«E udirono i soldati che gridavano ‘il mare, il mare’ e diffondevano questa parola di bocca in bocca. A questo punto tutti si misero a correre, anche gli uomini della retroguardia, e anche le bestie da soma e i cavalli partirono al galoppo». A mostrare la propria gioia sulle sponde del mar Nero erano i sopravvissuti dell’esercito di 10mila mercenari greci assoldati da Ciro il Giovane per usurpare il trono di Persia al fratello Artaserse II. Morto Ciro nel 401 a.C. a Cunassa, a nord di Babilonia, i Diecimila rimasero orfani di una guida e abbandonati in un continente ostile. Ma, avvistato il mare, i mercenari sapevano che il peggio era passato e che le acque li avrebbero riportati a casa. In molti riconosceranno l’episodio, narrato nel IV libro dell’Anabasi di Senofonte, storiografo e soldato impegnato nella missione. Ma forse non sono così familiari le circostanze che avvolgono la formazione di contingenti come questo, le speranze, le paure e la vita dei soldati di fortuna.
Senofonte e i mercenari della spedizione dei Diecimila arrivano sulle sponde del mar Nero. Gustave Doré. XIX secolo
Foto: Mary Evans / Scala, Firenze
Sebbene gli avvenimenti narrati nell’Anabasi risalgano al V-IV secolo a.C., quando si formarono i grandi eserciti dei mercenari greci, questo modo di guadagnarsi da vivere risale al Medioevo ellenico, l’epoca che seguì la caduta della civiltà micenea. Ma forse anche prima, a metà del VIII secolo a.C., ai tempi di Omero, vi furono mercenari greci al servizio dell’impero assiro, che decenni dopo lottarono contro di questo e al servizio di faraoni egizi che cercavano un sostegno efficace negli “uomini di bronzo”, espressione con la quale lo storico Erodoto alludeva all’armamento di quei guerrieri. Già nel secolo VII a.C. vi erano avventurieri con nomi di fama immortale, come il mercenario e grande poeta giambico Archiloco di Paros, che le fonti descrivono come un uomo duro e disincantato, un cinico eroe stanco.
A ogni modo, dobbiamo distinguere tra i mercenari greci e i barbari. Atene aveva contato, fin dagli inizi del V secolo a.C., sugli abili arcieri sciti, uomini appartenenti a tribù delle steppe tra mar Caspio e mar Nero, come una sorta di corpo di polizia. Ma fu soprattutto in Occidente, più precisamente in Sicilia, che i tiranni di Siracusa e di altre poleis o città-Stato greche iniziarono a reclutare migliaia di italici (campani, lucani e liguri), gallici e iberici in contingenti minori, considerati alla stregua di “carne da macello” sacrificabile nelle battaglie.
Le ragioni del mercenarismo
In queste pagine ci riferiremo solo ai mercenari greci, più noti perché solitamente combattevano come opliti (cioè come fanti pesantemente armati), e come peltasti (soldati di fanteria con armamento leggero), benché non necessariamente furono sempre i più efficaci. Alcuni fra gli opliti dei Diecimila provenienti da Rodi dovettero improvvisarsi frombolieri, un’abilità che si acquisiva durante l’infanzia, per poter affrontare gli arcieri persiani nella loro ritirata verso il mar Nero.
Combattenti sanniti in un affresco del IV secolo a.C. rinvenuto a Poseidonia (Paestum), colonia greca. Museo Archeologico Nazionale, Napoli
Foto: Luisa Ricciarini / Prisma
La guerra del Peloponneso, combattuta fra Atene e Sparta tra il 431 e il 404 a.C., lasciò al suo termine migliaia di uomini che per anni avevano solo combattuto senza svolgere altre attività e conoscevano unicamente questo modo di vivere. Lo sviluppo della guerra segnò anche una forte crisi del modello bellico convenzionale, basato su una milizia di opliti formata da cittadini che difendevano la loro poleis quando era necessario. Gli assedi e le lunghe campagne, anche invernali, favorirono la formazione di corpi sempre più specializzati.
