«La storia della mia vita è la storia del mio lavoro». Con queste parole Honoré de Balzac definì il suo percorso di vita. Il celebre scrittore francese nacque il 20 maggio 1799 a Tours, una delle principali città della valle della Loira. Nato come Honoré Balssa, prese in seguito il nome di Honoré de Balzac ed è oggi considerato il creatore del romanzo realista, di cui è un esempio la sua opera più nota, La commedia umana, in cui lo scrittore offre un ritratto incisivo della società francese del suo tempo, dalla caduta di Napoleone alla restaurazione della monarchia.
Balzac in un dagherrotipo del 1842
Foto: Cordon Press
Un estraneo per i genitori
L'infanzia di Balzac fu assai complessa. La mancanza di affetto da parte dei genitori segnò duramente il bambino, che alla nascita fu affidato a una nutrice con cui trascorse i suoi primi quattro anni di vita. Il piccolo vedeva i genitori solo due domeniche al mese, come se fosse un estraneo, e quando alla fine poté tornare nella casa paterna la distanza e la freddezza dimostratagli ebbe conseguenze dirette sulla sua vita quotidiana, al punto che non gli era permesso nessun gioco o distrazione. A otto anni Honoré entrò il un collegio della località di Vendôme, dove trascorse i successivi sette anni della sua vita.
La mancanza di affetto da parte dei genitori segnò duramente il bambino
Nel 1814, dopo che Balzac soffrì una malattia di cui si sa poco (lui la definì «una congestione intellettuale»), la sua famiglia si trasferì a Parigi, dove il giovane iniziò a studiare legge, una carriera che i suoi consideravano adeguata a un figlio della buona borghesia. Ciò costituì un altro motivo d'infelicità nella vita di Balzac. Tanta era la pressione esercitata da sua madre, che insisteva sul fatto che dovesse trovarsi un posto nella vita, che in seguito lo scrittore confessò di aver cercato di suicidarsi gettandosi da un ponte. Alla fine, dopo la laurea a pieni voti, Balzac iniziò a destreggiarsi tra il praticantato e l'insegnamento della letteratura all'università della Sorbona. Nel 1820 Balzac iniziò a fare poesia con la tragedia in verso Cromwell, che riuscì a pubblicare insieme ad altri poemi tragici senza ricavarne né infamia né lode. Grazie al cognato potè mostrare la propria opera a un professore del Politecnico di Parigi, il quale, molto educatamente, gli suggerì di abbandonare la poesia e dedicarsi alla prosa.
Un disastro per gli affari
Scoraggiato, nel 1821 Balzac conobbe un altro aspirante scrittore come lui, chiamato Auguste Lepoitevin. Questi apprezzò subito le sue capacità e gli propose di associarsi: Balzac avrebbe scritto romanzi brevi e Lepoitevin li avrebbe venduti agli editori. Balzac riuscì a scrivere tre romanzi sotto pseudonimo, ma l'associazione con Lepoitevin durò meno di un anno. Da allora l'autore decise di cavarsela da solo. La sua idea era di arricchirsi nel minor tempo possibile per potersi dedicare pienamente a quella che considerava la vera letteratura. Fece ogni tipo di lavoro e tra il 1821 e il 1829 scrisse moltissime opere di dubbia qualità sotto diversi pseudonimi: autorizzò perfino che alcune fossero firmate da altri.
Illustrazione che accompagnava la pubblicazione di 'La pelle di zigrino' del 1831
Foto: Pubblico dominio
In quel periodo Balzac iniziò a condurre una vita abbastanza sfrenata, che comportò grosse spese (spendeva i soldi ancor prima di venir pagato). Diversi insuccessi editoriali, come l'edizione in un solo volume delle opere complete di Molière e La Fontaine, e una disastrosa gestione come direttore di una tipografia, di una fonderia di caratteri da stampa e di un giornale costrinsero l'avvocato di famiglia a consigliare a Balzac di liquidare i suoi affari per salvare almeno il buon nome della famiglia. Nell'aprile 1828 i debiti accumulati dallo scrittore ammontavano a 50mila franchi e il suo principale creditore non era altri che sua madre. Alla fine, sorprendentemente, nel giro di due anni riuscì a sanare i suoi affari e la tipografia e la fonderia si dimostrarono buoni investimenti.
