
Busto di Pericle, copia in marmo romana del II secolo d.C.
Foto: Cordon Press
In seguito alla vittoria nelle guerre persiane, conclusesi nel 479 a.C., l’antica Grecia assunse una conformazione bipartita: da un lato la Lega peloponnesiaca guidata da Sparta, dall’altro la Lega delio-attica, una confederazione marittima sotto il comando di Atene. Era l’inizio dell’età d’oro ateniese, imperniata sul controllo dei mari, sull’espansionismo commerciale e sull'egemonia culturale.
Lo splendore ateniese coincise con la pentecontaetia: quel periodo di relativa tranquillità durato quasi cinquant'anni che intercorse tra il 479 a.C. e il 431 a.C., anno che segnò l’inizio della Guerra del Peloponneso. Un periodo che si sarebbe concluso violentemente a causa della crescita organica di due potenze contigue, Sparta e Atene, inevitabilmente destinate a scontrarsi. Tra le motivazioni che originarono il conflitto tra le due polis figura appunto il decreto di Megara (432 a.C.), l’atto con il quale Pericle sanzionò gli abitanti e i commercianti megaresi, escludendoli dal mercato dell’"impero" ateniese.
Le relazioni tra Atene e Megara
La storia delle relazioni tra Atene e la vicina Megara fino al decreto sanzionatorio del 432 a.C. è dinamica e tortuosa. La città di Megara, situata sull'istmo di Corinto ma a soli cinquanta chilometri da Atene, aderì alla confederazione spartana nel 519 a.C., per poi abbandonarla tra il 461 e il 459 a.C. a causa di alcune dispute territoriali con Corinto, fedele alleata di Lacedemone. La ribellione di Megara a Sparta e la conseguente integrazione nella lega ateniese fu una delle cause che portò alla Prima guerra del Peloponneso (460-445 a.C.), guerra minore rispetto alla successiva omonima. Le ostilità cessarono nel 446/445 a.C. con la pace dei Trent’anni, che sanciva il ritorno di Megara nella sfera d’influenza spartana.

La rivolta di Megara contro Atene che portò tra l'altro alla pace dei Trent'anni, 446 a.C. Illustrazione di 'Hutchinson's History of the Nations', 1915
Foto: Cordon Press
I termini del decreto di Megara
La fonte principale sul decreto megarese è La Guerra del Peloponneso di Tucidide, uno dei più grandi esponenti della storiografia antica. Il testo originale del decreto non è mai stato rinvenuto, ma attraverso gli scritti dello storico ateniese sappiamo che gli spartani «insistevano a chiarire un punto: la guerra non sarebbe stata dichiarata se [gli Ateniesi] avessero abrogato la disposizione presa ai danni di Megara, vale a dire il divieto di usufruire dei porti del dominio ateniese e d’intrattenere scambi commerciali con l’Attica. Gli Ateniesi [...] non cancellavano quel decreto: accusavano anzi i Megaresi di coltivare il suolo sacro, dove i confini non erano determinati, e di offrire ricetto ai loro schiavi ribelli».
L’altra fonte contemporanea al decreto giunge da Aristofane, con la sua commedia Gli Acarnesi. Qui Pericle afferma che «il soggiorno dei Megaresi non deve essere permesso sulla terra, nei mercati, nei mari e nei cieli». Poi ancora, sulle ripercussioni indotte dalle sanzioni alla popolazione dell'istmo: «Quando i Megaresi cominciarono a sentire la fame, chiesero agli Spartani di aiutarli ad uscire da questo decreto [...] e noi [Ateniesi] non volevamo, anche se ce lo chiedevano molte volte». La commedia di Aristofane, pur essendo comica e di parziale rilevanza storiografica, fornisce un dato interessante: le sanzioni, paragonabili a un embargo moderno, produssero una carestia a Megara, che chiese quindi l’abrogazione del decreto, negata più volte da Atene.

