I 'castros' delle Asturie

Anche se per un certo periodo si è ritenuto che gli insediamenti fortificati del nord della Spagna fossero comparsi dopo la conquista romana, ora si è stabilito che sorsero quasi mille anni prima, alla fine dell’Età del bronzo

Con l’espressione “cultura castrense” di solito s’indicano i popoli che vissero sulla costa cantabrica, nel nord della Spagna, tra la fine della preistoria e la conquista da parte delle legioni dell’imperatore Augusto. Ma l’uso di quest’espressione è stato messo in discussione perché suggerisce l’idea erronea che la civiltà a cui si riferisce sia rimasta invariata nel corso di un millennio di storia. Sebbene questa critica abbia delle basi, è anche vero che i termini evocano una cultura specifica vissuta tra paesaggi nebbiosi, foreste e montagne, al cui interno – in un intervallo di tempo non rigido – il castro rappresentò il simbolo e il segno d’identità più forte per gli asturiani, eredi degli antichi cantabri, asturi e galiziani che popolavano le attuali Asturie.

Cos’è un castro?

I castros furono i primi insediamenti stabili e fortificati di cui si abbia testimonianza nel nord-ovest della penisola iberica. La loro ubicazione si adattava all’aspro paesaggio delle terre cantabriche, nonostante fossero per lo più situati in una posizione rialzata, più idonea a proteggere gli abitanti, e ulteriormente rafforzata dalla costruzione di palizzate, fossati e mura difensive. Nelle zone interne sorgevano in genere su colline o alture isolate, che permettevano di controllare i corsi dei fiumi e gli specchi d’acqua navigabili. A volte dominavano anche i principali estuari della regione, molto apprezzati dai marinai dell’antichità perché offrivano un luogo di riparo su una costa frastagliata e sferzata dal mare e dai venti come quella cantabrica. Lungo il litorale questi insediamenti si susseguono a intervalli di appena due o tre chilometri – soprattutto a ovest del fiume Nalón –, sfruttando i promontori e le ripide scogliere.

Il 'castro' di Coaña è il primo insediamento studiato: José María Flórez vi effettuò i primi scavi nel 1877

Il 'castro' di Coaña è il primo insediamento studiato: José María Flórez vi effettuò i primi scavi nel 1877

Foto: Stockphotoastur / Getty Images

La prima linea difensiva era di solito costituita da fossati. Lo scavo di queste trincee intorno ai castros, oltre a proteggere, forniva il materiale necessario a costruire case e mura. I fossati potevano raggiungere dimensioni superiori rispetto alle più esigenti precauzioni militari. Al pari delle mura, richiedevano un imponente sforzo collettivo, che forse promuoveva la coesione del gruppo e trasmetteva un’efficace immagine di prosperità e potenza alle comunità vicine. Le cinte difensive, che nei primi insediamenti erano robuste palizzate o recinzioni fatte di pietra e travi di legno, divennero sempre più complesse, adottando una struttura a doppio paramento con riempimento interno. A partire dal IV secolo a.C. abbandonarono il precedente profilo lineare e continuo per essere sostituite da una configurazione a moduli separati che ne migliorava la resistenza.

Quando sorsero?

L’esistenza di recinti fortificati stabili è ben attestata nelle Asturie sin dalla fine del IX secolo a.C., ma diversi siti mostrano segni di popolamento anche nei due secoli precedenti. È il caso di Chao Samartín e Monte Castrelo de Pelóu (nel comune spagnolo di Grandas de Salime), Os Castros (Taramundi) e Campa Torres (Gijón). L’occupazione – continua o intermittente – proseguì fino alla sconfitta contro i romani e alla perdita dell’indipendenza. In seguito alcuni insediamenti furono abbandonati, mentre altri sopravvissero per decenni. Gli storici suddividono questo periodo di quasi mille anni in fasi culturali distinte.

'Castro' di San Chuis. La prima occupazione del sito dotato di un muro e di un fossato risale all’VIII secolo a.C.

'Castro' di San Chuis. La prima occupazione del sito dotato di un muro e di un fossato risale all’VIII secolo a.C.