Balzac fece ogni tipo di lavoro e tra il 1821 e il 1829 scrisse moltissime opere di dubbia qualità sotto diversi pseudonimi: autorizzò perfino che alcune fossero firmate da altri
Uno scrittore "sfrenato"
Balzac decise allora d'indossare nuovamente la vestaglia bianca che metteva sempre per scrivere e, armato di piuma d'oca, riprese l'attività che più gli piaceva. Lo scrittore si sottoponeva a interminabili sessioni di lavoro giornaliere di anche diciassette ore, scrivendo sempre in compagnia del suo inseparabile amico: il caffè. Nel 1829 pubblicò Gli Sciuani, una cronaca ambientata durante la Rivoluzione francese che per la prima volta firmò con il suo nome. Parve che finalmente il successo bussasse alla sua porta. Balzac iniziò a essere invitato agli eventi dell'alta società parigina, dove si presentava con tenute eccentriche. L'autore s'ispirò ad alcuni dei partecipanti di queste feste per creare molti personaggi delle sue opere. Nel 1831 pubblicò un romanzo semifantastico intitolato La pelle di zigrino che apparve sulla rivista letteraria Revue de Paris.
Lo scrittore si sottoponeva a interminabili sessioni di lavoro giornaliere di anche 17 ore, scrivendo sempre in compagnia del suo inseparabile amico: il caffè
Nel 1832 lo scrittore pubblicò senza sosta e, preso dall'ispirazione, concepì l'idea di creare una serie di romanzi collegati tra loro che ritraessero la società parigina del suo tempo. Racchiuso inizialmente nell'opera Scene di vita privata, questo progetto culminerà poi nel suo capolavoro, intitolato La commedia umana. La raccolta comprende alcuni dei grandi romanzi di quegli anni, come Eugénie Grandet (1833), il suo primo grande successo di vendite, e Papà Goriot (1835), uno dei suoi scritti più famosi. Nonostante la fama, Balzac ricominciò presto ad avere problemi di liquidità in seguito a dei cattivi investimenti. L'autore viaggiò in Sardegna, dove decise di comprare delle antiche miniere romane convinto che si trattasse di un affare. Quando però rientrò a Parigi dopo averle viste di persona, si rese conto di essere stato raggirato.
Copertina dell'edizione illustrata di 'La commedia umana' del 1851
Foto: Pubblico dominio
Nel 1834 Balzac andò a San Pietroburgo per incontrare la contessa Ewelina Hańska, con cui intratteneva un'appassionata corrispondenza dal 1833. Insieme a lei, alla figlia e al suo fidanzato viaggiò per tutta Europa. Alla fine sposò la contessa il 14 marzo 1850 e i due si trasferirono in una lussuosa dimora a Parigi. La felicità però durò poco: il geniale scrittore, la cui salute era in declino, morì di gangrena cinque mesi dopo, il 18 agosto.
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Un osservatore empatico
Il peculiare metodo di lavoro di Balzac consisteva nel buttar giù una bozza del tema che avrebbe affrontato il suo romanzo, a cui poco a poco aggiungeva nuove idee. A volte erano tante che la storia subiva modifiche continue, che facevano impazzire gli stampatori. Alla fine della laboriosa impresa l'opera poteva raggiungere dimensioni colossali e finanche fallimentari, visti i cambi continui a cui era sottoposta. Balzac era uno scrittore tanto perfezionista e puntiglioso in tutto ciò che riguardava il suo lavoro che spesso introduceva molte varianti rispetto al testo iniziale, che sfociavano talora in una nuova edizione.
Il peculiare metodo di lavoro di Balzac consisteva nel buttar giù una bozza del tema che avrebbe affrontato il suo romanzo, a cui poco a poco aggiungeva nuove idee
Balzac non aveva rivali nella padronanza linguistica, come emerge chiaramente dai suoi dialoghi. Lo stile mordace evitava che le storie più tetre sfociassero nel pessimismo più nero grazie a un tocco di humor. Considerato il creatore del realismo letterario, a Balzac viene riconosciuto pure il merito di aver creato un tipo di romanzo in cui gli eventi sono visti dal un osservatore onnisciente. In effetti Balzac fu un grande osservatore e aveva anche una memoria fotografica, nonché un'empatia che lo portava a comprendere gli atteggiamenti, i sentimenti e le motivazioni che muovevano le persone. La sua ambizione era ritrarre la gente, a prescindere dallo status sociale o dal lavoro. La sua opera finì per lasciare un'impronta indelebile, al punto che al suo funerale un altro grande autore, Victor Hugo, pronunciò le seguenti parole: «Da questo momento gli occhi degli uomini guarderanno non alle teste regnanti, ma a quelle pensanti».
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