Fontana di Teagene a Megara, veduta
Foto: Pubblico dominio
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Le sanzioni: cause ed effetti
Per analizzare le possibili conseguenze prodotte dalle sanzioni ateniesi su Megara, oltre alle fonti già citate, gli storici contemporanei hanno sottoposto a disamina altri fattori. Megara era una polis dotata di due porti, uno situato nel golfo Saronico e l’altro nel golfo Corinzio. Per via della sua posizione strategica, dei rapporti con le colonie e della sua vocazione marittima, l’economia megarese era prettamente basata sul commercio. Vietando il mercato e l’ingresso nei porti di tutte le città della coalizione delio-attica, Atene negava a Megara l’accesso alle sue stesse colonie orientali, ormai sotto l’influenza ateniese, così come al mar Nero, nucleo degli interessi commerciali megaresi. Applicando queste condizioni, Atene minava la sopravvivenza dell’economia megarese e della stessa popolazione, esponendola a povertà e carestie.
Ma quali furono le motivazioni che spinsero Pericle a imporre un pacchetto sanzionatorio verso Megara in tempo di pace? Le teorie prodotte dagli storici al riguardo sono molteplici. Tucidide fornisce i «formali argomenti diplomatici» che portarono alle sanzioni: gli abitanti di Megara avevano coltivato terre di confine consacrate alla dea Demetra, oltre ad aver assassinato un araldo ateniese inviato a certificare la situazione. Il ricorso alla sacralità come cavillo di guerra era pratica comune nel mondo greco: le reali motivazioni, con il beneplacito di Tucidide e della storiografia a lui postuma, erano ovviamente altre.

Busto in gesso di Tucidide. Copia romana di un originale greco del IV secolo a.C.
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Una parte degli storici identifica nel decreto un progetto di strategia difensiva ideato da Pericle. Con tale pressione e soffocando l’economia megarese, Atene avrebbe spinto Megara a tornare sotto la sua influenza per controllare l’unica strada dalla quale un’armata terrestre avrebbe potuto invadere l'Attica dal Peloponneso. Avanzando la sua linea di difesa sino al megarese, Atene avrebbe tenuto il nemico distante dalle proprie mura: sarebbe stato insomma un atto volto a salvaguardarsi da un attacco terrestre.
Un’altra lettura ribalta l’interpretazione della strategia ateniese, mostrandola come strutturalmente aggressiva. Tucidide è esplicito nel sostenere che la causa fondamentale della guerra fu l’ingrandimento di Atene e l’impressione che questo fece agli spartani, rendendo lo scontro ineludibile. Senza dubbio, la sola promulgazione del decreto fu un atto di palese arroganza imperiale che mise in allarme tutta la Lega peloponnesiaca, perché sfidava la sicurezza di ogni stato che potesse incontrare l’opposizione di Atene. Il provvedimento era oltraggioso poiché in tempo di pace trattava i cittadini di un altro stato greco come fuorilegge, ed era l'esempio lampante di quell'ingerenza a cui si riferirono i corinzi nell'accusare Atene di essere incapace di lasciare in pace gli altri a causa dell'aspirazione imperiale che era la sua cifra antropologica.

Pericle declama il celebre discorso agli ateniesi. Philipp Foltz (1852)
Foto: Pubblico dominio
Correnti storiografiche più recenti asseriscono che Pericle volesse lanciare un monito alle polis nemiche e agli alleati più irrequieti: con il decreto di Megara Atene dimostrava di poter piegare una città rivale senza l’ausilio delle armi. Tralasciando le varie speculazioni storiografiche, è certo che il decreto stabilisce il primo esempio documentato di sanzioni economiche in tempo di pace nella storia. La misura del suo apporto alla psicosi della Guerra del Peloponneso è difficile da quantificare e resta oggetto di dibattito, ma che vi abbia contribuito è inconfutabile.
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