Henri de Toulouse-Lautrec apparteneva a una nobile e antica famiglia, eppure agli agi dell’aristocrazia preferì la vita notturna parigina, tra champagne, prostitute e derelitti. Era nato il 24 novembre 1864 nel palazzo di famiglia ad Albi, una cittadina non lontana da Tolosa, ed era il primogenito del conte Alphonse-Charles-Marie de Toulouse-Lautrec-Montfa e di Adèle-Zoë-Marie-Marquette Tapié de Céleyran. I due erano cugini di primo grado (le madri erano sorelle) e, come spesso accadeva tra i nobili, si sposarono per non disperdere lignaggio e proprietà. Alphonse e Adèle erano due persone diversissime: libertino lui, pia e morigerata lei, tanto che si separarono quando Henri aveva circa quattro anni. Il piccolo andò a vivere con la madre, con la quale istaurò un rapporto a tratti soffocante, tanto che in seguito abbracciò la vita bohémien anche come reazione al carattere oppressivo e bigotto della donna.
Un ragazzo cagionevole
Fin da piccolo, Henri si dimostrò delicato e di salute cagionevole, tanto che per molti anni si sottopose, abbastanza inutilmente, a cure termali. La gravità della situazione fu evidente, però, durante l’adolescenza: a fine maggio 1878 si fratturò la gamba sinistra scivolando sul pavimento di casa; un anno dopo, ancora convalescente per il primo incidente, cadde rovinosamente in una buca, rompendosi anche l’altra gamba. Soffriva di una grave forma di fragilità ossea che compromise lo sviluppo degli arti inferiori. La sua altezza si arrestò a circa metro e mezzo e le gambe si deformarono torcendosi verso l’interno. Con gli anni sviluppò anche dei problemi al viso e alla lingua, che acuirono alcuni difetti di pronuncia. È stato ipotizzato che fosse affetto da picnodisostosi, una malattia genetica. Secondo altri studi, invece, Henri avrebbe sofferto di un’altra patologia genetica dai sintomi simili, l’osteogenesi imperfetta. In ogni caso, la sua condizione di salute fu determinata dal fatto che i suoi genitori fossero consanguinei. Il fratello minore Richard fu ancora meno fortunato e morì quando aveva solo un anno.
Henri de Toulouse-Lautrec in una foto del 1894. Musée Toulouse-Lautrec, Albi
Foto: Pubblico dominio
Una vita per l'arte
Durante i lunghi periodi di convalescenza a casa, il giovane Henri si dedicava alla lettura e alla pittura, per cui dimostrava un vero e proprio talento naturale (sono noti alcuni dei suoi primi disegni, realizzati all’epoca delle fratture alle gambe, in cui il padre è rappresentato mentre va a caccia). Nel 1881 capì che l’arte sarebbe stata la sua vita. Dopo essere stato bocciato agli esami di maturità a Parigi, per poi passarli a novembre a Tolosa, iniziò a seguire le lezioni di René Princeteau, un pittore specializzato nella rappresentazione di animali, amico del padre (che si riteneva un artista dilettante e aveva anche ricevuto qualche lezione da René in gioventù). Passò poi a quelle di Léon Bonnat, un pittore molto conosciuto negli ambienti accademici parigini, che in seguito ebbe tra i suoi allievi anche Edvard Munch.
In quel periodo Henri prese a frequentare Montmartre, il famoso quartiere parigino della Belle époque. Qui conobbe, tra i tanti, Degas e Van Gogh. Toulouse-Lautrec provò sincera amicizia per il tormentato pittore olandese: in un’occasione lo ospitò a casa sua, mentre un’altra volta sfidò a duello un uomo che aveva criticato i Girasoli, anche se poi il combattimento non ebbe luogo. In questo periodo ebbe anche una relazione sentimentale con la modella e pittrice Suzanne Valadon che durò circa tre anni, terminando con il tentato suicidio di lei.
I genitori, che avevano sempre appoggiato la scelta artistica del figlio, davanti al trasferimento a Montmartre si lamentarono: la madre non tollerava che Henri soggiornasse in un quartiere popolare e dalla cattiva reputazione. Il padre, più conciliante, gli chiese di usare almeno uno pseudonimo per firmare le proprie opere. Così, quando nel 1885 espose al Salon des arts incohérents, si firmò Toulav-Segroeg (in altre occasioni, invece, aveva usato gli pseudonimi Monfa o Trecleau). Qualche tempo dopo, però, stufo di assecondare il genitore, prese a usare il proprio nome.
