Il Milite Ignoto, il soldato che commosse l'Italia

Il 4 novembre 1921 nell'Altare della Patria fu sepolta la salma di un soldato sconosciuto caduto nel corso della Prima guerra mondiale. La selezione, la scelta e il viaggio di questa anonima vittima della Grande guerra fecero stringere il cuore di migliaia d'italiani

15-24 giugno 1918. L’esercito italiano respinge l’ultima offensiva austriaca della Prima guerra mondiale oltre il Piave e il fiume diventa la linea di demarcazione fra la vittoria e la sconfitta. Oltre le sue acque il nemico non può fare un passo avanti. A Fagarè della Battaglia (Treviso) la propaganda militare scrive su una casa sventrata da una bomba: «Tutti eroi! O il Piave, o tutti accoppati!». Sono i giorni del sangue e della gloria. È la seconda battaglia del Piave che il poeta Gabriele D’Annunzio ribattezzerà battaglia del Solstizio. «Nessuno aveva più di vent’anni – scriverà poi – anche i veterani avevano vent’anni. Tutta l’Italia aveva vent’anni per combattere, per vincere, per vivere, per morire». Perché in quei giorni tutta la nazione è idealmente sul Piave. E idealmente c’è pure Giovanni Ermete Gaeta, un impiegato postale napoletano, paroliere e compositore. Ispirato dagli eventi del Solstizio, nella notte fra il 23 e 24 giugno Gaeta scrive di getto su dei moduli postali la canzone La Leggenda del Piave. Si firma con lo pseudonimo di E.A. Mario. Non lo sa ancora, ma ha appena composto un capolavoro che diventa subito popolarissimo e che assume un alto significato patriottico. La melodia e le parole hanno un effetto talmente dirompente sul morale dei soldati che il generale Armando Diaz, comandante supremo del Regio Esercito, gli telegrafa: «Mario, la vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale!». I luoghi delle battaglie, il Piave e la canzone di E.A. Mario, ritorneranno ancora nell’ottobre 1921, quando inizierà la storia del Milite Ignoto. Perché, in quei giorni, reduci e soldati, donne e bambini, decorati e mutilati, tutti intoneranno La Leggenda del Piave.

Scritta sulla parete di una casa sventrata dalle bombe a Fagarè della Battaglia

Scritta sulla parete di una casa sventrata dalle bombe a Fagarè della Battaglia

Foto: Pubblico dominio

Il simbolo di un sacrificio collettivo

Agosto 1920. Il colonnello Giulio Douhet, fondatore dell’Unione Nazionale Ufficiali e Soldati, propone di tributare solenni onori alla salma di un soldato che rappresenti «il figlio e il fratello di tutti coloro che morirono per difendere la Patria». È il simbolo del lutto e del sacrificio collettivo sostenuto dalla nazione. Il dibattito si traduce quindi in una proposta di legge presentata al parlamento il 28 luglio 1921 da Cesare Maria De Vecchi, deputato ex combattente e pluridecorato. Si delibera di seppellire il 4 novembre, anniversario della vittoria, la salma di un soldato sconosciuto all’Altare della Patria. La legge è approvata a tempo di record. Il 5 agosto passa alla Camera, il 10 al Senato, i contrari sono appena 35 e l’11 agosto è promulgata.

Luigi Gasparotto, Ministro della Guerra, volontario che si è guadagnato ben tre medaglie al valore, si prodiga totalmente per renderla operativa. Dispone pertanto che una speciale commissione militare ricerchi e riesumi undici salme di soldati italiani ignoti, una per ogni settore avanzato degli undici campi di battaglia lungo i circa 700 chilometri dell’ex fronte italiano. Si cerca anche fra i caduti della Regia Marina includendo le zone da Castagnevizza all’Adriatico. Le istruzioni sono chiare: esumare solo corpi da tombe isolate o, qualora impossibile, da cimiteri di guerra; non ci deve essere nessun elemento identificativo nei corpi che possa ricondurre al reparto di appartenenza o all’identità del caduto. La commissione, comandata dal generale Giuseppe Paolini, è composta da uomini scelti tra i più decorati, come il tenente Augusto Tognasso, pluridecorato e invalido di guerra che ha riportato ben 36 ferite. Il suo diario, scritto durante le ricerche, diventerà poi il libro Ignoto Militi.

