Nel XVII secolo Louis de Caullery dipinse il Colosso di Rodi con le gambe divaricate all’ingresso del porto
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Nel 408 a.C tre città dell’isola di Rodi – Lindo, Camiro e Ialiso – decisero di costruire una nuova capitale federale.La città di Rodi sarebbe prosperata rapidamente nei decenni successivi, ma si sarebbe anche ritrovata coinvolta in tutti i grandi conflitti della politica greca. Così avvenne alla fine del IV secolo a.C., quando scoppiò una guerra aperta tra due dei successori di Alessandro Magno: Tolomeo I, re d’Egitto, e Antigono I Monoftalmo, re di Macedonia. I rodiesi, grandi navigatori e ottimi diplomatici, avevano deciso di schierarsi con Tolomeo per ragioni commerciali. Tuttavia, nel 307 a.C Antigono gli intimò di passare dalla sua parte. Di fronte al loro rifiuto, inviò suo figlio Demetrio Poliorcete (soprannome che significa “assediatore”) a sottomettere la città. A questo scopo, Demetrio fece costruire l’Elepoli (dal greco helepolis, catturatrice di città). Si trattava di una temibile torre d’assedio che misurava tra i 30 e i 40 metri di altezza e si muoveva in perfetto equilibrio su delle ruote. Tuttavia, i rodiesi riuscirono a frenarne l’avanzata versando sul suo tragitto acqua, fango e sterco. Dopo un anno di infruttuoso assedio, Rodi e la Macedonia arrivarono a un accordo: i rodiesi si sarebbero alleati con Antigono contro tutti i suoi nemici, eccetto Tolomeo, e in cambio avrebbero conservato l’autonomia e il controllo delle loro entrate.
Ringraziamento a Helios
In segno di gratitudine per l’esito dello scontro, gli abitanti di Rodi decisero di erigere una statua straordinaria in onore di Helios, nume tutelare dell’isola e personificazione del Sole. Le spese furono pagate vendendo i resti di una delle torri da assedio che Demetrio aveva abbandonato quando si era ritirato dall’isola. La costruzione fu affidata a Carete di Lindo, discepolo dello scultore prediletto di Alessandro, Lisippo. Carete lavorò al Colosso probabilmente tra il 304 e il 292 a.C. anche se, secondo il filosofo Sesto Empirico, si suicidò poco dopo l’inizio dell’opera dopo essersi reso conto di aver sbagliato i calcoli sul suo costo. Un’informazione, quest’ultima, che potrebbe non essere del tutto affidabile.
Il molo, con il forte di san Nicola sullo sfondo, protegge l’entrata all’isola. Le due colonne occupano la presunta posizione che si attribuisce ai piedi del Colosso
Foto: Luca Da Ros/Fototeca 9X12
In ogni caso la nuova statua era un’offerta alla divinità più importante di Rodi e doveva essere all’altezza di quanto rappresentava: la vittoria dei rodiesi e il dio che l’aveva resa possibile, analogamente alla grande Atena Promachos scolpita da Fidia nell’acropoli di Atene dopo la battaglia di Maratona. Ciò si riflette innanzitutto nelle imponenti dimensioni. Le fonti antiche attribuiscono al Colosso un’altezza tra i 70 e gli 80 cubiti, ovvero tra i 30 e i 33 metri, a seconda della lunghezza attribuita al cubito greco, che non era esattamente la stessa ovunque. La differenza di dimensioni potrebbe dipendere anche dall’aver tenuto conto o meno del basamento di marmo bianco su cui si ergeva.