Il pittore della Belle époque
Montmartre era stata un’area prevalentemente agreste e solo dagli anni ottanta del XIX secolo lo sviluppo urbano aveva riguardato quella zona, in cui si erano concentrati locali da ballo, ristoranti, caffè e bordelli. All'epoca il quartiere era simbolo di vita, vivacità e spensieratezza: da un lato era il centro di ritrovo delle sperimentazioni più all’avanguardia degli artisti, dall’altro era sede di locali notturni “equivoci”, primo fra tutti il Moulin rouge, inaugurato il 6 ottobre 1891. Il locale, che era stato allestito all’interno di un mulino a vento rosso, era famoso per le sue ballerine di can-can.
Montmartre era frequentato da artisti, ma anche da ballerine, prostitute, emarginati, derelitti e anche nobili che, più o meno in incognito, andavano alla ricerca di piaceri inconfessabili alla luce del sole. Quell’ambiente così edonistico fu una fucina d’ispirazione per il pittore: si stima che realizzò oltre settecento dipinti e quattromila disegni, senza considerare quelli andati perduti. Come spiega la studiosa Enrica Crispino: «L’opera di Lautrec non riveste solo un significato artistico, ma è importante anche per il suo valore documentario. Con la carrellata dei personaggi da lui ritratti, l’artista francese si è ritagliato un posto di primo piano anche nella storia del costume, fornendoci preziose indicazioni sulla vita e la società parigina dell’ultimo ventennio del XIX secolo, momento culminante di un periodo particolarmente felice e spensierato della storia europea, noto con il nome di Belle Époque».
Toulouse-Lautrec immortalò clienti e prostitute, descrisse i baccanali notturni, i costumi scintillanti delle ballerine, la ricerca parossistica del piacere con cui si cercava in ogni modo di non cogliere le avvisaglie delle tragedie che avrebbero sconvolto il mondo di là a qualche decennio. Le sue opere, specialmente quelle ambientate dentro i bordelli, suscitarono enorme scandalo. Ciò che infastidiva il pubblico “per bene” però non era tanto il soggetto in sé, quanto la naturalezza dell’approccio che il pittore aveva nel ritrarre quelle scene: con disincanto, senza pregiudizi o filtri di alcun genere.
Paradossalmente fu proprio il Moulin rouge a renderlo famoso anche tra i benpensanti: nell’anno della sua inaugurazione ne produsse un manifesto pubblicitario. Da quel momento divenne richiestissimo per realizzare la cartellonistica dei locali parigini e altre immagini pubblicitarie per i numerosi giornali con cui avviò una collaborazione, come Le Rire o Le Figaro Illustré. Inventò anche le affiches, una sorta di ritratto autografato degli artisti del varietà. Una delle più famose ritrae la ballerina Jane Avril, di cui forse s’innamorò.
Un artista bohémien
Se la società della Belle époque cercava di non pensare ai turbamenti sociali del tempo a suon di can-can e di coppe di champagne, Toulouse-Lautrec faceva altrettanto con la sua situazione personale. Persona schiva e solitaria di natura, afflitto dalle sue patologie, solo tra la varietà umana di Montmartre si sentiva a suo agio. Frequentava tutti i locali notturni e fu qui che iniziò a sviluppare una dipendenza dall’assenzio. Verso la fine del 1897 iniziarono le allucinazioni: per esempio, si era convinto che qualcuno volesse aggredirlo e dunque non si separava mai dal suo bastone da passeggio, che all’occorrenza avrebbe potuto usare come un’arma. Una volta, pensando di essere inseguito dalla polizia, si chiuse in casa di un amico. Inoltre, nei momenti in cui era sobrio, alternava fasi di forte malinconia a scoppi violenti di rabbia. La situazione precipitò nel mese di marzo 1899, quando fu ricoverato in una clinica per malattie mentali poco fuori Parigi. Qui in poco tempo riuscì a smettere di bere e, per dimostrare ai medici di essere lucido, realizzò una serie di disegni a pastello dedicati al mondo del circo.
Una volta dimesso, tornò nella sua casa ad Albi e la madre, che gli era sempre stata accanto, ingaggiò un vecchio amico di famiglia che aveva il compito di sorvegliarlo per evitare che riprendesse a bere. Tutto fu inutile, perché Henri riuscì a eludere la sua sorveglianza e ricadde nella dipendenza dall’alcool. A marzo 1901, mentre i due si trovavano a Bordeaux, il pittore ebbe un ictus che lo paralizzò dalla vita in giù. A luglio ebbe un colpo apoplettico che lo debilitò ulteriormente. Morì il 9 settembre nel castello di Malromé a soli trentasei anni, lasciando in eredità le opere in cui ha immortalato la commedia umana della Belle époque.
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