I corsari di Algeri, il terrore del Mediterraneo

Nel XVI secolo i corsari barbareschi insediati ad Algeri seminarono il terrore nel Mediterraneo, dove ridussero in schiavitù migliaia di persone. Il loro potere militare si basava sui rinnegati, cristiani forzatamente convertiti all’Islam

Nel novembre del 1540 una flotta composta da sedici navi – tra galee, galeotte, fuste e brigantini – approdò a Gibilterra, presso La Caleta (oggi Catalan Bay). A bordo vi erano più di mille cristiani, costretti a prestare servizio come rematori, e circa duemila musulmani, tra marinai e soldati. Erano corsari barbareschi giunti da Algeri con il proposito di saccheggiare la città che la regina spagnola Isabella la Cattolica aveva definito la chiave della Spagna. Tra gli assalitori vi era un gran numero di rinnegati – come erano detti i cristiani convertiti all’Islam – e di moriscos, musulmani spagnoli sfuggiti alla persecuzione che subivano nella Penisola iberica. Un drappello di uomini entrò a Gibilterra in avanscoperta; vestiti come cristiani passeggiarono tranquillamente per le vie della città con lo scopo di sondarne le difese. Tornarono in seguito alle navi comunicando la notizia che tutti si aspettavano: Gibilterra non era in allerta.

«È terribile vedere con quale furore attaccano un vascello», scriveva un autore del XVII secolo sugli abbordaggi come quello raffigurato in questo dipinto di Andries Van Eertvelt

«È terribile vedere con quale furore attaccano un vascello», scriveva un autore del XVII secolo sugli abbordaggi come quello raffigurato in questo dipinto di Andries Van Eertvelt

Foto: Album

«È terribile vedere con quale furore attaccano un vascello», scriveva un autore del XVII secolo sugli abbordaggi come quello raffigurato in questo dipinto di Andries Van Eertvelt

 

 

Nel frattempo le guardie della Rocca avevano scoperto la vasta flotta, ma al “chi va là” delle sentinelle alcuni rinnegati risposero in perfetto castigliano, fingendo di far parte dell’equipaggio delle galee spagnole incaricate di proteggere la costa. Le guardie gli credettero senza indugio. Il giorno successivo, all’alba, i corsari lanciarono il loro attacco a sorpresa contro la città. Quando le campane risuonarono per dare l’allarme, centinaia di pirati avevano già invaso le strade di Gibilterra, seminando il terrore con saccheggi e razzie. I cronisti descrivono l’assalto come una serie di piccole scaramucce. Quando le forze spagnole si furono riorganizzate i corsari evitarono lo scontro diretto, secondo la loro consueta strategia; rimasero nella città per alcune ore, depredarono impunemente decine di case e rapirono un gran numero di persone, quasi tutte donne e bambini. Avevano così raggiunto il loro obiettivo.

Incursioni come questa erano all’ordine del giorno sulle coste iberiche nel Cinquecento, paradossalmente il secolo in cui la Corona spagnola aveva raggiunto l’apice della sua potenza politica e militare. Tali episodi erano la diretta conseguenza dell’esistenza di diverse città corsare in Barberia, regione nordafricana corrispondente all’attuale Maghreb. Non a caso Cervantes, nella sua novella La sguattera illustre, scrisse a proposito di Zahara, un paese nella provincia di Cadice: «Ma tutta quella dolcezza che ho qui dipinta ha mescolato un succo amaro di aloe che l’amareggia ed è questo, il non poter dormir un sonno che sia sicuro, senza timore che li trasportino da Zahara in Barberia».

'La morte di Dragut', capitano dell'assemblea dei corsari di Algeri. Giuseppe Calì. 1867. Museo delle belle arti, La Valletta

'La morte di Dragut', capitano dell'assemblea dei corsari di Algeri. Giuseppe Calì. 1867. Museo delle belle arti, La Valletta

Foto: Photoaisa

Algeri, il centro propulsore

Sembra che gli storici non abbiano tenuto abbastanza in considerazione le ripercussioni dei saccheggi corsari, se queste guerre a “bassa intensità” occupano in genere solo le note a margine dei manuali. La pensava diversamente il cronista cinquecentesco Francisco López de Gómara, che proprio in quel periodo scrisse: «Meno sangue spagnolo versarono gli arabi nella distruzione di tutta la Spagna, quando con la forza delle armi la conquistarono, dei corsari che nei nostri tempi tristi ci hanno sottratto i nostri mari; più prigionieri e schiavi hanno preso dalla nostra Spagna i corsari da quarant’anni a questa parte che negli ottocento anni precedenti».