Ricerche di salme di caduti ignoti in un cimitero. Augusto Tognasso, 1922

Ricerche di salme di caduti ignoti in un cimitero. Augusto Tognasso, 1922

Foto: Pubblico dominio

La ricerca del Milite Ignoto nei campi di battaglia

Il compito degli uomini di Paolini è straziante: tornare nei luoghi dove sono scampati alla morte per cercare un compagno caduto fra tanti altri. Tutti loro giurano solennemente di non rivelare mai il luogo preciso di provenienza delle salme. Dal 3 al 27 ottobre la commissione batte la zona di Rovereto, i monti Pasubio, Ortigara e Grappa, le zone di Conegliano, Cortina e Caposile, i monti Rombon, San Marco, Ermada e poi Castagnevizza. Da alcuni cimiteri di guerra vicino alle trincee si riesumano alcune salme da tombe di soldati ignoti. Nei pressi di Asiago, mentre si avviano verso il paese con la salma appena recuperata, un gruppo di donne sbarra il passo gridando: «Nessuno ha il diritto di asportare quelle reliquie da quei luoghi – come annota Tognasso nel suo diario –, quei fanti sono morti per difendere le nostre case e i nostri bambini». Paolini media e si concorda che siano gli ex combattenti del posto a portare a spalla la salma. Anche sul Montello, malgrado le ricerche, si devono riesumare i resti da un cimitero di guerra. Altri corpi sono poi esumati dalla zona di Conegliano, del Piave e Cortina. Le salme recuperate giungono provvisoriamente a Udine. La partecipazione popolare è immensa: oltre 14.000 persone firmano i registri nella camera ardente. «Le donne in ginocchio chiamavano per nome un caro perduto – scrive Tognasso –, per l’aria si spandevano le note della Canzone del Piave e la popolazione gettava rose sulle bare».

Ma a Castagnevizza, alla riesumazione della salma ignota, la commissione ha un crollo emotivo: diversi componenti hanno infatti combattuto lì. «Ognuno di essi stringeva forte i denti – annota Tognasso – affinché il singhiozzo non rompesse il silenzio della meditazione. Poi all’improvviso il generale Paolini, che in quell’area perse numerosi uomini, cede e commosso ordina agli altri ‘In ginocchio!’ mentre il cappellano impartisce la benedizione». Vicino al Timavo si riesuma l’ultimo ignoto. Le undici salme sono quindi trasferite nella basilica di Aquileia come da disposizioni. La scelta non è casuale. Assieme a Trento, Trieste e Gorizia, Aquileia fa parte delle città irredente che l’Italia ha strappato all’Austria. Lungo il tragitto verso la città friulana la gente lancia fiori, si inginocchia, offre corone di alloro. Una recita: «Al Soldato Ignoto, la vedova Clavos». È la moglie di un goriziano arruolato nell’esercito austriaco che sorpreso a parlare in italiano ha replicato: «Parlo italiano perché sono italiano. Viva l’Italia!». È fucilato per tradimento. Tognasso riporta che «tra la folla alcune vedove sollevano i propri bambini verso i feretri: ‘Bacia il papà!’ dicevano». Giunte ad Aquileia, le bare, identiche per forma e dimensione, sono allineate ai lati dell’altare. Nessuno deve riconoscere il luogo di esumazione; nemmeno i componenti la commissione. Questi, infatti, conoscendo le bare potrebbero magari notare una particolare venatura nel legno o la posizione dei chiodi che farebbe risalire al luogo di esumazione del caduto. Tognasso dunque dispone di cambiare la posizione delle casse ad ogni cambio di guardia.

L'affusto di cannone che trasportò la bara del MIlite Ignoto

L'affusto di cannone che trasportò la bara del MIlite Ignoto

Foto: Alberto Cauli

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La scelta del Milite Ignoto

A scegliere la salma da tumulare a Roma è una madre, in rappresentanza di tutte le madri d’Italia, indicata da un’apposita commissione. La selezione però non è semplice. Numerose sono le storie di madri che hanno perso un figlio. Come Anna Visentini Feruglio, madre di due caduti di cui uno disperso, oppure una madre poverissima che pur di cercare il corpo del figlio va a piedi da Livorno a Udine. Un’altra assiste invece a 150 esumazioni sperando di identificare i resti del proprio ragazzo. Alla fine, la scelta ricade su Maria Bergamas, di Gradisca d’Isonzo. È la madre di Antonio Bergamas, un fervente irredentista che nel 1915 diserta l’esercito austriaco arruolandosi volontario in quello italiano col nome fittizio di Antonio Bontempelli. Se catturato, infatti, sarebbe fucilato per tradimento visto che è un suddito austroungarico. «Quando tu riceverai questa mia – scrive alla madre – io non sarò più. Forse tu non comprenderai questo. Ma credilo mi riesce mille volte più dolce il morire in faccia al mio paese natale, al mare nostro, per la patria mia naturale, che il morire laggiù nei campi ghiacciati della Galizia o in quelli sassosi della Serbia, per una patria che non era la mia e che io odiavo». Cade il 18 giugno 1916 sul pianoro della Marcésina (tra Vicenza e Trento). È dichiarato disperso in seguito a un bombardamento che distrugge il cimitero dove è sepolto.