Pochi uomini ne possono abbracciare il pollice e le sue dita sono più grandi di altre statue intere. Plinio
La fonte principale sul processo di costruzione è un libello intitolato De septem miraculis mundi, attribuito a Filone di Bisanzio ma in realtà risalente al IV-VI secolo. Secondo quest’opera, il Colosso era costituito da un’intelaiatura in ferro di circa 7.800 chili di peso, con blocchi di pietra squadrati che fungevano da zavorra. Questa struttura era avvolta da una specie di rivestimento esterno di 12-13 tonnellate di bronzo. Diversamente da quanto si usava in genere con le sculture in bronzo di grandi dimensioni – delle quali prima si costruivano le singole parti e poi le si assemblava – il Colosso sarebbe stato eretto come un edificio, a strati. Così, una volta saldati i piedi della statua in un basamento di marmo, si forgiarono le caviglie, poi su queste la parte successiva, e così via fino ad arrivare alla testa. Per fondere il bronzo sul posto, a ogni livello veniva costruito tutt’intorno un terrapieno, che ricopriva le parti terminate della statua e permetteva di continuare a lavorare su una superficie solida e non combustibile. Ma attualmente gli studiosi non concordano sul fatto che per il Colosso si fosse usata la fusione in situ, come sostenuto invece da Filone. Alcuni sostengono che furono utilizzate delle lastre di bronzo martellate e collocate su un’intelaiatura, un processo che richiede una minore quantità di metallo. Secondo altri ancora le singole parti del monumento vennero fuse separatamente in pozzi di dimensioni adeguate alla grandezza dell’opera. Ma di tali pozzi non è stata trovata alcuna traccia.
Il colosso in un dipinto di Giacomo Torelli del XVII secolo
Foto: Bridgeman/Aci
Una meraviglia di breve durata
Ma il Colosso non era destinato a durare a lungo: un terremoto lo distrusse nel 226 a.C., prima ancora della fine del secolo che lo aveva visto nascere. E anche se il re d’Egitto Tolomeo III Evergete offrì un’ingente quantità di denaro e manodopera perché venisse eretto di nuovo, i rodiesi non osarono farlo a causa di un oracolo che lo sconsigliava. I resti del gigante, rotto all’altezza delle ginocchia, giacquero al suolo per 900 anni, lasciando intravedere la complessa struttura interna e suscitando l’ammirazione di tutti. Non stupisce che lo scrittore greco Luciano di Samosata, nel II secolo d.C., affermasse iperbolicamente che il Colosso di Rodi e il Faro di Alessandria erano visibili dalla luna. Nel 654, quando conquistò Rodi, il califfo Mu’awiya terminò di demolirlo e ne spedì il bronzo in Siria, dove venne comprato da un ebreo di Edessa (attuale Sanhurfa). Secondo fonti bizantine, al nuovo acquirente servirono almeno 900 cammelli per portarselo via. La forza della leggenda avrebbe finito per caratterizzare la rappresentazione più conosciuta del gigante scomparso. Nel 1572 l’artista olandese Marten van Heemskerck dipinse il Colossus Solis che si staglia all’entrata del porto di Rodi: il Colosso regge un recipiente con una fiamma con la mano destra, mentre una nave con le vele spiegate gli passa tra le gambe divaricate.
L’artista Antonio Muñoz Degrain ricreò la gigantesca statua in questo olio, che dipinse dopo un viaggio all’isola di Rodi
Foto: Oronoz/Album
Colossi che non erano giganti
In realtà esistono argomenti di ordine tecnico e linguistico contro l’ipotesi del Colosso con le gambe divaricate. In quanto ai primi, era tecnicamente impossibile che una statua di almeno 30 metri di altezza poggiasse su piedi separati 200 metri uno dall’altro. Questo non solo per il peso stesso della scultura, ma anche per la spinta dei venti, che si sarebbe fatta sentire soprattutto sul petto. Inoltre, va ricordato che il Colosso si ruppe all’altezza delle ginocchia e non delle caviglie. D’altro canto, i linguisti fanno notare che i greci presero in prestito il termine con cui fu designato, “colosso”, dalle popolazioni autoctone dell’Asia minore. Indicava un tipo particolare di scultura, a forma di pilastro o con le gambe unite. In origine la parola non aveva quindi a che vedere con l’altezza e acquisì il senso che le diamo oggi (“statua di grandi dimensioni”) a partire dallo stesso Colosso di Rodi. Nessuno degli altri colossi dell’antichità aveva le gambe divaricate. Nel caso del Colosso di Rodi, potrebbe sorprendere la mancanza di movimento nell’opera di un discepolo di Lisippo. Probabilmente può essere spiegata in base alle limitazioni tecniche al momento di scegliere la posizione di una figura così grande. Ciononostante, non si può escludere che Carete avesse ricevuto una commissione molto specifica: riprodurre, con le stesse dimensioni della colossale Elepoli, un’antica e venerata immagine di Helios che aveva le gambe giunte proprio come l’Artemide di Efeso e l’Afrodite di Afrodisia, sempre di epoca ellenistica.