Foto: Fernando Fernández / Age fotostock

La prima, che va dalla tarda Età del bronzo all’inizio dell’Età del ferro, durò fino alla metà del I millennio a.C. Ne sono i migliori esempi i castros di Camoca e El Olivar (entrambi a Villaviciosa), Coaña e i già citati Taramundi, Campa Torres e Chao Samartín. In quest’ultimo, la parte più alta dell’insediamento era circondata da un muro che delimitava un ampio spazio intorno a una singolare cresta di quarzite. Alle porte di questo recinto gli archeologi hanno trovato una specie di nicchia scavata nel terreno e coperta da una lastra di pietra, sotto la quale era custodita una parte del cranio di una ragazza morta a circa quindici anni di età. Il teschio fu sepolto lì intorno all’800 a.C., forse in seguito al sacrificio della giovane, oppure al recupero delle spoglie di una qualche antenata mitica, esumata in una delle tombe neolitiche così frequenti nelle immediate vicinanze dell’insediamento.

Si possono solo fare ipotesi in merito alle intenzioni di chi creò una nicchia così curata ai piedi delle mura. Forse la sepoltura era connessa a qualche evento importante per la comunità, probabilmente tragico o relativo alla fondazione dell’insediamento. Si tratta, in ogni caso, di un comportamento praticato fin dalla preistoria per rafforzare il nesso con gli antenati, cercarne la protezione e rivendicare la legittimità della propria stirpe.

Non ci sono prove che il recinto rialzato di Chao Samartín, denominato “acropoli”, fosse uno spazio abitativo. Al contrario, i manufatti recuperati durante gli scavi suggeriscono che avesse uno scopo cerimoniale, forse legato ad attività rituali e comunitarie. Al suo interno sorgeva un unico grande edificio, con la porta che dava sulla cresta di quarzite ai piedi della quale ardeva costantemente un falò.

Vita quotidiana

L’esistenza di grandi case destinate al servizio della comunità divenne abituale in epoche successive, nella cosiddetta seconda Età del ferro, tra il IV e il I secolo a.C. Nei castros della Cantabria occidentale, a queste case si accompagnavano alcuni edifici molto particolari: le saune castrensi. Sia le case sia le saune erano teatro di liturgie connesse all’attività politica o religiosa della comunità. La sauna fu una delle creazioni più originali dei popoli delle Asturie e della Galizia dell’Età del ferro. Erano destinate alla pratica cerimoniale dei bagni di vapore e legate a rituali di purificazione e iniziazione. Si trattava di piccoli monumenti in cui gli abitanti degli insediamenti amministravano il potere benefico delle divinità che, come la dea Navia (da cui prenderebbe nome il fiume cantabrico), risiedevano nelle acque primordiali delle sorgenti e dei letti dei fiumi.

Sauna castrense costruita intorno al IV secolo a.C.

Sauna castrense costruita intorno al IV secolo a.C.

Foto: Ángel Villa Valdés

Oltre alle grandi case comuni e alle saune, in questi luoghi sorgeva pure una serie di costruzioni prevalentemente a pianta circolare. A seconda delle zone potevano essere fatte di materiali deperibili collocati su un basamento di pietra e ricoperti di argilla, oppure di pietre tenute insieme con fango; avevano pareti di tre metri di altezza ed erano dotate di un solaio ricoperto con vegetazione. Al centro dell’unica stanza, intorno al camino o al focolare, si riuniva il gruppo familiare. Questo era il luogo che accoglieva gli spiriti degli antenati e dove si rendeva manifesto il rango delle diverse persone che, a quanto riferisce il geografo greco Strabone, sedevano secondo un ordine specifico in base all’età e alla dignità.

Lo stesso autore parla anche dell’importanza della raccolta nell’alimentazione degli abitanti dei castros, soffermandosi in particolare sulle ghiande. Le testimonianze archeologiche mostrano d’altra parte il consumo di legumi e cereali come miglio, avena e farro, di carne di manzo, maiale e capra, e anche di pesce e di molluschi negli insediamenti vicino al mare. All’esterno delle abitazioni, gli archeologi hanno trovato prove della preparazione e del consumo di cibo, probabilmente connessi alla celebrazione di banchetti e sacrifici come quelli descritti da Strabone tra i popoli del nord della penisola iberica.

