Roma, fine del I secolo d.C. Nella domus di un patrizio è stata organizzata una grande cena. Dieci invitati sono adagiati sui triclini attorno all’anfitrione, che con un gesto ordina che vengano servite le pietanze. Come prima portata, maiale con garum, seguito da pesce con garum e, a innaffiare il tutto, vino con garum. In che cosa consiste questo famoso ingrediente che compare in tutti i piatti romani e che da moltissimo tempo è scomparso dalle nostre tavole?
Per capire che cosa è il garum o che sapore potrebbe avere dovremmo spostarci verso il Sudest asiatico. In Vietnam troveremmo la salsa nuoc-mam, una pasta di pesce fermentato dal sapore forte e dall’odore ancora più penetrante che si usa come condimento. Anche il garum era una salsa usata come condimento, ed era tanto gradito ai palati dell’antichità che divenne un prodotto fondamentale nella gastronomia romana. Si poteva trovare di diverse qualità, e il migliore poteva arrivare a costare cifre astronomiche. Era utilizzato per insaporire ogni piatto; talvolta veniva mescolato con altri ingredienti, come pepe (allora si chiamava garum piperatum), aceto (oxygarum), vino (oenogarum), olio (oleogarum) o acqua (hydrogarum).
Pesci disposti su una tavola. Rilievo. Museo della civiltà romana, Roma
Foto: Dea / Age fotostock
Fabbricazione industriale
Al di là del suo valore come prodotto alimentare, il garum aveva anche un uso medicinale: si riteneva che stimolasse l’appetito grazie il suo alto valore proteico e gli si attribuivano proprietà curative per diversi mali. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis historia, elenca i benefici forniti dal garum, dalle sue virtù come cura della dissenteria alla sua efficacia come rimedio per i morsi di cane.
Secondo Plinio il Vecchio, il garum serviva per curare la dissenteria ed era un rimedio per i morsi di cane
Sebbene le origini del garum risalgano ai fenici e ai greci, furono i romani a creare un’autentica industria per produrlo. Esistevano veri e propri stabilimenti specializzati in pesce sotto sale e salse di pesce, detti cetariae. I più antichi, pare, entrarono in funzione verso il VI secolo a.C. Erano situati sulla costa, il che garantiva un facile e rapido accesso al mare, e di solito erano ubicati fuori dal centro urbano a causa del cattivo odore che emanavano. Erano dotati di un cortile centrale, sale per pulire il pesce e stanze adibite a magazzino.
L’elemento più caratteristico di queste fabbriche sono le vasche, dove si produceva il pesce sotto sale. Erano costruite al livello del suolo, di solito in malta – ma se ne possono trovare anche di scavate nella roccia –, e rivestite di opus signinum, una finitura molto resistente che ne garantiva l’impermeabilità.
Nelle cetariae si ottenevano due tipi di prodotti. Da una parte, le salsamenta, che comprendevano conserve di pesce di ogni tipo e che potremmo paragonare al baccalà o alle sardine sotto sale dei giorni nostri. Il pesce veniva tagliato in pezzi rettangolari o quadrati che si depositavano poi nelle vasche alternati a strati di sale, pestando il pesce per far penetrare meglio il conservante. Questa tecnica di salatura era molto importante in un’epoca in cui la conservazione degli alimenti era problematica. Il secondo prodotto che usciva dalle cetariae erano le salse, la più popolare delle quali era il garum. Per la sua produzione, le vasche venivano riempite di pesci piccoli (ciò che oggi chiamiamo minutaglia), acciughe, sgombri e le parti rimanenti dei pesci di dimensioni maggiori. Si alternavano strati di pesce e strati di sale ed erbe aromatiche, e il tutto veniva lasciato al sole per diversi mesi.
Diverse specie di pesci, come quelle che figurano in questo mosaico pompeiano, erano la base per preparare il popolare 'garum'. Museo Archeologico Nazionale, Napoli
Foto: Scala, Firenze
Il rifornimento di sale, quindi, era fondamentale in stabilimenti di questo tipo. La proporzione tra pesce e sale doveva essere molto precisa per evitare che il pesce si salasse troppo e diventasse una conserva come quelle citate in precedenza. Nel caso del garum, invece, si produceva in modo naturale un processo di fermentazione durante il quale gli enzimi delle interiora dei pesci, insieme all’azione del sale, impedivano che prendesse avvio il processo di putrefazione.
