Domenica 24 agosto 1572, giorno consacrato a san Bartolomeo, Parigi si svegliò – ammesso che qualcuno dei suoi abitanti avesse potuto dormire – in un bagno di sangue. Durante la notte aveva infatti preso avvio una terribile carneficina che sarebbe continuata per i tre giorni seguenti e che in breve tempo si sarebbe estesa ad altre città del regno di Francia.

Il pittore François Dubois, protestante, scampò all’eccidio di San Bartolomeo e dipinse la più nota raffigurazione degli eventi del 24 agosto 1572
Foto: Oronoz / Album
Furono molti gli episodi sanguinosi di questo tipo che scandirono le guerre di religione, il lungo conflitto in cui tra il 1562 e il 1598 si scontrarono in Francia due comunità religiose, i cattolici e i protestanti (che in Francia chiamavano ugonotti). La strage della notte di San Bartolomeo, però, fu il più grave e quello di maggior impatto, tanto da diventare un’icona del fanatismo e della violenza che una comunità può scatenare contro una minoranza religiosa, un esempio di come una società possa spaccarsi in due, avviare processi di sterminio e convincersi che l’eliminazione fisica dei rivali sia l’unico modo per garantire la propria sopravvivenza.
Le guerre di religione in Francia furono una conseguenza della divisione religiosa che toccava tutta l’Europa dopo l’irruzione della Riforma protestante a partire dal 1517. Inizialmente, la monarchia di Francesco I non esitò ad appoggiare i protestanti tedeschi nella loro ribellione contro l’imperatore Carlo V, grande nemico dei francesi, ma non per questo era disposta a permettere alla nuova dottrina di espandersi nei suoi domini. Prova di questo fu la violenta repressione scatenatasi nel 1534, dopo lo scandalo dei placards, manifesti anticattolici che i protestanti affissero sui muri di Parigi e persino sulla porta della camera del re nel suo palazzo ad Amboise. Tuttavia, tra il 1550 e il 1560 il protestantesimo, nella variante calvinista guidata da Ginevra da un riformatore di origine francese, Giovanni Calvino, si diffuse rapidamente tra le fila della nobiltà francese, in parte delle élite urbane e nel mondo contadino, fino a diventare una vera e propria minaccia per la monarchia.
Una situazione sempre più tesa
Nel 1559 la morte di Enrico II, figlio di Francesco I, in un torneo – un avversario gli trafisse un occhio con una lancia ed Enrico morì dopo tre giorni di agonia – debilitò improvvisamente il potere della monarchia. A un re forte succedettero due bambini – il quindicenne delfino Francesco II di quindici anni e un anno dopo, in seguito alla morte di questi, suo fratello Carlo IX di dieci anni – sotto la reggenza della madre Caterina de’ Medici. In tali circostanze si formarono due partiti nobiliari, ciascuno di essi determinato a governare, e che fecero della religione la loro bandiera: da una parte la fazione cattolica guidata dalla potente famiglia dei Guisa, decisa a liberare il regno dal protestantesimo; sul fronte opposto, lo schieramento calvinista che si riuniva attorno ad Antonio di Borbone-Vendôme e all’ammiraglio Gaspard de Coligny. A partire dal 1561 quella che fino ad allora era stata una disputa per il favore reale nella corte divenne uno scontro armato, un’autentica guerra civile nella quale ben presto le regole cavalleresche cedettero il passo alla pura barbarie, con esecuzioni di prigionieri e omicidi politici.