La mattina del 28 ottobre 1921, ad Aquileia, le bare sono benedette con l’acqua del fiume Timavo; quindi, Maria Bergamas cammina dinanzi ai feretri. «Lasciata sola parve per un momento smarrita, teneva una mano stretta al cuore, mentre con l’altra stringeva nervosamente le guance», racconta Tognasso. Giunta di fronte alla penultima bara grida il nome del figlio prima di «cadere prostrata in ginocchio abbracciando con passione quel feretro. Il rito era compiuto». Fuori la banda della Brigata Sassari, l’unica brigata dell’esercito decorata di due medaglie d’oro nella stessa campagna di guerra, intona La Leggenda del Piave.

Il vagone del treno che trasportava verso Roma la salma del Milite Ignoto. 1921

Il vagone del treno che trasportava verso Roma la salma del Milite Ignoto. 1921

Foto: Pubblico dominio

Da Aquileia a Roma

Stazione di Aquileia, 29 ottobre 1921. La bara del Milite Ignoto è posta sull’affusto di un cannone su di un carro appositamente progettato. Un gruppo di ferrovieri, tutti decorati al valor militare, conduce lo speciale convoglio verso Roma. Autorità, madri e vedove, soldati e giornalisti prendono posto sul treno. Quindici carri speciali raccolgono le corone offerte dai tanti comuni lungo il tragitto. Durante il viaggio tocca aggiungerne altri quindici, tante sono le corone. All’arrivo se ne conteranno ben 1.500. Nel silenzio delle stazioni, banditi espressamente i discorsi ufficiali, il raccoglimento è rotto solo dall’unica musica autorizzata: La Leggenda del Piave. «Il treno glorioso – scrive Achille Benedetti sul Giornale d’Italia – viaggia attraverso i territori della nostra guerra, da Aquileia al sacro Piave», attraversa la nazione tra bandiere abbassate e folle «d’ogni classe sociale giunta dai paesi più interni». Quindi Udine, Pordenone, Conegliano, Treviso e poi Venezia, Padova, Rovigo, Ferrara, Bologna, Firenze e Arezzo. A Ponte della Priula il convoglio attraversa il Piave. In un gesto altamente simbolico, il capitano Raffaele Paolucci, che il 1 novembre 1918 ha affondato la corazzata austriaca Viribus Unitis, getta un mazzo di fiori nel fiume. Ma c’è soprattutto, scrive Benedetti, «un’Italia paesana tutta inginocchiata e piangente verso la salma». Qui, nei paesini che resterebbero altrimenti ignoti se non fosse per la cronaca di quei giorni, la commozione popolare è più intima. Come a Fontanafredda, dove non c’è una banda e sono alcune persone a intonare spontaneamente la canzone del Piave al passaggio del treno. Una maestra intanto incita gli scolari a urlare la parola ‘Italia’. Ancora, a Borgo Panigale quattro soldati improvvisano La Leggenda del Piave con un mandolino e una chitarra. Oppure a un passaggio a livello, dove alcuni salutano il treno coi fazzoletti, il Corriere della Sera riporta: «Sembrava salutassero un loro caro che aspettavano da tanto tempo».

