Chi li aveva visti caricare in gruppo doveva considerarli delle specie di spaventosi mostri delle nevi. Per altri, erano solo delle prede giganti che potevano garantire vari mesi di sopravvivenza. Il loro fascino perdura a tal punto che c’è chi sogna ancora di riportarli in vita. Sono i mammut, i grandi elefanti che convissero con varie specie umane prima di scomparire definitivamente 3.800 anni fa.
Questi enormi erbivori di origine africana colonizzarono il continente eurasiatico per circa quattro milioni di anni. I loro antenati erano elefanti adattatisi al freddo dell’Epoca glaciale, come avrebbero fatto più tardi gli esseri umani primitivi, anch’essi provenienti dall’Africa. L’antico rapporto tra ominidi e mammut è testimoniato dai resti fossili rinvenuti dal paleontologo spagnolo Bienvenido Martínez-Navarro a Orce. Un milione e mezzo di anni fa i pachidermi si recavano a morire in questa sorta di cimitero. E lì, gli umani li attendevano per cibarsene, una strategia già adottata dai loro antenati africani con gli elefanti. Date le dimensioni dei mammut, che potevano raggiungere le otto tonnellate di peso e superare i cinque metri di altezza, cacciarli doveva essere piuttosto complicato. Era molto più sicuro banchettare con le carni di esemplari morti, di cuccioli o d’individui deboli o malati.
Raffigurazione di un mammut lanoso insieme ad alcuni stambecchi sulle pareti della grotta francese di Rouffignac.
Foto: Granger / Album
Cimiteri di mammut
Nel Paleolitico medio i mammut sarebbero diventati una risorsa alimentare comune per i pre-neandertaliani e i neandertaliani. Lo testimoniano alcuni siti scoperti sempre in Spagna, lungo il corso medio e inferiore dei fiumi Manzanarre e Jarama, e nelle vicinanze di Torralba e Ambrona (Soria). A Madrid, la collina di San Isidro ospitava una tale quantità di ossa di elefante che nel XIX secolo si arrivò a ipotizzare che appartenessero agli esemplari con cui Annibale aveva varcato le Alpi. Il rapporto tra ominidi e pachidermi era così profondo che alcuni ricercatori parlano di “etno-elefantologia”. Joaquín Panera, archeologo del Centro nacional de investigación sobre la evolución humana e codirettore dei siti di Torralba e Ambrona, sottolinea che gli elefanti hanno consapevolezza di sé stessi, possiedono una memoria eccezionale, elaborano mappe mentali complesse, hanno un grande controllo del territorio e sono anche in grado di trovare fonti d’acqua in caso di siccità. È molto probabile che fin dai tempi remoti gli esseri umani avessero capito che seguendo questi grossi mammiferi avrebbero potuto scoprire luoghi nuovi e interessanti.
Nonostante quest’apparente alleanza, gli ominidi cacciavano i mammut per nutrirsene. I neandertaliani erano grandi consumatori di mammut e rinoceronti lanosi, che infatti rappresentavano l’80 per cento della loro dieta. In Siberia è stata ritrovata una punta musteriana (di 40mila anni fa circa) conficcata in una vertebra di mammut e alcuni resti fossili con ferite mortali, tutte esplicite testimonianze di attività venatoria. Non si sa con certezza a quali strategie di caccia ricorressero gli umani. Alcuni anni fa, sull’isola di Jersey (oggi al largo della costa normanna, ma durante il Paleolitico unita al continente), sono state ritrovate grandi quantità di ossa di mammut che hanno indotto i ricercatori a ipotizzare che gli ominidi accerchiassero i pachidermi per poi obbligarli a retrocedere fino a farli precipitare da qualche scogliera. Sebbene questa tesi abbia avuto molti sostenitori, nuovi studi suggeriscono che in realtà le ossa potrebbero essersi accumulate per cause naturali. Con l’avvento dell’Homo sapiens la caccia ai mammut si diffuse ulteriormente, ma le testimonianze relative alle tecniche impiegate continuano a scarseggiare.
Osso di mammut ritrovato nel 1864. Vi è incisa un'immagine dell'animale. Sito Abri de la Madeleine.
Foto: SPL / Age Fotostock
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Il declino di questi pachidermi iniziò circa 21mila anni fa. La sopravvivenza della specie, già messa a repentaglio da un basso tasso di riproduzione (il periodo di gestazione raggiungeva i 22 mesi), ricevette probabilmente il colpo definitivo dallo scontro con gli umani, dall’aumento delle temperature o da qualche malattia; o forse da una combinazione di tutti questi fattori.
I mammut sono stati immortalati in numerose opere d’arte preistoriche che dimostrano i forti legami che intercorrevano tra gli umani e questi animali. Si conservano molte statuette e ornamenti realizzati con l’avorio delle zanne di mammut, come per esempio la scultura dell’uomo-leone di Ulm, risalente a 40mila anni fa, e varie pitture parietali, come quelle della grotta francese di Rouffignac su cui furono disegnati oltre un centinaio di mammut. Nel Paleolitico superiore le grandi ossa dei preistorici pachidermi furono utilizzate anche per costruire delle specie di capanne, di cui sono stati rinvenuti alcuni esemplari in Russia, Ucraina e Polonia.
Negli ultimi anni la scoperta di resti ben conservati di DNA di mammut nella tundra siberiana ha fatto nascere l’idea di clonarli ricorrendo ai loro parenti più stretti, gli elefanti asiatici. Ma la resurrezione di questi giganti è al momento solo una semplice chimera.
La caccia al mammut in una ricostruzione della lotta tra umani e animali
Foto: Mathias Dietze / Alamy / ACI
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