Hoxne, il più grande bottino della Britannia romana

Nel 1992, un cittadino di Hoxne scoprì con il suo metal detector uno straordinario deposito di monete, vasellame e gioielli di epoca romana

«Eric ritrova un tesoro di dieci milioni di sterline. Impressionante!». Questo era il titolo del giornale britannico The Sun il 19 novembre 1992: era la prima volta che una scoperta archeologica occupava la sua copertina. L’occasione lo meritava. Era appena trapelata alla stampa la scoperta, a Hoxne, nella contea di Suffolk, del più grande tesoro di pezzi in oro e argento mai rinvenuto nei territori dell’impero romano. La foto in prima pagina ritraeva un orgoglioso Eric Lawes, abitante del paese, descritto come un “cacciatore di tesori”, con il metal detector alla mano.

Dettaglio delle monete d’oro e d’argento, di varie tipologie e coniate sotto diversi imperatori, contenute nel tesoro di Hoxne. British Museum

Dettaglio delle monete d’oro e d’argento, di varie tipologie e coniate sotto diversi imperatori, contenute nel tesoro di Hoxne. British Museum

Foto: The Trustees of the British Museum / Scala, Firenze

Il prodigioso evento risaliva a tre giorni prima. Il 16 novembre Eric Lawes cercava con il suo metal detector il martello che l’amico Peter Whatling aveva perso mentre lavorava. Lo strumento cominciò a emettere segnali che indicavano la presenza di oggetti metallici. Non si trattava del martello, bensì di una serie di catene in oro, monete e cucchiai in argento. Riempì in totale due buste di plastica, ma il metal detector continuava a segnalare la presenza di altro materiale nel sottosuolo. Lo comunicò all’amico Whatling, e insieme decisero di avvertire del ritrovamento le autorità della contea di Suffolk e il proprietario del terreno.

Per evitare i saccheggi di collezionisti di antichità e appassionati, l’istituto competente della contea decise di effettuare in segreto uno scavo archeologico d’urgenza. Non potevano però immaginare le dimensioni di quanto avrebbero scoperto. A pochi centimetri dalla superficie furono rinvenute diverse scatole di oggetti metallici, ordinati e perfettamente conservati. Alcuni di questi avevano ancora parte della stoffa nella quale erano stati a suo tempo avvolti.

Scoperta mediatica

La zona fu esaminata per assicurare un recupero completo. Quel giorno, e in occasione di controlli successivi del terreno, fu rinvenuto un totale di 15.234 monete in oro e argento, datate tra il IV e il V secolo, e circa centocinquanta pezzi risalenti allo stesso periodo, tra cui vasellame e gioielli. Fu ritrovato anche il martello che Whatling aveva perso. Tutti i reperti (martello compreso) furono trasferiti al British Museum per essere sottoposti a un’analisi meticolosa.

Martello di Peter Whatling. British Museum, Londra

Martello di Peter Whatling. British Museum, Londra

Foto: The Trustees of the British Museum / Scala, Firenze

Ogni tentativo di mantenere segreto il sito al fine di completare le ricerche fallì. Solo settantadue ore dopo il giornale The Sun svelò la scoperta. Il giorno successivo, il 20 novembre, il British Museum convocò una conferenza stampa e annunciò ufficialmente quel poco che si conosceva sul ritrovamento. Un anno dopo fu comunicato che, in accordo con la legge inglese, il tesoro non poteva essere reclamato dai proprietari del terreno a causa della sua antichità. Dal canto loro, gli scopritori ricevettero un premio in denaro per il valore di 1,75 milioni di sterline, stabilito dal Comitato di valutazione del tesoro, il Treasure Trove Reviewing Committee. Eric Lawes condivise equamente la cifra con l’amico Whatling.

Al riparo nello scrigno

Sin da subito fu riconosciuta l’onesta condotta di Lawes e Whatling, che anteposero la cultura al proprio interesse personale e collaborarono alle prime indagini, effettuate in fretta per evitare che si divulgasse subito la notizia. Gli archeologi riuscirono a individuare la posizione rettilinea dei reperti e la presenza di chiodi e puntelli, e confermarono che gli oggetti erano stati depositati accuratamente in varie scatole, a loro volta disposte in uno scrigno di rovere di 60x45x30 cm, decorato con un intarsio osseo e chiuso con lucchetti d’argento.

Probabilmente erano stati riposti prima gli oggetti personali e il vasellame, poi le monete in oro, certamente in un sacchetto oggi scomparso e, solo alla fine, erano state inserite le monete d’argento per riempire gli spazi liberi all’interno dello scrigno. Inoltre, gli archeologi trovarono traccia di un foro nel terreno, corrispondente forse a un palo, utilizzato come segnale dal proprietario per ritrovare il luogo di sepoltura dei propri averi. Anche il martello perduto di Peter Whatling fu recuperato e successivamente donato al British Museum.

Catena per il corpo in oro e ametista. Le catene poggiavano sulle spalle e sotto le braccia, e poi si univano sul petto e sul dorso

Catena per il corpo in oro e ametista. Le catene poggiavano sulle spalle e sotto le braccia, e poi si univano sul petto e sul dorso

Foto: The Trustees of the British Museum / Scala, Firenze

L’origine del tesoro

L’informazione fornita dalle monete ha consentito ai ricercatori di datare l’occultamento del tesoro agli inizi del V secolo, con molta probabilità intorno alla fine della prima decade. Le monete più antiche vennero coniate all’epoca di Costantino II (337-340 d.C.) e le più moderne sotto il regno di Costantino III (407-411 d.C.). In totale sono stati recuperati cinque tipi di monete: circa 580 solidi d’oro, sessanta miliarenses d’argento, ventiquattro nummi e oltre 14.500 siliquae di argento, quasi tutte gravemente tosate, tranne due intere e cinque tosate. La tosatura consisteva nell’asportazione di parte del metallo dai bordi allo scopo d'impadronirsene. Questo “trattamento” finiva per far assumere alla moneta forme particolari.