Una volta conclusa la fermentazione, la pasta così ottenuta veniva colata per ricavare il garum, un liquido denso dal colore ambrato. Una delle varietà di questa salsa era il liquamen, che nelle fonti scritte viene talvolta confuso con il garum. I residui del processo di colatura si chiamavano hallec. Anche l’hallec veniva commercializzato, sebbene come prodotto di qualità inferiore. Il liquido in eccesso, una specie di salamoia, era chiamato muria.
Per tutte le tasche
La consistenza e la qualità del garum erano molto diverse: dalle varietà meno raffinate, accessibili a tutta la popolazione, a quelle più prestigiose e costose. Molto famoso era il garum sociorum, prodotto nei dintorni di Carthago Nova, l’attuale Cartagena, in Spagna. Plinio il Vecchio ne lodava la qualità, dicendo che era il miglior garum e che non esisteva alcun liquore più caro di quello. Spiega anche che il garum sociorum si otteneva dallo scomber, lo sgombro. Anche il geografo Strabone narra che quel pesce era particolarmente apprezzato nella preparazione della salsa. In contrapposizione ai centri di produzione del garum sociorum, in epoca tardoimperiale iniziarono a mettersi in luce gli stabilimenti della regione dell’ Armorica (corrispondente all’odierna Bretagna francese) da cui uscivano prodotti di qualità inferiore e, pertanto, meno costosi, destinati alle classi più basse e all’esercito.
Indipendentemente dalla denominazione di origine o qualità del garum, la salsa veniva immagazzinata in anfore di ceramica per essere trasportata dai luoghi di produzione a tutti i confini dell’impero. Vi erano molti tipi di anfore per immagazzinare il garum, differenti da quelle utilizzate per il trasporto di olio o di vino. Di alcune si conservano i tituli picti, ovvero le iscrizioni dipinte sulla superficie di ceramica che, come un’etichetta, indicavano il contenuto del recipiente. Numerosissime sono le anfore di garum che si trovano nella collina del Testaccio, a Roma, formata dalla stratificazione dei recipienti che arrivavano nell’Urbe e che, dopo essere stati vuotati, venivano gettati in quel luogo.
Pavimento a mosaico con figura di anfora per 'liquamen'. Casa di Aulo Umbricio Scauro, commerciante di Pompei
Foto: Foglia / Scala, Firenze
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La ricchezza di Cadice
Anche se il garum veniva prodotto in luoghi molto diversi del mondo romano, nella penisola iberica gli stabilimenti di conserve sotto sale erano particolarmente numerosi; i prodotti della provincia della Betica rifornivano tutto l’impero. Le più famose erano le fabbriche dell’Andalusia occidentale, tra le quali spiccavano quelle di Baelo Claudia (Bolonia, Cadice), che sono state studiate a fondo.
La città di Baelo Claudia, a Cadice, fu un importante centro di produzione di 'garum', che veniva preparato in veri e propri stabilimenti
Foto: Classic Vision / Age fotostock
Lo stretto di Gibilterra era un punto privilegiato per il rifornimento di pesce, in quanto zona di passaggio della rotta migratoria dei tonni; questa tradizione peschereccia è ancora viva ai giorni nostri con le tonnare. La costa andalusa fino al Portogallo e la foce del Tago erano le zone con la maggior concentrazione di stabilimenti della penisola, ma anche in Galizia e a Gijón sono venuti alla luce diversi stabilimenti.
Attualmente, il garum sta tornando alla gloria di un tempo. L’archeologia sperimentale, infatti, ha permesso di ricostruirne il processo di produzione con diverse varianti che, utilizzate in ricette da veri gourmet, stanno entrando sempre più a far parte della gastronomia attuale.
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Per saperne di più
L’arte culinaria. Manuale di gastronomia classica. Apicio. Bompiani, Milano, 2003.