In epoca arcaica alcuni mercenari erano individui di un certo rango esiliati per motivi politici, o avventurieri in cerca di prestigio oltre che del bottino, al servizio di potenze come la Lidia o la Persia. Ma dalla fine della guerra del Peloponneso la causa principale del mercenarismo fu la povertà, che sovente colpiva figli di contadini senza terre sufficienti dove stabilirsi. Questo significò che tra il 399 e il 375 a.C. ci sarebbero mai stati non meno di 25mila mercenari greci in servizio, cifra che si duplicò nelle decadi successive.
“Condottieri” e maestri d’armi
La guerra del Peloponneso vide la nascita anche di generali di professione, come lo spartano Brasida. Questo fenomeno si accentuò nel IV secolo a.C. con la comparsa di grandi capi militari che, senza rinunciare alla loro cittadinanza d’origine, arrivarono a trasformarsi in autentici condottieri che mettevano le loro truppe al servizio del miglior offerente. Tra loro risaltano figure di origini più varie, come lo stesso Senofonte, Ificrate, Cabria o Carete di Atene, che raggiunsero grande fama nell’epoca in cui vissero e che in alcuni casi arrivarono a dirigere truppe contro la loro stessa città natale. Questi generali erano eccellenti: nella battaglia di Anfipoli, in Tracia, Brasida poté capire, scorgendo l’oscillazione e il movimento irregolare delle lance della formazione ateniese nemica, che i suoi nemici erano nervosi e quindi partivano sconfitti già dal principio, cosa che, da buon osservatore, fece notare ai suoi uomini.
Due opliti provvisti di scudi si affrontano in duello alla presenza di Atena ed Ermes. Vaso del VI secolo a.C. Louvre, Parigi
Foto: H. Lewandowski / RMN-Grand Palais
In quest’epoca sorse un altro tipo di specialista, l’oplomaco, che andava di città in città offrendo i suoi servizi come maestro di armi e insegnante di tattica. Le sue lezioni si andarono imponendo e migliorarono l’istruzione nel combattimento, fino al punto che la disciplina e l’efficacia degli uomini allenati dall’oplomaco raggiunsero livelli di eccellenza tali da superare le capacità degli spartani. Grazie a Senofonte e Diodoro Siculo sappiamo che migliaia di mercenari erano capaci di realizzare all’unisono e al suono di trombe movimenti di armi “in ordine chiuso”, manovre che risultavano imponenti nelle sfilate e schiaccianti sul campo di battaglia.
Lealtà ed efficacia
Nel VI secolo a.C. i mercenari greci servirono il Ciro il Grande di Persia contro tutti i nemici, inclusi, poiché era una pratica accettata, altri greci. E servirono anche aspiranti al trono persiano (come fecero i Diecimila) e le diverse città nelle interminabili guerre che scossero l’Ellade. Talvolta, nell’esercito vi erano semplici cittadini, ma più spesso i contingenti erano formati da professionisti.
Malgrado la cattiva fama riscossa nei posteri, i mercenari non furono particolarmente sleali nei confronti dei loro datori di lavoro, sempre che venissero rispettate le condizioni del contratto, soprattutto in ciò che si riferiva alla paga e al bottino. Diodoro Siculo narra che, nel 301 a.C., durante la IV guerra dei Diadochi, i generali di Alessandro Magno che si suddivisero l’impero alla morte del macedone, quasi tremila mercenari abbandonarono Lisimaco di Tracia e passarono al suo nemico Antigono I Monoftalmo, che pagò loro gli arretrati che avevano reclamato al primo e ne comprò la lealtà con elargizioni.