Le città nordafricane implicate furono molte, ma la più potente e temibile fu senz’altro Algeri, principale centro propulsore della corsa barbaresca per quasi tre secoli, non solo per l’ingente numero di corsari che accolse, ma anche per il modello di società che forgiò. Tutto iniziò quando nel 1516, alla morte di Ferdinando il Cattolico, l’emiro di Algeri chiese aiuto ad Aruj Barbarossa – un pirata di origine greco-turca che da anni operava nel Mediterraneo occidentale – con l’intento di liberarsi dal giogo della Corona spagnola di cui era vassallo. Barbarossa non era un semplice corsaro: disponeva di un’imponente flotta ed era stato protagonista di numerose imprese; nel 1504 si era persino impadronito di una delle galee di papa Giulio II presso l’isola d’Elba. Giunto ad Algeri, Aruj non solo cacciò gli spagnoli, ma fece strangolare l’emiro (secondo alcuni lo uccise con le sue mani) e con l’aiuto del fratello s'impadronì della città.

Carta nautica del Mediterraneo disegnata da Vincentius Prunes. XVII secolo

Carta nautica del Mediterraneo disegnata da Vincentius Prunes. XVII secolo

Foto: DEA / ALBUM

Nel clima di anarchia e instabilità caratteristico della Barberia, quel colpo di stato avrebbe potuto generare un’altra congiura di palazzo. Tuttavia l’avventura dei Barbarossa ebbe successo nel lungo termine. Anche se Aruj morì durante un contrattacco degli spagnoli, decisi a recuperare Algeri, suo fratello Khair ad-Din prese in mano la situazione. Dapprima si sottomise al vassallaggio dell’Impero ottomano, ottenendo così la protezione del sultano contro l’imperatore Carlo V, poi estese il suo potere nella fascia costiera intorno ad Algeri e nell’entroterra, dando vita al primo stato barbaresco.

Si pone dunque il quesito di come poté un pugno di avventurieri, con una piccola flotta se paragonata al contesto europeo, consolidare uno stato proprio alle porte della Spagna nell’epoca del suo massimo splendore e diventare un vero incubo per le sue navi e le sue coste nei secoli XVI e XVII. Del resto, la Turchia non difese mai attivamente il suo presunto vassallo, che per la maggior parte della sua storia godette di grande autonomia interna ed esterna. Probabilmente furono tre le ragioni principali del successo di Algeri: l’attività dei suoi corsari, la presenza di una guarnigione di giannizzeri e il protagonismo di una classe particolare, quella dei rinnegati cristiani convertiti all’Islam.

I rinnegati erano una componente rilevante della società algerina. Molti di loro si guadagnarono la libertà e il successo

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Giannizzeri e rinnegati

Consapevole della sua inferiorità rispetto alla Spagna, Khair ad-Din si rivolse alla Sublime Porta (traduzione del termine Bab-i Ali, che designava il governo dell’Impero ottomano) e il sultano gli inviò una guarnigione dei suoi soldati d’élite: i giannizzeri. Questo corpo militare con fama di invincibilità era formato da cristiani dell’Impero ottomano forzatamente arruolati fin da bambini, che venivano educati alla più assoluta lealtà al sultano. La maggior parte di loro seguiva la carriera delle armi per costituire la guardia scelta del sovrano.

Khair ad-Din Barbarossa. Ritratto della metà del XVI secolo. Scuola italiana. Collezione privata

Khair ad-Din Barbarossa. Ritratto della metà del XVI secolo. Scuola italiana. Collezione privata

Foto: Bridgeman

Khair ad-Din Barbarossa. Ritratto della metà del XVI secolo. Scuola italiana. Collezione privata

 

 

I giannizzeri inviati ad Algeri riuscirono nei primi anni a sottomettere gli abitanti berberi autoctoni, detti moros nelle fonti. A partire dal 1560 i comandanti delle navi algerine – o raisaccettarono di farli partecipare alle spedizioni corsare e il loro apporto si rivelò decisivo soprattutto negli scontri corpo a corpo. Con il tempo, le fila dei giannizzeri di Algeri non furono più alimentate dai fanciulli delle famiglie cristiane e ne entrarono a far parte anche i figli dei Turchi e specialmente i figli dei giannizzeri stessi; intatte rimasero invece le loro abitudini austere, la loro disciplina e la loro efficienza guerriera.