Le 15.234 monete erano state coniate in quattordici luoghi diversi, corrispondenti alle attuali Italia, Francia, Croazia, Serbia, Grecia e Turchia. Tra queste, spiccano anche delle riproduzioni della moneta ufficiale in circolazione. Lo scrigno conteneva inoltre centocinquanta oggetti d’uso quotidiano e personale, ordinati con attenzione, avvolti in un panno e raccolti in varie scatole. Sono stati recuperati ventinove gioielli di eccellente qualità, tra cui catene, braccialetti, anelli e collane. Tra questi, un completo di ornamenti femminili per il corpo unico nel suo genere, di cui finora è stato ritrovato un solo esemplare più antico, proveniente dall’Egitto.

Su uno dei bracciali, decorati con scene di caccia tipiche dell’epoca, è incisa l’iscrizione Utere Felix Domina Iuliane, ovvero «Usa [questo bracciale] felicemente, signora Giuliana», forse un regalo da un membro della sua famiglia o da qualcuno di rango inferiore. I restanti pezzi, in argento, sono perlopiù vasellame: diciannove mestoli e novantotto cucchiai di diverso tipo, quattro scodelle e bricchi, e sei vasi e ciotole. La collezione comprende anche il manico di un’anfora, a forma di tigre, che era stato rotto prima di nascondere il tesoro, e svariati utensili per la toletta personale, come alcuni pezzi che a un’estremità servivano da stuzzicadenti e all’altra da bastoncini per le orecchie. Spiccano poi quattro piccoli recipienti per contenere il pepe. La più particolare di tali pepaiole raffigura il busto di un’imperatrice del IV secolo che, a giudicare dall’acconciatura, alcuni studiosi hanno identificato con Elena, la madre di Costantino, per il suo legame con il cristianesimo. Le altre tre rappresentano gli eroi Ercole e Anteo, uno stambecco e un cane che attacca una lepre.

Pepaiola a forma di imperatrice. Il pepe era una spezia molto costosa e tali oggetti erano davvero rari nell’impero romano

Pepaiola a forma di imperatrice. Il pepe era una spezia molto costosa e tali oggetti erano davvero rari nell’impero romano

Foto: The Trustees of the British Museum / Scala, Firenze

Il tesoro ha portato alla luce cinquantadue iscrizioni, alcune delle quali mostrano le credenze cristiane dei proprietari: il monogramma di Cristo, ad esempio, decorava una delle catene in oro per il corpo, mentre sui cucchiai s'identificava un altro monogramma, formato a partire da una croce. Tra i nomi di persona collegati ai possessori degli oggetti, o a membri della famiglia, per ben dieci volte si ripeteva un unico nome, quello di un tale Aurelio Ursicino. L’aspetto più curioso della scoperta è il suo carattere isolato. Non sono stati riscontrati resti di insediamenti rurali o di altro tipo nel raggio di tre chilometri. I siti più vicini sono Scole (a 3,2 km) e Stoke Ash (a 12 km), collegati da una strada romana oggi conosciuta come Pye Road.

Gli studiosi sostengono che nel primo sito è possibile localizzare villa Faustini, menzionata nell’Itinerario di Antonino, un documento del III secolo in cui si raccolgono le rotte dell’impero romano. Va ricordato inoltre che nella stessa Hoxne nel 1732 venne rinvenuta una moneta d’oro di analoga datazione. A circa tre chilometri a sud-ovest della località, nei pressi del fiume Dove, a Eye, nel 1781 alcuni operai ritrovarono una cassa di piombo con 650 monete d’oro databili tra il IV e il V secolo. Le analogie con il tesoro di Hoxne hanno portato alcuni ricercatori a sostenere che i due scrigni potessero appartenere allo stesso nucleo familiare prima di essere sotterrati.

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Depositi affini

In Britannia sono noti più di novantacinque siti simili a quello di Hoxne. La gran parte risale all’ultimo periodo dell’impero romano, quando l’occupazione della Britannia volgeva ormai al termine. Si ritiene pertanto che un tesoro come quello di Hoxne fosse appartenuto a una famiglia facoltosa che aveva deciso di nascondere temporaneamente i propri averi e che, date le circostanze, abbandonò poi la zona.

I curiosi oggetti a forma di uccello con le zampe lunghe si utilizzavano forse da un’estremità come stuzzicadenti e, dall’altra, come bastoncini per le orecchie

I curiosi oggetti a forma di uccello con le zampe lunghe si utilizzavano forse da un’estremità come stuzzicadenti e, dall’altra, come bastoncini per le orecchie

Foto: The Trustees of the British Museum / Scala, Firenze
La Britannia durante il dominio di Roma

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Alcuni ricercatori ricollegano i tesori a specifiche tradizioni del mondo romano. Si tratterebbe, in questo caso, di un deposito votivo o di una prassi di scambio di beni. Si può certamente affermare che il luogo scelto per lasciare il tesoro rispondesse al preciso intento di nasconderlo. E difatti si è mantenuto inalterato per quasi millecinquecento anni, fino a quando una casualità ha modificato il corso della storia. Gli scopritori hanno perso un martello e ritrovato un tesoro che, oggi, è uno dei più famosi d’Inghilterra e costituisce una delle perle del British Museum.

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