Dal 1998 si ritrovano in Salento centinaia, se non migliaia, di persone, accorse da ogni parte d’Italia per ascoltare e ballare nella Notte della Taranta sui ritmi forsennati di pizziche e tarantelle. Il festival si svolge nel mese di agosto e culmina in un concerto presso Melpignano, in provincia di Lecce. Il simbolo che campeggia sul palco è un ragno dalle zampe arcuate, che richiama il tarantismo, fenomeno ormai pressoché scomparso e tipico della Grecía salentina, ossia di quei territori nel sud dell’Italia dove, migliaia di anni fa, i greci fondarono diverse colonie.
Ed è proprio alla cultura greca che alcuni studiosi fanno risalire l’origine di tale arcaico rito coreutico-catartico, in cui una persona si dimena al ritmo della musica sino a liberarsi dal veleno del ragno che, in teoria, l’ha morsa. Vi è chi l’avvicina alle menadi greche, chi al mito della vergine tessitrice trasformata da Atena in ragno, Aracne; vi è ancora chi riconosce una probabile derivazione greca, ma non menadica, e chi sottolinea, invece, i presunti legami del tarantismo con lo scontro tra due culture – quella islamica e quella cristiana – ai tempi delle crociate, quando il Salento era terra di approdo e partenza per i cavalieri diretti verso le “terre degli infedeli”.
Ma, al di là delle origini incerte, che forse potrebbero contemplare ciascuna delle ipotesi formulate dagli studiosi, cosa è davvero il tarantismo? E come venne percepito nel corso dei secoli?

Tarantata a Lizzano (TA) durante il rito di guarigione dal tarantismo, presso la masseria San Vito. 195o circa. Ciro de Vincentis, Grottaglie
Foto: © Alfredo Majorano, shorturl.at/wDHPQ
Le prime comparse del fenomeno
Del tarantismo già si parla nel periodo compreso tra il IX e il XIV secolo, e il più antico documento che fornisce una testimonianza a tal riguardo è il Sertum papale de Venenis, redatto nel 1362, il quale afferma che «coloro che sono morsi dalla tarantula traggono massimo diletto da questa o quella musica». A parlarne sarà, negli stessi anni, anche il medico Cristoforo degli Onesti in un trattato, De venenis, e perfino Leonardo da Vinci inserirà il fenomeno tra le sue riflessioni.
A quell’epoca il tarantismo si era ormai diffuso in tutta l’Italia meridionale, in forme a volte leggermente diverse tra di loro (per esempio la giocosa tarantella napoletana), e prevedeva il ricorso a danze vivaci e ritmate per guarire il morso di un ragno, che sembrava colpire particolarmente le donne. Tramite la musica si cercava perciò di curare chi mostrava i segni di un’intossicazione da veleno di ragno.
Per questo, nel corso della storia, alcuni scienziati si concentrarono più l’aspetto della terapia musicale, ossia sugli effetti che la danza e la musica avevano sul corpo e sulla mente, mentre i medici indagarono il carattere della malattia e le cause di tale disturbo. Si chiesero infatti se alla base delle persone cosiddette tarantate vi fosse uno stato tossico derivante dal morso di un aracnide o fosse, invece, un disordine di natura psichica. Perché, se da un lato è vero che ragni quali il Latrodectus tredecimguttatus o la Lycosa tarantula potevano, con un morso, indurre contrazioni e spasmi muscolari, era pure strano che tale fenomeno affliggesse prevalentemente le donne. E d’estate, a lavorare nei campi o con le foglie di tabacco, non vi erano solo le figure femminili, ma anche gli uomini, che più spesso sembravano immuni allo stato di trance, allucinazioni e spasmi.

Probabilmente la prima illustrazione della leggenda del tarantismo, causato dalla Lycosa tarantula. Illustrazione tratta dal volume 'Magnes: sive de Ars Magnetica'. Athanasius Kircher, 1643, Roma
Foto: World History Archive / Cordon PressProbabilmente la prima illustrazione della leggenda del tarantismo, causato dalla Lycosa tarantula. Illustrazione tratta dal volume 'Magnes: sive de Ars Magnetica'. Athanasius Kircher, 1643, Roma
Il discorso si complicò ancor di più con l’intervento della Chiesa, che cercò di “addomesticare” al culto di san Paolo quello che pareva essere un rito pagano: richiamandosi agli Atti degli Apostoli, in cui si afferma che san Paolo uscì indenne dal morso di una vipera, e calendarizzando la festa di guarigione definitiva al 29 giugno, giorno del santo, cercò quindi di unire fede e superstizione, paura e speranza. E così, nelle pratiche del tarantismo, studiate e documentate a Galatina (Lecce) dall’etnologo Ernesto De Martino e dalla sua équipe nel giugno e luglio del 1959, sin da secoli era già comparsa la figura salvifica di san Paolo.