Caterina de' Medici. Ritratto di Santi di Tito. Galleria degli Uffizi, Firenze
Foto: Scala, Firenze
In quest’atmosfera di violenza sfrenata, Caterina de’ Medici voleva evitare, più di ogni altra cosa, di diventare un semplice strumento nelle mani della nobiltà, cattolica o protestante che fosse. A questo scopo mise in pratica politiche diverse e contrastanti, dalla guida dei cattolici favorevoli all’annientamento dei protestanti, alla ricerca di qualche forma di tolleranza che permettesse la convivenza dei due gruppi; tentativo, questo, portato avanti dal cancelliere Michel de L’Hospital mediante diversi editti di pacificazione e tolleranza. Tuttavia, la guerra si protrasse con diversi rovesciamenti di fronte, senza che nessuno dei due schieramenti riportasse un’affermazione decisiva.
Una notte di sangue
Quando, nel 1570, le forze protestanti guidate dall’ammiraglio Gaspard de Coligny si avvicinarono a Parigi e costrinsero il governo ad accettare una nuova pace, quella di Saint-Germain-en-Laye, Caterina tentò una nuova mossa: concordò il matrimonio di sua figlia Margherita di Valois con il giovane protestante Enrico di Borbone, re di Navarra. In questo modo, la regina sperava di riportare la concordia nell’alta nobiltà e di dare stabilità alla Corona. Coligny, però, acquisì una crescente influenza sul re Carlo IX, e si sparse la voce che il suo obiettivo fosse quello di avviare un intervento militare nei Paesi Bassi in aiuto ai protestanti che si erano ribellati al dominio di Filippo II di Spagna. La possibilità di una guerra su vasta scala tra Francia e Spagna era per molti fonte di preoccupazione.
Il matrimonio di Enrico di Borbone e Margherita di Valois fu celebrato il 18 agosto 1572 a Parigi. Per l’occasione giunse nella capitale francese un numero considerevole di nobili ugonotti, fatto che creò una tensione palpabile con la popolazione della capitale del regno, in maggioranza cattolica. In questo clima teso, il 22 agosto Coligny fu vittima di un attentato: mentre tornava da una riunione del consiglio del re, qualcuno gli sparò da una finestra, e sebbene l’ammiraglio avesse avuto salva la vita per essersi abbassato proprio in quel momento per allacciarsi una scarpa, riportò una grave ferita a un braccio e a una mano e fu trasportato con urgenza al suo alloggio.

Ritratto di Gaspard de Coligny. Museo del Protestantesimo, Poët-Laval
Foto: Josse / Scala, Firenze
Carlo IX si affrettò a fargli visita, per promettergli giustizia e tranquillizzare i suoi sostenitori, ma si scontrò con l’ira dei protestanti che attribuivano la responsabilità del tentato omicidio all’ambiente reale, in particolare a Caterina de’ Medici e ai Guisa. La regina madre e il suo consiglio videro in questa mobilitazione e nella rabbia degli ugonotti un’aggressione intollerabile contro l’autorità e la dignità reale, e la notte seguente, nel corso di una riunione con il re, riuscirono a convincerlo che era necessario prendere misure drastiche: eliminare tutti gli esponenti del movimento protestante riuniti a Parigi prima che questi organizzassero un attacco alla corte.
L’operazione – che la storica Arlette Jouanna ha definito un’ablazione chirurgica preventiva – fu condotta quella stessa notte. Dopo aver fatto chiudere le porte della città e convocato la milizia municipale, alle tre del mattino i rintocchi delle campane della chiesa di Saint-Germain-l’Auxerrois diedero il segnale di inizio della strage. Il giovane duca Enrico di Guisa s'incaricò di recarsi nella casa in cui giaceva Coligny, che accusava di aver messo a morte suo padre nel 1563, per ucciderlo assieme al suo seguito.
Gli assassini entrarono nel cortile e l’ammiraglio, dal letto, incitò i suoi a fuggire da una finestra. Il ferito si rivolse a un ufficiale tedesco del duca di Guisa: «Giovanotto, abbiate rispetto per i miei capelli grigi e la mia età», ma il soldato non ebbe esitazioni e affondò la lama nel petto dell’ammiraglio protestante, che venne poi finito da altri soldati. Il suo cadavere fu lanciato dalla finestra, decapitato, e trascinato per la strada.

L’attentato al leader ugonotto Coligny e il successivo assassinio nella notte di San Bartolomeo. Franz Hogenberg. Biblioteca Universitaria, Ginevra
Foto: Dea / Scala, Firenze
Notte di terrore
Nel palazzo del Louvre, le guardie reali tirarono fuori dai letti gli ugonotti per ucciderli senza che potessero difendersi. Molti, cercando di scappare, furono catturati nel grande cortile, dove furono uccisi dagli alabardieri svizzeri. In tutta Parigi, i cittadini armati si lanciarono alla caccia dei protestanti, facilmente identificabili per gli abiti neri che indossavano. Convinti di obbedire a un mandato divino, assassinarono uomini, donne e bambini con una brutalità estrema.
L’ambasciatore spagnolo, Diego de Zúñiga, si espresse così in una lettera a Filippo II: «Mentre scrivo, li stanno uccidendo tutti, li spogliano delle vesti, li trascinano per le vie, saccheggiano le abitazioni e non perdonano neppure i bambini. Sia benedetto Dio, che ha convertito i principi francesi alla Sua causa! Voglia il Signore ispirare i loro cuori affinché continuino come hanno cominciato!».
Il pomeriggio del 24 agosto Carlo IX, inorridito, tentò di fermare un’azione che gli era chiaramente sfuggita di mano, ma invano. Non soltanto gli omicidi si protrassero a Parigi, ma si diffusero in altre città della Francia. In tutto il regno, furono assassinate in totale circa 10mila persone, duemila delle quali solo nella capitale, anche se le cifre non sono facilmente verificabili.