Cerimonia di tumulazione del Milite Ignoto al Vittoriano a Roma. 4 novembre 1921

Cerimonia di tumulazione del Milite Ignoto al Vittoriano a Roma. 4 novembre 1921

Foto: Pubblico dominio

Nei pressi di Bologna un mutilato di guerra, paralizzato su di una barella, ha viaggiato appositamente da Riolo (Modena) per ‘salutare’ il feretro del fante ignoto. A Bologna invece un cieco di guerra è accompagnato davanti al feretro: «Una donna gliene descrive l’ornamento. Egli ascoltava in silenzio. D’un tratto uno sfogo di pianto vinse quell’Eroe superstite che chiese di poter baciare la bara. Immediatamente fu esaudito». Ad Arezzo il convoglio appena partito deve subito rifermarsi perché un gruppo di bambini orfani depongano dei fiori sul feretro. «La presenza di quei piccoli devoti strinse il cuore di tutta la folla che, spontaneamente, con movimento uniforme s’inginocchiò», si legge ancora nel testo di Tognasso. A Ficulle un prete s’improvvisa direttore d’orchestra dirigendo la banda che intona la canzone del Piave, mentre ad Allerona il capo stazione rimane in ginocchio mentre fischia per far partire il treno. E poi ci sono oltre 23.000 cartoline inviate per 1 Lira in favore del Milite Ignoto da tutta Italia. È un’iniziativa benefica per gli orfani di guerra, ma testimonia la partecipazione collettiva al rito del Milite Ignoto. I pensieri sono svariati. Carlo Fanna da Udine scrive: «A te, o milite ignoto, che tutto hai dato per la patria», mentre Pina Budon da Trieste esprime il suo «Pensiero di riconoscenza a quanti si sacrificarono per la nostra redenzione». Si cita anche l’Eneide di Virgilio, come scrive Luigi Piazza da Belluno: «Manibus date lilia plenis» – letteralmente ‘Versate gigli a piene mani’. Ancora i fratellini Giovannino e Raimondo Mulas di Sassari: «Siamo bimbi, ma il nostro tenero cuoricino ha oggi per te un palpito più intenso, più buono, più santo». Non manca, infine, chi testimonia il proprio lutto, come Emilio Varzi di Cagliari: «Agli orfani di guerra nulla deve diniegare. Per la grandezza dell’amata patria pagai il contributo con la perdita del mio figlio Luigi sottotenente Brigata Sassari e del mio genero tenente Dessy Ennio».

“Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà”

Ci vogliono quattro giorni e 120 soste in altrettante stazioni per giungere il 2 novembre a Roma. Alla stazione Termini, il re Vittorio Emanuele III con le autorità civili e militari accoglie il feretro. Intorno migliaia di persone assistono silenziosamente. La bara è portata nella basilica di Santa Maria degli Angeli, dove un pellegrinaggio costante di cittadini gli rende omaggio per due giorni. L’organizzazione della cerimonia è impressionante, una mappa a colori indica la disposizione dei partecipanti all’Altare della Patria. Il mattino del 4 novembre la cassa avvolta dal tricolore, con sopra un elmetto da fanteria e un fucile, è posta su un affusto di cannone trainato da cavalli verso Piazza Venezia. Ovunque ci sono tricolori. Circa un milione di persone assiste alla parata, almeno 150 mila seguono il feretro. Ci vogliono due ore per giungere nella piazza, dove la tumulazione avviene alle 10:30. A quell’ora le campane di tutte le chiese d’Italia risuonano per trenta minuti. Nei distretti e nei presidi militari si sparano 21 salve. In tutti i comuni si depongono corone d’alloro sui monumenti ai caduti. Il corteo giunge quindi ai piedi dell’Altare della Patria. Un gruppo di pluridecorati porta il feretro sulle spalle e sale le scale del monumento fra due ali di bandiere abbassate. Deposta la bara nel loculo in cima alla scalinata, il ministro della Guerra ci appunta sopra la medaglia d’oro al valor militare concessa dal re al Milite Ignoto: «Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà – recita la motivazione – resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria». Poi, un congegno meccanico solleva la pesante lastra di marmo con l’iscrizione in latino Ignoto Militi, ‘Al Milite Ignoto’, il sacello si chiude e il feretro scompare per sempre dietro ad essa.

Il retro del sacello del Milite Ignoto, all'interno dell'Altare della Patria, con la motivazione della medaglia d'oro al valor militare

Il retro del sacello del Milite Ignoto, all'interno dell'Altare della Patria, con la motivazione della medaglia d'oro al valor militare

Foto: Alberto Cauli
Perché nell’altare della Patria fu sepolto un milite ignoto?

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Per saperne di più:

Ignoto Militi. Augusto Tognasso, a cura di Luciano Brambilla e Roberto Roseano. KDP Independently Published, 2021.
Da Versailles al Milite Ignoto. Alessandro Miniero. Gangemi Editore, Roma, 2008.
La leggenda del soldato sconosciuto all’Altare della Patria. Lorenzo Cadeddu. Gaspari Editore, Udine, 2001.

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