Fotogramma del film IL Colosso di Rodi, di Sergio Leone. 1961
Foto: Bridgeman/Aci
In realtà, sull’aspetto esteriore del Colosso non è possibile sapere molto, a parte che differiva dalle immagini poco plausibili che ne hanno tramandato gli artisti moderni. Le fonti antiche tacciono, e non fu coniata alcuna moneta con la raffigurazione del suo corpo intero, nonostante fosse il simbolo di una Rodi che era orgogliosamente riuscita a mantenere la sua indipendenza. Così, nel corso del tempo si sono succedute varie ipotesi, ma nessuna risolutiva. In ogni caso, si suppone che si trattasse della figura di un giovane nudo e con i capelli ricci, così come appare il dio Helios sulle monete rodiesi. Altri autori pensano che avesse anche una corona di raggi in testa, un attributo frequente del Sole. L’idea che potesse reggere una torcia o un oggetto destinato a contenere fuoco, invece, proviene da un’interpretazione erronea dell’epigramma dedicatorio, in cui i termini “mare” e “lume” indussero a ritenere che il Colosso fosse un faro: ma Helios è già di per sé “il lume”. Probabilmente aveva le gambe leggermente divaricate, rinforzate con dei sostegni. Risulta invece impossibile conoscere la posizione delle braccia: stese entrambe verso il basso, oppure con il braccio destro alzato, come veniva rappresentato il Sole nelle statuette romane di epoche successive. In quanto alla sua collocazione esatta, è molto improbabile che fosse vicino al mare o nella zona del porto, per limiti di spazio e perché i resti sarebbero caduti in parte in acqua, dove oggi potrebbero essere facilmente rinvenuti. Invece il Colosso, rappresentazione di Helios, probabilmente si innalzava vicino al tempio di questa divinità, la principale dell’isola, ma per ora non sono stati ritrovati resti né del tempio né di un eventuale santuario all’aria aperta.
Che fosse nel porto, nell’acropoli o nella città bassa, il Colosso di Rodi doveva essere visibile da molto lontano
Foto: Marco Covi/Electa/Album
Sulla riva o nell’entroterra?
L’archeologa Ursula Vedder suggerisce che il Colosso potesse trovarsi nel tempio sull’acropoli di Rodi, tradizionalmente attribuito ad Apollo Pitico ma che in realtà potrebbe essere dedicato proprio a Helios. Si spiegherebbe così che in una terrazza contigua a quella del tempio sorgesse lo stadio, in cui atleti provenienti da tutta la Grecia si sfidavano durante le Aliee, le feste in onore di Halios (Helios nel dialetto locale). Anche a Olimpia, Corinto, Nemea e Delfi gli stadi erano situati all’interno di recinti sacri. Altri ritengono invece che il Colosso sorgesse in un luogo dove il suo crollo avrebbe coinvolto altri edifici, come la zona del Palazzo del Gran Maestro o del bazar. Poche sono le certezze e molti i dubbi relativi a un monumento che per le dimensioni, il costo e la complessità dell’esecuzione meritò di essere considerato una delle meraviglie dell’antichità. Il Colosso non resistette a lungo in piedi, ma continua a esistere tra noi. Attualmente il gigante può essere riconosciuto dietro i 46 metri della Statua della Libertà, che dal 1886 sorge a New York. Il Colosso gode inoltre di una nuova vita grazie alla serie Il trono di spade, nella figura del Titano che vigila sul porto di Braavos.