I ritratti del Fayyum, sguardi dall'aldilà

In alcune località dell’Egitto greco-romano, come l’oasi di al-Fayyum, le mummie erano decorate con bellissimi ritratti delle persone defunte

La collezione di ritratti del Fayyum è uno dei più insoliti e suggestivi lasciti della storia dell’antico Egitto. Le circa duemila immagini che si conservano ci permettono di dare un volto a una comunità che visse due millenni fa in una recondita regione dell’area del Mediterraneo: sono duemila volti, perfettamente individualizzati, che ancora oggi guardano e sembrano interrogare chi li contempla. È per questo che, da quando furono portati alla luce i primi esemplari alla fine del XIX secolo, filosofi, poeti e storici dell’arte non sono stati in grado di sottrarsi alle emozioni che suscitano questi piccoli ritratti.

Ritratto di anziano proveniente da al-Fayyum. Museo egizio, Il Cairo

Ritratto di anziano proveniente da al-Fayyum. Museo egizio, Il Cairo

Foto: AKG / Album

Crocevia di culture

Al-Fayyum è un’oasi a un centinaio di chilometri a sud-ovest del Cairo, tra il deserto occidentale e il Nilo. Occupata sin da epoche molto antiche, al-Fayyum conobbe una profonda trasformazione a partire dalla fine del IV secolo a.C., dopo la conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno e l’instaurazione della dinastia ellenistica dei Tolomei. Grazie all’arrivo di un gran numero di coloni, tra i quali anche soldati macedoni che ricevettero terre molto fertili e realizzarono opere di canalizzazione, l’oasi divenne un autentico orto e giardino, con coltivazioni diversificate che davano prodotti preziosi come grano e olive, molto apprezzati dalla monarchia tolemaica. Questi nuovi latifondisti di origine greca, assieme ai proprietari terrieri egizi, agli immigrati da altre zone del Mediterraneo e agli agricoltori e agli artigiani salariati autoctoni, costituirono una popolazione multiculturale che crebbe nel periodo romano.

Il carattere multiculturale della società di al-Fayyum si rispecchiò in molti aspetti della vita quotidiana. È significativo, per esempio, che le persone avessero sia nomi greci (Marco Antinoo, Pollione Sotere, Irene) sia egizi (per esempio, Ammonio). Erano però le pratiche funerarie a fornire l’esempio più indicativo della sintesi tra cultura greca ed egizia. Sebbene greci e romani provenissero da culture che per secoli avevano privilegiato l’incinerazione, gli abitanti di al-Fayyum e di altre aree dell’Egitto finirono per adottare il metodo egizio della mummificazione, che cercava di preservare il corpo del defunto al fine di consentirgli l’accesso alla vita eterna.

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Le migliaia di mummie rinvenute nell’oasi illustrano il processo di imbalsamazione al quale erano sottoposti i defunti nell’Egitto greco-romano: le viscere venivano asportate e il corpo era disidratato e asciugato con un sale chiamato natron. A questo seguivano un trattamento a base di oli e unguenti e l’aggiunta di elementi riempitivi per conservare al massimo la fisionomia del defunto. Il corpo veniva poi avvolto in bende, si celebravano i rituali funerari e si aggiungevano degli amuleti protettivi. Questo processo, che in epoca faraonica era lungo, complesso e costoso, fu semplificato e adattato al minor potere d’acquisto delle famiglie, con la creazione di mummie meno durature. Tuttavia, se la mummificazione si rifaceva a un’antichissima tradizione egizia, la popolazione di al-Fayyum aggiunse un elemento singolare ereditato dalla cultura greco-romana: il ritratto del defunto che si collocava sulla mummia.

Nel III secolo a.C. il re d’Egitto Tolomeo II fondò ad al-Fayyum la città agricola di Karanis, che fu abitata dai mercenari del suo esercito

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Foto: S. Vannini / Dea / Age Fotostock

Sappiamo per certo che, dall’epoca del Medio regno, nel mondo faraonico esisteva la consuetudine di avvolgere la testa del defunto con maschere funerarie fatte di cartonnage (strati di tela o papiro ricoperti di gesso e poi dipinti), nelle quali egli era ritratto in modo idealizzato, come una persona divinizzata, di età indefinita e senza tratti individuali. A partire dal I secolo a.C., invece, ad al-Fayyum e in altre zone dell’Egitto greco-romano, sulle maschere s'iniziarono a plasmare ritratti propriamente detti, che riproducevano i lineamenti della persona scomparsa, immagini che riflettevano l’età reale al momento della morte. Questo tipo di rappresentazione può essere messo in relazione con l’arte del ritratto così come si sviluppò nel mondo ellenistico, a cui forse non è estraneo il desiderio di Alessandro Magno di diffondere la propria immagine. Il suo precedente più diretto, però, si trova nella tradizione romana dei busti o maschere funerarie, che impressionavano per il loro naturalismo con cenni di verismo e l’enfatizzazione dei tratti e dell’espressione. Queste maschere funerarie servivano alla famiglia del defunto per ricordare la persona cara ed esaltarne virtù e successi, oltre che la stirpe aristocratica alla quale apparteneva.