Alessandro Magno vinse contro l’esercito persiano, che includeva migliaia di mercenari greci. Dipinto del XVIII secolo. Bourg-en- Bresse, Francia
Foto: Bridgeman / Index
Più raro è il caso di un contingente mercenario d’élite che abbandonasse il vincitore, passasse al vinto e invertisse il risultato della battaglia. È esattamente ciò che avvenne alcuni anni prima quando, dopo la battaglia di Gabiene (316 a.C.), gli argyraspides o “scudi d’argento”, veterani di Alessandro Magno considerati invincibili, abbandonarono Eumene di Cardia e passarono tra le fila di Antigono Monoftalmo quando si resero conto che la cavalleria di quest’ultimo, che era già sconfitto, aveva rubato i loro averi, le donne e la prole. I veterani negoziarono segretamente con Antigono e consegnarono il loro generale (poi giustiziato) per rientrare in possesso dei loro beni e delle famiglie. Non c’è da stupirsi che il nuovo committente di questa unità d’élite, Antigono, non fidandosi, li spedì poi in Aracosia (l’odierno Afghanistan), dove gli “scudi d’argento” furono impiegati in missioni suicide. Il numero degli argyraspides finì dunque con il diminuire sempre più, finché questi guerrieri non scomparvero.
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Temuti dall’avversario
Nonostante autori conservatori come lo storico Polibio (vissuto nel secolo II a.C.) prediligessero le truppe formate da cittadini perché considerate più affidabili, gli scrittori più antichi riconoscevano la maggiore efficacia dei professionisti della guerra. Già nel 391 a.C. Ificrate, generale di una forza di mercenari al servizio di Atene, dimostrò nella battaglia del Lecheo che la sua fanteria di peltasti poteva sconfiggere i temibili opliti spartani.
Senofonte, nel V secolo a.C., racconta nelle Elleniche l’opinione del generale tessalo Giasone di Fere: «Ho circa seimila mercenari stranieri contro i quali non potrebbe combattere nessuna città», diceva; e pensava che se una polis avesse potuto riunire un simile numero di cittadini armati non sarebbero stati combattenti di uguale qualità, perché «le armate cittadine comprendono uomini di età già avanzata e giovani non ancora maturi», invece al suo comando «nessuno prende una paga se non ha la mia stessa resistenza alla fatica».
Corazza di bronzo decorata con una testa di Medusa. IV secolo a.C. Museo Nazionale della Magna Grecia, Reggio Calabria
Foto: L. Ricciarini / Prisma
Nel IV secolo a.C. Aristotele controbatteva, nella sua Etica Nicomachea, che, se le situazioni volgevano al peggio, i mercenari fuggivano, mentre i cittadini mantenevano le fila. Plutarco, storico del I secolo d.C., parla della vergogna degli orgogliosi opliti quando vennero sconfitti da semplici misthophoroi, “coloro che prendono la paga” (misthos).
Fu molto celebrato l’atteggiamento del comandante ateniese Cabria che, in una battaglia contro gli spartani, nel 378 a.C., durante la Guerra beotica, ordinò ai suoi mercenari di «far riposare le armi», cioè di attendere con gli scudi sulle ginocchia e le lance puntate in avanti, mostrando grande disprezzo per i nemici. I mercenari obbedirono senza esitazione a questo rischioso ordine, e gli spartani di Agesilao II, stupefatti, trattennero l’avanzata.
Narra Diodoro Siculo nella Bibliotheca historica che nel 340 a.C. un esercito di mercenari fu provvidenzialmente inviato dal re persiano Artaserse III in aiuto alla città di Perinto, vicino a Bisanzio, assediata da Filippo II di Macedonia. I macedoni non dimenticarono i danni che gli efficienti mercenari greci erano in grado d'infliggere ai nemici: dopo la sua vittoria sui persiani nel 334 a.C. sul fiume Granico, nella Turchia nordoccidentale, Alessandro Magno ordinò di massacrare i mercenari greci comandati da Memnone, uomini che – come accadeva a migliaia di greci da molte decadi – avevano combattuto al fianco dei persiani con lealtà ed efficienza. Il sovrano macedone aveva cambiato improvvisamente le regole del gioco, considerando i soldati prezzolati traditori della sua personale crociata dell’ellenismo contro i Persiani.
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