«Quando sentii per la prima volta la storia del cervello di Albert Einstein pensai che si trattasse di una leggenda metropolitana, era troppo assurda per essere vera», ricorda in una conversazione con la BBC lo scrittore nordamericano Michael Paternini, autore di “A spasso con Mr. Albert. In giro per l’America con il cervello di Einstein”.
Albert Einstein
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Un gesto "per la scienza"
Quando, all'alba del 18 aprile 1955, l'inventore della teoria della relatività Albert Einstein morì a causa di un aneurisma aortico, anche Thomas Harvey, il patologo di guardia incaricato di fare l'autopsia al cadavere, stava per passare alla storia. Non per aver svolto l'esame forense, bensì niente di meno che per aver rubato il cervello più eccezionale della storia, un fatto ancora oggi oggetto di grande controversia. In meno di un giorno il cadavere di Einstein fu cremato durante una cerimonia privata, alla quale assistettero i suoi familiari e gli amici più stretti. Le ceneri dello scienziato furono sparse nelle acque del fiume Delaware, secondo il suo espresso desiderio: «Voglio essere cremato, in modo che la gente non venga ad adorare le mie ossa».
Thomas Harvey, il patologo di guardia che praticò l'autopsia allo scienziato, passò alla storia come ladro del cervello più eccezionale della storia
Quello che amici e parenti di Einstein non sapevano era che non tutto il corpo dello scienziato era stato cremato. Thomas Harvey sostenne che il prelievo del cervello non era stato un “furto”, ma un gesto compiuto “in nome della scienza”. Il cervello – uno dei più singolari e straordinari della storia dell’umanità, secondo Harvey – sarebbe servito come oggetto di studio. In effetti gli ospedali conservano spesso organi che ritengono d’interesse per studi patologici, ma quando s’iniziò a vociferare che il cervello di Einstein era stato asportato di nascosto e che Harvey non aveva avuto il consenso della famiglia, il medico riuscì a convincere il figlio maggiore di Einstein, Hans Albert, perché gli permettesse di conservare il cervello di suo padre, e promise di usarlo solo per fini scientifici.
Considerato uno degli scienziati più importanti della storia, Albert Einstein, qui ritratto nel 1920, chiese di essere cremato dopo la sua morte perché nessuno potesse adorare le sue ossa
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Scherzo o follia?
Malgrado ciò, quando il Princeton Hospital venne a sapere che il patologo si era appropriato di un organo umano in modo irregolare, lo licenziò in tronco. Harvey però, dopo essere stato assunto dall'Università della Pennsylvania, portò via con sé il cervello e lo dissezionò in 240 pezzi che conservò nella celloidina, un tipo di cellulosa dura ed elastica. In seguitò allestì dodici serie di duecento diapositive che contenevano campioni di tessuto cerebrale del genio e le inviò a diversi ricercatori. Poi distribuì i pezzi in due recipienti pieni d'alcol e se li portò a casa per nasconderli in cantina.
Quando il Princeton Hospital seppe che il patologo si era appropriato di un organo umano in modo irregolare lo licenziò in tronco, ma Harvey portò via con sé il cervello di Einstein
Harvey contattò diversi neurologi in tutto il Paese, ai quali offrì di esaminare il cervello di Einstein, ma incredibilmente nessuno accettò. La maggior parte di loro pensò che Harvey fosse uno squilibrato o che si trattasse di una specie di scherzo. Da quel momento la vita di Harvey toccò il fondo. Sua moglie lo accusò di essere ossessionato dal cervello e finì per andarsene, lasciandolo solo e nella rovina più assoluta. Alla fine alcuni neurologi accettarono di studiare i campioni, ma la loro conclusione fu che il cervello che Harvey gli aveva mandato non era molto diverso da un cervello normale. Anzi: il suo peso, 1230 grammi, era addirittura inferiore alla media per un uomo dell'età di Einstein.