Realismo ingannevole

I ritratti del Fayyum svolgevano una funzione simile. I personaggi ritratti appartenevano sicuramente a famiglie di latifondisti di origine greco-romana, come suggerisce il fatto che le mummie decorate in questo modo si concentrino soprattutto nella zona più fertile della valle del Nilo. Anche se di sicuro non tutti i defunti ritratti sono di classe elevata, ed è molto difficile stabilire se siano greci o egizi, gli abiti e le acconciature corrispondono innegabilmente a persone appartenenti a una popolazione urbana ed ellenizzata, molto diversa dalla classe popolare autoctona, che restava al margine dell’identità culturale greca.

Tuttavia, l’impressione di verismo e individualità che emana da questi ritratti potrebbe essere artificiosa. Gli esperti hanno notato che molti di essi sono il prodotto di un lavoro standardizzato eseguito nelle botteghe di pittori; questi ultimi usavano come base disegni schematici sui quali poi definivano lineamenti che pretendevano di essere realistici. In effetti, se si mettono a confronto i diversi ritratti è possibile notare che l’ovale del volto, i capelli, la forma della bocca, il mento, il naso, oltre alla postura e alle dimensioni, sono molto spesso praticamente identici da un ritratto all’altro; soltanto le sopracciglia e gli occhi presentano una certa singolarità e individualizzano così il defunto. Nondimeno, nei ritratti migliori si nota la mano di veri e propri artisti formatisi nella tradizione della pittura classica greca, in grado di evocare in modo fedele il volto e l’espressione del defunto.

Mummia proveniente da una necropoli di al-Fayyum conservata presso il Museo greco-romano di Alessandria d’Egitto

Mummia proveniente da una necropoli di al-Fayyum conservata presso il Museo greco-romano di Alessandria d’Egitto

Foto: N. J. Saunders / Art Archive

Per i ritratti si utilizzava la tecnica dell’encausto, basata sull’uso della cera d’api (o di un derivato conosciuto come cera punica) come legante per la miscela dei pigmenti, minerali e vegetali. Questo procedimento consentiva di mettere in risalto le texture e i volumi per mezzo del colore e di creare numerose sfumature cromatiche per rendere il colore dell’incarnato e l’intensità dello sguardo. È stato ipotizzato altresì che i ritratti fossero dipinti quando la persona era viva e si tenessero appesi alle pareti di casa fino al momento in cui venivano collocati sulla mummia.

Dai bambini agli anziani

L’insieme dei ritratti del Fayyum illustra tutta la varietà di tipi umani di questa regione dell’Egitto. I bambini compaiono con una fisionomia immatura e con un cerchio dorato attorno al collo, dal quale pende una bulla, simbolo romano della loro condizione infantile. A partire dai quattordici anni, i giovani maschi appaiono quasi sempre con un accenno di peluria sopra il labbro superiore, secondo una tradizione iconografica classica.

Gli ornamenti permettono di stabilire la condizione sociale del defunto. In un noto ritratto, una stella a sette punte identifica un seguace del dio Serapide, mentre la corona dorata indica l’innalzamento del defunto alla condizione di eroe secondo la tradizione macedone; questo era un privilegio riservato alle classi più elevate, così come i diademi in oro massiccio e i pesanti collari con gemme che compaiono in una fase più avanzata.

Scoperte dell’egittologo britannico Flinders Petrie nella necropoli di Hawara, dove nel 1887 portò alla luce 81 ritratti di mummie

Scoperte dell’egittologo britannico Flinders Petrie nella necropoli di Hawara, dove nel 1887 portò alla luce 81 ritratti di mummie

Foto: Bridgeman / Aci

Sguardi che emozionano

Gli uomini solitamente indossano tuniche bianche con fasce verticali di un colore rossastro o porpora come segno di distinzione, mentre le donne hanno abiti colorati con qualche dettaglio decorativo sulla scollatura o con strisce verticali scure. Altri protagonisti, di posizione sociale inferiore, esibiscono la loro condizione di soldati con le bandoliere per le armi. I loro indumenti e atteggiamenti sono simili a quelli che compaiono nella scultura di altre province mediterranee.