La maggior parte degli oggetti di uso quotidiano era probabilmente in legno o in fibre vegetali. Strabone ricorda che i popoli del nord «usavano recipienti di legno, proprio come i celti»; e le cronache di Eugenio de Salazar, scritte nel XVI secolo, affermano che alcune comunità delle Asturie occidentali mangiavano e bevevano in «piatti e ciotole di legno», perché preferivano non utilizzare i «piatti in ceramica di Talavera, né in vetro veneziano», in quanto li ritenevano «sporchi e fatti di fango». Di fatto, nei castros asturiani dell’Età del ferro la ceramica scarseggia, e i prodotti esotici come le ceramiche greche o i tipici vasi iberici decorati, detti calatos, sono inconsueti.

Le popolazioni locali conoscevano la lavorazione dei metalli, il che non sorprende in una regione la cui tradizione mineraria risale a 4.500 anni fa, quando si cominciò a estrarre il rame nella Sierra del Aramo (Riosa), a El Milagro (Onís) e a La Profunda (León). I materiali legati alla metallurgia del rame e del bronzo sono molto comuni. In una prima fase le tecniche e i manufatti sono eredi delle tradizioni preistoriche, ma in seguito compaiono nuovi oggetti destinati soprattutto all’ornamento personale, come piccole spille o fibule, tra le quali spiccano quelle a forma di cavallo, considerate un segno delle influenze celtiche provenienti dalla regione limitrofa della Meseta.

Anche se negli insediamenti più antichi sono stati trovati oggetti di ferro, nella prima metà del I millennio a.C. la presenza di questo metallo è molto scarsa. Era infatti ricavato unicamente per mezzo di scambi e poi lavorato tramite forgiatura. Alcuni lingotti così ottenuti, trovati a Camoca, sono esposti nel Museo archeologico delle Asturie di Oviedo, della cui collezione fanno parte i pugnali ad antenna di Taramundi e di Chao Samartín, i più antichi oggetti in ferro realizzati nella zona e rinvenuti fino a oggi. A partire dal IV secolo a.C. gli artigiani cominciarono a padroneggiare i processi siderurgici che resero disponibili nuove armi e nuovi attrezzi agricoli.

Sembra anche che gli specialisti locali fossero particolarmente abili nella lavorazione dei metalli preziosi: utilizzavano non solo le tecniche tradizionali dell’Età del bronzo, ma anche altre di origine meridionale come la saldatura, la granulazione e la filigrana, dando vita a un’oreficeria autentica, le cui creazioni più rappresentative erano torque (anelli da collo), orecchini e diademi.

La 'torque', il collare celtico, è un ornamento d’oro caratteristico dell’oreficeria castrense. Museo archeologico delle Asturie, Oviedo

La 'torque', il collare celtico, è un ornamento d’oro caratteristico dell’oreficeria castrense. Museo archeologico delle Asturie, Oviedo

Foto: Oronoz / Album

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Una società di guerrieri?

In contrasto con l’immagine guerriera proiettata dalle formidabili strutture difensive dei castros e dal carattere bellicoso che gli scrittori classici attribuivano alle popolazioni locali, i reperti archeologici parlano di una società contadina e dotata di un orientamento egualitario, in cui i ruoli di comando dovevano avere un carattere onorifico.

È inoltre evidente l’importanza delle donne in ruoli chiave della società per garantire la coesione del gruppo e la legittima trasmissione della stirpe; e i testi classici ne evidenziano l’unicità dell’abbigliamento, l’audacia del carattere o lo status di legittime destinatarie dell’eredità familiare. A ciò si aggiungono le varie testimonianze dell’importante ruolo ricoperto dalle donne nelle cerimonie che si svolgevano nelle saune castrensi, dove veniva anche custodito il fuoco comune (simbolo di unità e origini condivise), che periodicamente avrebbe rinnovato quello dei focolari familiari e illuminato la fondazione di nuovi insediamenti.

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