La storia riemerge
Da allora Harvey diede inizio a un incredibile viaggio attraverso il Paese trasportando alcuni campioni del cervello di Einstein nel bagagliaio della sua auto. Come ha raccontato in diverse interviste, l'esercito statunitense si mise in contatto con lui per acquisire il cervello, dato che il governo temeva che l'ambito organo finisse nelle mani dei sovietici. Harvey però declinò l'offerta. All'epoca il mondo intero seguiva con interesse la conclusione della guerra in Vietnam e lo scandalo Watergate, e finì per dimenticarsi del tutto del cervello perduto di Albert Einstein. Fu solo nel 1978 che il giornalista Steven Levy, del New Jersey Monthly, riuscì a ottenere un'intervista da Harvey, che lavorava ormai come supervisore medico in un laboratorio di test biologici. Quando gli chiese se fosse ancora in possesso del cervello di Einstein, rispose di sì. Disse che lo aveva conservato in casa sua, in una cassa di sidro nascosta sotto un minibar.
Dissezionato in 240 pezzi conservati nella celloidina, una parte del cervello di Einstein è in mostra al Mutter Museum of the College of Physicians a Philadelphia
Foto: Cordon Press
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L'intervista di Steven Levy a Harvey fu pubblicata con il suggestivo titolo "Ho trovato il cervello di Einstein", ed ebbe un'eco tale da essere letta da alcuni prestigiosi scienziati dell'Università di Berkeley, tra cui la neurologa Marian Diamond. La dottoressa Diamond si mise in contatto con Harvey per chiedergli un frammento del cervello che tanto gelosamente aveva custodito. Diamond analizzò il campione e nel 1985 pubblicò uno studio in cui sosteneva che il cervello di Einstein aveva più cellule gliali (la cui funzione principale è di dare sostegno ai neuroni) per neurone di una persona normale.
L'esercito statunitense si mise in contatto con Harvey per ottenere il cervello, dato che il governo temeva che l'ambito organo finisse nelle mani dei sovietici
Dopo la pubblicazione della storia di Harvey sulla rivista Science, al patologo cominciarono ad arrivare richieste di molti ricercatori che desideravano ricevere campioni del cervello di Einstein (che Harvey tagliava con un cucchiaino da cucina usato esclusivamente a questo scopo). Il patologo li inviava per posta, in barattoli di maionese di una marca di cui era ghiotto. Anni dopo la BBC trasmise un documentario sulla vita di Harvey, ormai ottuagenario, in cui lo si vedeva aggirarsi nella cantina di casa sua con un barattolo di maionese in mano, mentre tagliava un pezzo del cervello di Einstein su un tagliere col suo speciale cucchiaino.
Le conclusioni dello studio
Thomas Harvey morì a 94 anni il 5 aprile 2007, dopo aver pubblicato, con un gruppo di collaboratori, un primo studio in cui si affermava che il cervello dello scienziato aveva un rapporto anormale tra due tipi di cellule, neuroni e cellule gliali. A questo studio ne seguirono altri cinque, che evidenziavano le differenze nelle singole cellule e in alcune strutture particolari del cervello. Infine, i frammenti del cervello di Einstein che Thomas Harvey ancora conservava finirono ai suoi eredi, che tre anni dopo li donarono al Museo nazionale di salute e medicina dell'esercito statunitense. Tra i materiali di Harvey furono trovate quattordici nuove fotografie prese da angolazioni diverse, fino ad allora inedite.
Dopo la morte di Harvey uno studio rivelò che il cervello di Einstein era dotato di eccellenti connessioni nervose che facilitavano la trasmissione d'informazioni da un emisfero cerebrale all'altro
Foto: Cordon Press
Gli ultimi campioni del cervello di Einstein al momento della morte di Harvey passarono ai suoi eredi, che li donarono al Museo nazionale di salute e medicina dell'esercito degli Stati Uniti d'America
Ma cos'è che rende il cervello di Einstein così speciale? Nel 2013 uno studio neurologico realizzato sull'organo evidenziò delle connessioni nervose eccellenti. Si tratta in pratica del nucleo centrale delle connessioni, che collega un emisfero cerebrale all'altro. Questo collegamento nervoso trasmette le informazioni necessarie alla coordinazione motoria, ma è anche coinvolto nei processi cognitivi. Chissà che cosa avrebbe pensato lo scienziato di tutta questa storia...
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