografo dell’artista, regnava un fetore atroce.

L’opera di Géricault incarna alla perfezione lo spirito romantico per l’attualità del tema trattato e la forza drammatica della rappresentazione

L’opera di Géricault incarna alla perfezione lo spirito romantico per l’attualità del tema trattato e la forza drammatica della rappresentazione

Foto: Joseph martin / Album

A lungo incerto circa il soggetto del dipinto, Géricault lavorò contemporaneamente su temi diversi, dal momento del salvataggio agli episodi di cannibalismo verificatisi durante i tredici giorni in cui la zattera vagò alla deriva. Alla fine, scelse di fissare sulla tela una scena densa di pathos: il momento del primo avvistamento dell’Argus che i naufraghi, ormai allo stremo, scorsero in lontananza senza riuscire a segnalare la loro presenza.

Il manifesto del Romanticismo

La tela, che fu presentata con il prudente titolo Scena di naufragio, suscitò grande clamore e aspre critiche. Le opinioni riflettevano opposti orientamenti politici: i critici conservatori rimasero scandalizzati dal forte realismo dell’opera, che giudicarono oscena e del tutto estranea all’ideale di bellezza classica, mentre i liberali scorsero nel dipinto una condanna del regime e delle sue profonde ingiustizie sociali, la metafora di un’intera nazione alla deriva.

Per la violenta drammaticità e lo straordinario realismo, la tela divenne un vero e proprio manifesto della pittura romantica, veicolo di passioni e di forte tensione emotiva. Dinanzi a essa il conte Arsène O’Mahony avrebbe esclamato: «Che spettacolo ripugnante, ma che opera magnifica!».

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