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Il rito del tarantismo
In cosa consisteva quindi il rito? Come testimoniano De Martino, la sua squadra e il regista Gianfranco Mingozzi, d’estate, nelle zone più povere e arretrate del Salento, alcune donne iniziavano a percepire i sintomi del morso: malessere, isterismo, convulsioni. Per cercare di guarirle si praticava una sorta di esorcismo musicale-coreutico casalingo, svolto allora il 28 giugno: le tarantate erano disposte in un vano oscuro della casa – all’inizio il rito avveniva all’aperto –, e giacevano su lenzuola adagiate sul pavimento. Accanto a loro erano collocati un cestino per le offerte e immagini di san Pietro e san Paolo dai colori vistosi. Non solo: le tarantate – erano sempre perlopiù donne – potevano scegliere un fazzoletto da legare in vita o tenere in mano, di un colore simbolico: rosso, o verde, o blu. Questo richiamava il colore dell’aracnide che, in teoria, le aveva fatte ammalare. Da lì partiva la musica, in genere rappresentata da un violino, una fisarmonica e un tamburello, strumenti tipici della zona. Gli esperti suonatori intonavano le prime note di una pizzica, o di una tarantella, e la tarantata iniziava ad agitarsi solo al ritmo della composizione che sentiva consona a eliminare il suo malessere. Si dimenava quindi nello spazio del lenzuolo, si alzava, si rotolava a terra, con movimenti convulsi e volti a eliminare il veleno (reale o simbolico). A volte riusciva a guarire, spesso no. Si rivolgeva quindi a un’effigie di san Paolo, dialogandovi e chiedendo quale potesse essere la cura per il suo stato. Da fuori la gente assisteva a tale sfrenata danza, che aveva qualcosa di erotico e dissennato.
Il 29 giugno, il giorno seguente – siamo sempre a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta –, donne malate confluivano da tutto il Salento alla cappella di San Paolo a Galatina, dove bevevano dal pozzo l’acqua destinata a far scomparire i sintomi. Si assisteva a scene di delirio, malessere, urla, in gran parte funzionali al rito di guarigione. Seguivano poi le feste, a ritmo della musica. Alcune donne si riavevano, altre si preparavano a essere morse di nuovo l’anno seguente.
Cosa c’era dietro il tarantismo?
Le spiegazioni al fenomeno del tarantismo potevano e possono essere molteplici: escluso probabilmente il morso da parte del ragno, De Martino suggeriva che potesse essere legato a uno stato di malessere interiore, all’infelicità per le condizioni di vita infime, al bisogno d’attenzione. Nella psichiatra si riteneva e ritiene che potesse essere associato pure a conflitti latenti dell’inconscio e a una costrizione di tipo morale: la danza permetteva alle donne di affrancarsi e sentirsi libere di muoversi in modo quasi orgiastico, per compiere anche un rito di passaggio verso la vita adulta. Ne sarebbe la riprova il fatto che, delle trentasette persone analizzate dall’équipe di De Martino, ben trentadue fossero donne. Proprio per tale ragione, nel 1962, lo studioso scrisse un libro fondamentale, La terra del rimorso, in cui metteva in luce alcuni fenomeni e coincidenze tipici del tarantismo, tra cui la giovane età delle malate, la recrudescenza ciclica, l’ora del giorno in cui sarebbe avvenuto il morso (le dodici) e l’esorcismo avvenuto grazie alla musica e a san Paolo.
Al di là delle vere cause che spingessero le tarantate, del tarantismo autentico sono rimasti il ritmo meraviglioso che continua a coinvolgere ed esaltare, le melodie travolgenti, nonché l’effetto catartico e liberatorio che solo pizzica e tarantella riescono ancora oggi a sprigionare.
Per saperne di più
La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud. Ernesto De Martino. Milano, Il Saggiatore, 2015.
Il tarantismo oggi. Antropologia, politica, cultura. Giovanni Pizza. Roma-Bari, Carocci, 2015.
Morso d’amore. Viaggio nel tarantismo salentino. Luigi Chiriatti. Lecce, Kurumuny, 2011.
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