Caterina de' Medici induce il figlio Carlo IX a firmare l'ordine del massacro degli ugonotti. Alessandro Focosi, 1866, pinacoteca di Brera, Milano
Foto: Bridgeman / Aci
Quando passò la tormenta, ogni schieramento diede la propria lettura dei fatti. Per i protestanti, la strage era il risultato di una cospirazione ordita da lungo tempo dalla sinistra regina “italiana” e dal non meno oscuro re di Spagna, Filippo II; fu per questo che molti ruppero con la monarchia dei Valois e difesero il diritto del popolo a resistere contro un re tiranno. Per il papato, invece, l’evento fu un trionfo spettacolare, una nuova prova del favore di Dio nei confronti della Chiesa cattolica, un anno dopo la grande vittoria riportata dalla cristianità sull’impero ottomano nella battaglia di Lepanto. Per il re di Spagna e il suo governatore nelle Fiandre, il duca d’Alba, era semplicemente un alleggerimento che permetteva loro di concentrare gli sforzi nella repressione dei ribelli nei Paesi Bassi.
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Violenza purificatrice
La grande popolarità della strage di Parigi non può essere messa in dubbio. Naturalmente, quello di San Bartolomeo non fu il primo né sarebbe stato l’ultimo dei massacri compiuti in nome della religione da cattolici e protestanti. Prima e dopo il 1572 ebbero luogo episodi simili non soltanto in Francia, ma anche in altre parti d’Europa come Fiandre, Irlanda, Scozia, Inghilterra o Germania. In tutti questi casi, la violenza venne intesa come un modo per purgare il corpo sociale dagli elementi che erano visti come una minaccia, come una pestilenza. L’eccidio acquistava dunque, nell’immaginario di coloro che lo perpetravano una funzione urgente, preventiva e terapeutica.
In questo modo si spiega l’accanimento feroce dei cattolici parigini contro i cadaveri degli ugonotti, sventrati per poi mostrarne le viscere, appese a lunghe aste, come simbolo del loro peccato. Questo tipo di disumanizzazione delle vittime da parte dei carnefici fu una costante delle guerre di religione. Dall’altro lato, la mobilitazione del popolo cattolico di Parigi fu anche espressione della sua cultura urbana, una risposta a quella che considerava una minaccia alle sue tradizioni, incarnata dai nobili protestanti che in quei giorni si aggiravano armati. L’inizio della strage al Louvre fu interpretato come un’autorizzazione regia affinché la comunità locale si attivasse, prendesse il mano il proprio destino ed eliminasse ciò che vedeva come un’aggressione.

I cattolici francesi si resero responsabili di eccidi del tutto simili a quello della notte di San Bartolomeo in luoghi come Sens o Tours (in alto)
Foto: Dea / Scala, Firenze
Sterminare i capi del protestantesimo militare non fece scomparire gli ugonotti, che seguitarono a combattere ostinatamente e valorosamente per difendere il loro diritto a esistere. Infatti, fu proprio un sopravvissuto della notte di San Bartolomeo, Enrico di Navarra, che alla fine di una guerra che sembrava interminabile fece il suo ingresso trionfale a Parigi, nel 1594, come Enrico IV di Francia, non senza essersi prima convertito al cattolicesimo.
Quattro anni dopo il monarca promulgò l’editto di Nantes, la legge sulla tolleranza religiosa che, mediante la riaffermazione del potere assoluto della monarchia, aveva come obiettivo impedire che in futuro si verificasse nuovamente un’esplosione di violenza come quella che insanguinò Parigi nel 1572.
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Per saperne di più
Caterina de’ Medici. Un’italiana sul trono di Francia. Jean Orieux. Mondadori, Milano, 2017
La regina Margot. Alexandre Dumas. Rizzoli, Milano, 2007