Anche se oggi vediamo i ritratti del Fayyum come opere d’arte, non dobbiamo dimenticare che furono pensati con uno scopo funerario. La fissità dello sguardo e la gravità del volto caratterizzano tutto l’insieme; in alcuni casi, addirittura, il defunto è ritratto senza ornamenti, lasciando che sia il volto a parlare per la sua anima. Il punto è che i ritratti avevano una precisa funzione nell’oscurità della tomba: qualunque sia lo stile in cui il defunto è stato rappresentato – che appaia con il viso rivolto di tre quarti secondo i precetti classici dell’arte figurativa o in posizione nettamente frontale secondo la tradizione orientale dell’iconografia religiosa –, la sua immagine non si rivolge ai vivi, bensì all’aldilà, con i simboli della vita eterna tra le mani.

Per parlare dei ritratti del Fayyum, sovente si usano qualificativi che mettono in evidenza l’alone misterioso che emanano, la loro straordinaria capacità di rendere concreta la presenza dei defunti e di commuovere i vivi di tutte le epoche. Queste virtù vengono dalla finalità stessa dell’opera: catturare l’istante del trapasso, del transito verso l’altro mondo, la scoperta dell’eternità che si traduce nello sguardo penetrante e nel gesto di devozione

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Il volto di un adolescente

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Il volto di un adolescente

Un giovane con un accenno di peluria sopra il labbro superiore e una corona dorata a cingergli il capo osserva lo spettatore da un altro mondo. Ritratto del II secolo. Museo Pushkin di Belle arti, Mosca.

Foto: Fine Art / Scala, Firenze

Una giovane malinconica

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Una giovane malinconica

Un’espressione serena, anche se velata di tristezza, caratterizza la giovane donna raffigurata nel ritratto proveniente dal grande cimitero romano di Hawara, non lontano da al-Fayyum. Museo Egizio, Il Cairo.

Foto: S. Vannini / Corbis / Getty Images

Volti infantili

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Volti infantili

I bambini sono uno dei gruppi più rappresentati nei ritratti del Fayyum; il fatto che siano così numerosi è indicativo dell’elevata mortalità infantile dell’epoca. La piccola di questo ritratto, probabilmente di circa cinque anni, indossa una collana con lunule, gli amuleti che proteggevano dal malocchio indossati dalle bambine romane.

Foto: S. Vannini / Dea / Album

I due fratelli

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I due fratelli

Ritrovato ad Antipoli nel 1896, questo doppio ritratto è stato sempre presentato come il «tondo dei due fratelli», anche se alcuni studiosi ritengono si possa trattare di due amanti. Accanto al ritratto di destra c’è una figura di Ermanubi, fusione di Ermes e Anubi, e accanto a quello di sinistra è raffigurato Osirantinoo, fusione di Osiride e il divinizzato Antinoo, il giovane bitinio amante dell’imperatore Adriano che morì in Egitto.

Foto: S. Vannini / Corbis / Getty Images

Con i migliori gioielli

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Con i migliori gioielli

I ritratti del Fayyum permettono di osservare nei dettagli gioielli, ornamenti e pettinature dell’epoca. La giovane raffigurata nel ritratto indossa orecchini a forma di bacchetta con tre ciondoli alle cui estremità pende una perla, caratteristici dell’Egitto del II secolo d.C. e presenti in molti ritratti. La ragazza sfoggia anche varie collane e una catena d’oro con una grande pietra preziosa.

Foto: AKG / Album

Giovane uomo

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Giovane uomo

Il ritratto, conservato al Metropolitan Museum di New York, raffigura un uomo con il corpo rivolto verso lo spettatore, che guarda fisso con i suoi grandi occhi neri. La pettinatura segue la moda romana del II secolo d.C., con i capelli ricci acconciati, e una barba folta e ben tagliata mette in risalto le guance incavate. Il colorito olivastro è quello tipico della popolazione mediterranea.

Foto: Art Media / Scala, Firenze

I ritratti del Fayyum, sguardi dall'aldilà

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Per saperne di più

L’apostrofe muta. Saggio sui ritratti del Fayum. Jean-Christophe Bailly. Quodilibet, Macerata, 1998

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