Tuttavia, il gruppo sociale più peculiare del regno corsaro di Algeri, la classe che ne costituì la radice e la ragione dei suoi successi, furono i rinnegati. Si trattava di uno dei ceti dominanti di Algeri, certamente al di sopra dei mori autoctoni, che subivano discriminazioni. Avevano origini disparate. Vi furono avventurieri di religione ortodossa o protestante che, già adulti, si convertirono all’Islam per pura ambizione, attratti dalle opportunità che si aprivano nel regno corsaro. Ma questa non era la norma. La gran parte dei rinnegati, infatti, era costituita dagli stessi cristiani catturati e resi schiavi dai corsari nelle loro razzie; prigionieri che, ripudiando la propria religione, speravano di ottenere un trattamento migliore ed evitare di essere condannati a prestare servizio come galeotti. Molti di loro, con il tempo, riuscirono a guadagnare la libertà e a integrarsi nella società algerina.

'Carlo V contro Barbarossa'. Disegno per arazzo. Jan Cornelisz. Kunsthistorisches Museum, Vienna

'Carlo V contro Barbarossa'. Disegno per arazzo. Jan Cornelisz. Kunsthistorisches Museum, Vienna

Foto: Erich Lessing / Album

In ogni caso, a infoltire le schiere dei corsari furono soprattutto i bambini rapiti durante le incursioni sulle coste cristiane, i quali venivano istruiti all’Islam e poi educati, come i giannizzeri, a obbedire a chi li catturava, un vero e proprio padre e padrone. L’educazione consisteva in una rapida islamizzazione e nell’apprendimento dei lavori a cui i giovani prigionieri erano destinati. Se i loro rapitori erano corsari, anche loro lo sarebbero divenuti. Per questo finivano a lavorare sulle navi, dove passavano per tutti i gradi di formazione fino a diventare, una volta raggiunti tutti i meriti necessari, comandanti. Si trasformavano così in forze specializzate nel saccheggio.

L’efficienza delle navi corsare

I rinnegati furono l’anima di Algeri nonché la sua arma vincente. Se si erano convertiti da adulti, conoscevano alla perfezione i loro paesi d’origine e le loro coste, parlavano la lingua locale e, come nel caso del sacco di Gibilterra, la loro presenza si rivelava molto utile durante gli attacchi alle popolazioni cristiane. Coloro che erano stati catturati da piccoli, invece, erano stati educati sin dalla tenera età per il loro incarico ed erano stati accuratamente selezionati tra i più adatti. In una società ricca di opportunità come quella di Algeri, solo i migliori raggiungevano le posizioni più alte.

Castello di San Felipe a Puerto de La Cruz (Tenerife). Bastione difensivo edificato nel XVII secolo

Castello di San Felipe a Puerto de La Cruz (Tenerife). Bastione difensivo edificato nel XVII secolo

Foto: Nico Stengert / Age Fotostock

Castello di San Felipe a Puerto de La Cruz (Tenerife). Bastione difensivo edificato nel XVII secolo

 

 

Inoltre il successo dell’attività corsara dei marinai di Algeri dipendeva molto dai loro vascelli. Mentre le galee cristiane tendevano ad ampliarsi e a includere un’artiglieria sempre più poderosa, fino a diventare vere e proprie fortezze galleggianti, le galeotte algerine conobbero un’evoluzione opposta: erano piccole in confronto alle galee cristiane, spiccavano per manovrabilità e leggerezza ed erano prive degli orpelli non necessari e anche dell’artiglieria: i corsari raramente utilizzarono nei loro assalti poco più di un falconetto a prua. Questo aspetto è tipico dei pirati di ogni epoca e luogo, poiché obiettivo dell’artiglieria è affondare le navi mentre lo scopo del pirata è impadronirsene. I corsari si servivano di fucili e armi bianche e sfruttavano l’effetto sorpresa e stratagemmi di ogni sorta: travestimenti, false bandiere, imboscate… Tutti espedienti in cui la doppia natura dei rinnegati giocava un ruolo rilevante.

Nondimeno l’impatto maggiore dei pirati barbareschi sulla Spagna del XVI secolo non si registrò in mare aperto, ma sulle coste. Uno dei vantaggi delle galee sulle caracche spagnole – dei bastimenti a vela, da carico e da guerra, attrezzati normalmente con tre alberi – consisteva nella loro capacità di raggiungere facilmente le spiagge. Il loro scarso pescaggio permetteva loro di avvicinarsi fino alla sabbia senza dover utilizzare scialuppe; i corsari potevano così sbarcare velocemente e poi reimbarcarsi dopo l’attacco con altrettanta rapidità, sfuggendo al probabile inseguimento delle popolazioni depredate e sul piede di guerra.

Elmo di Solimano. In oro e pietre preziose, si trova oggi al Museo di Topkapi, Istanbul

Elmo di Solimano. In oro e pietre preziose, si trova oggi al Museo di Topkapi, Istanbul

Foto: Art Archive

Il bottino più ambito

Il principale obiettivo dei corsari barbareschi erano i prigionieri. Durante le loro spedizioni essi raramente si accanivano sulle vittime perché miravano al sequestro e al conseguimento di un riscatto. In genere lo riscuotevano sulla stessa costa spagnola, pochi giorni dopo l’assalto. Se la negoziazione aveva successo, gli ostaggi recuperavano la libertà e i rapitori se ne andavano con il bottino. Ma se non si giungeva a un accordo i prigionieri venivano portati nel famoso bagno penale di Algeri, il carcere in cui fu gettato, tra molti altri, persino Miguel de Cervantes nel 1575.

Lì i malcapitati attendevano di essere riscattati dai parenti o, nell’ipotesi peggiore, di essere venduti al mercato degli schiavi. I prezzi variavano a seconda della classe e delle possibilità dei loro familiari, ma anche dell’età e del sesso. Raramente si barattavano i bambini, poiché troppo preziosi: rappresentavano un investimento e un’importante garanzia di futuro per il corsaro e, in caso di vendita, il loro prezzo era esorbitante. Anche le donne, soprattutto se giovani e belle, erano oggetto di compravendita. Erano infatti prede ambite da collocare sul mercato come concubine per gli harem dei ricchi signori ottomani, ma erano utilizzate anche come semplici domestiche. Il loro prezzo poteva essere ancora più elevato di quello dei bambini.

Vista della città di Algeri sotto il protettorato di Solimano il Magnifico. XVI secolo. Museo nazionale delle arti d'Africa e d'Oceania, Parigi

Vista della città di Algeri sotto il protettorato di Solimano il Magnifico. XVI secolo. Museo nazionale delle arti d'Africa e d'Oceania, Parigi

Foto: DEA / ALBUM

Vista della città di Algeri sotto il protettorato di Solimano il Magnifico. XVI secolo. Museo nazionale delle arti d'Africa e d'Oceania, Parigi

 

 

La fine della pirateria

Il XVII secolo fu un periodo di ampi rivolgimenti. Il Mediterraneo smise di essere il centro del mondo e l’asse della ricchezza e del potere si spostò verso il Mare del Nord. Di conseguenza, anche i corsari trasferirono progressivamente il campo delle loro operazioni nell’Atlantico. Questo provocò ulteriori cambiamenti. Innanzitutto, si abbandonò l’utilizzo delle galee e si preferirono i vascelli d’alto bordo, più adatti per far fronte alle tempeste dell’oceano. Tale scelta indebolì però la capacità dei corsari algerini di assaltare gli insediamenti costieri, con grande beneficio per i Paesi iberici. Bersaglio prediletto dei corsari divennero dunque i ricchi bastimenti provenienti dal Nuovo Mondo. Mutò anche la composizione etnica dei rinnegati, che da quel momento si arricchì di genti provenienti dal nord Europa. È interessante notare che a quell’epoca non pochi corsari algerini erano di origine inglese e olandese.

Nel corso del XVIII secolo la pirateria barbaresca fu segnata da una rapida decadenza. In seguito al ridimensionamento dell’influenza della Spagna sullo scacchiere mondiale, gli algerini erano diventati un ostacolo per tutti, un residuo di un’altra epoca in cui si erano rivelati utili a diverse potenze – Turchi, Francesi, Inglesi e Olandesi – come contrappeso al predominio spagnolo. Contrastati sempre più duramente, i corsari barbareschi resistettero ancora per alcuni decenni, finché la Francia non decise di occupare il loro Paese nel 1830.

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