La dea Hathor incarna la sacralità dei bovini nella cultura africana. Ancora oggi, presso tante tribù dell’alto Nilo, la ricchezza di una famiglia è data dal numero dei bovini che possiede e la mucca, madre per eccellenza poiché dà il latte, che è un nutrimento essenziale, è considerata quasi sacra. I bambini africani hanno l’abitudine di prendere la mammella della mucca tra le mani e di berne direttamente il latte, immagine che ritroveremo nell’arte egizia. I bovini erano fondamentali in tutte le culture del mondo antico: basti pensare che la parola "pecunia" – denaro – deriva dal latino pecus, "bestiame".
Nella figura divina della dea Hathor sono confluite diverse divinità più antiche: questo la rende molto complessa e dotata di una grande quantità di attributi e qualità diverse. La dea ha generalmente un aspetto bonario e positivo, ma ha anche un lato oscuro e crudele, come racconta Il mito della distruzione degli uomini, dove la dea Hathor, irata, si trasforma nella dea leonessa Sekhmet, sanguinaria e spietata. In un inno è scritto: «I viventi e gli dei sono sotto la soggezione di (te), / quando tu calpesti gli stranieri e gli uomini». La sua figura, inoltre, è molto simile a quella di altre divinità come Iside, la moglie di Osiride, e Nut, la dea del cielo, con cui condivide lo status di dea madre.

Sekhmet e Hathor, qui identificate come figlie di Ra e per questo sormontate dal disco solare. Tempio di Kôm Ombo
Foto: Steve F-E-Cameron, CC BY-SA 3.0
La casa di Horo
Il nome egizio della dea era hut heru ed era scritto utilizzando un geroglifico particolare che rappresenta il dio falco Horo all’interno di un recinto:

Hut Heru
Il recinto significa "casa", quindi questo geroglifico composito va letto: “casa di Horo”. Hathor è quindi la casa del dio falco. Il nome si spiega poiché, essendo Hathor una antichissima divinità del cielo, che sosteneva il sole tra le sue corna, era la dimora in cui il falco viveva. Ma c’è anche un altro significato più profondo: la dea, che contiene dentro di sé – nella “casa “/ “ utero” – il dio Horo, era in realtà sua madre. Nel corso del tempo però, vista la crescente importanza e diffusione dei miti legati al dio Osiride e alla moglie Iside, ci fu un cambio di genealogia: Horo divenne il figlio di questa coppia divina, mentre Hathor abbandonò il suo ruolo di madre per divenirne la moglie. Questa maternità originaria però non venne dimenticata dalla cultura egizia che tutto conserva: il dio falco è si figlio di Iside, ma lo è anche della dea Hathor.
Dea della gioia e dell’ebbrezza
Grande d’amore, patrona delle donne e delle giovani nubili.
Tu sei la signora dell’ebbrezza, dalle feste numerose,
Dama dell’olibano, Signora dell’intrecciare la corona,
Signora dell’allegria, Signora dell’esultanza,
per la Maestà della quale si fa musica […]
Tu sei la Signora della danza, Signora dei canti e della danza con il liuto,
il cui volto brilla ogni giorno, che ignora la pena
Cosi recita un inno dedicato alla dea scritto sulle pareti di un tempietto sull’isola di File. Hathor era la patrona di tutto quello che dà gioia e felicità, di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Chiamata Signora della vita, era protettrice della musica, della danza, dell’ebbrezza e della sessualità. Grazie a queste sue qualità divenne la dea più popolare dell’Egitto dal periodo più antico della sua storia fino al suo epilogo.
Come patrona della musica, molti strumenti musicali portavano la sua effige, ma lo strumento per eccellenza sacro ad Hathor era il sistro. Il sistro è una sorta di sonaglio fatto di bronzo e rame, che, inserito su un lungo manico, veniva scosso per ottenere un tintinnio metallico. Le sacerdotesse suonavano il sistro durante le cerimonie religiose per allontanare il male e gli spiriti cattivi. Strumento tipicamente femminile, era suonato anche da principesse e regine, che impersonavano Hathor durante le cerimonie religiose accanto al faraone.

Blocco raffigurante un faraone tolemaico che suona il sistro al cospetto di Hathor. Brooklyn Museum, New York
Foto: Pubblico dominio
La dea era chiamata anche Signora dell’ebbrezza poiché, per evitare che potesse infuriarsi ancora con gli uomini e trasformarsi nuovamente in Sekhmet, nei suoi templi l’offerta del vino e della birra giocava un ruolo di primo piano, così come centrali erano la musica e la danza, cioè tutti quei mezzi che gli uomini avevano a disposizione per addolcire e ammansire la dea.

La regina Nefertari offre due vasi di vino alla dea Hathor. Affresco dalla tomba di Nefertari, XIX dinastia
Foto: Cordon Press
Dea dell’amore
Hathor era descritta come la dea più bella dell’Olimpo egizio ed era associata alla sessualità e all’amore, tanto che i greci la identificarono con la dea Afrodite, la Venere dei romani. «Come è bello il tuo viso / quando appari in gloria / quando sei piena di gioia» si trova scritto nel tempietto a File dedicato alla dea.
Tra le rovine del tempio a valle della piramide del faraone Micerino (Antico regno, circa 2575-2125 a.C.), la terza piramide della piana di Giza, l’egittologo George Reisner trovò, nel 1908, delle sculture di una bellezza incredibile: rappresentano il faraone tra due divinità. Queste opere dell’Antico regno sono state chiamate Triadi di Micerino e rappresentano il faraone al centro e ai lati la dea Hathor e una divinità che rappresenta una provincia – nomo – dell’Egitto. Le divinità che rappresentano le province sono sempre diverse, mentre Hathor è presente in tutti i gruppi scultorei ritrovati. Qui la dea è rappresentata in maniera sublime, con il corpo dalle forme perfette avvolto in una tunica aderente, il viso dolce ma allo stesso tempo austero sovrastato dallo splendido copricapo su cui svettano due lunghe corna bovine che incorniciano il disco solare.

Gruppo statuario del re Micerino tra la dea Hathor e la personificazione del nomo di Hu
Foto: Cordon Press
Sacro alla dea era lo specchio, oggetto legato alla bellezza e colmo di significati simbolici dovuti alla sua qualità di riflettere le immagini creando un “doppio” della realtà. La parte riflettente era tonda o ellittica e poteva essere in oro, argento o bronzo lucidato, tutti colori legati allo splendore luccicante del sole. Il manico degli specchi era spesso decorato con il volto della dea, con corna e orecchie bovine: in questo modo si augurava a chi vi si specchiava di rimanere pieno di vita, giovane e bello per sempre, proprio come la dea immortale.

Specchio con il manico scolpito nella forma della dea Hathor. Egitto, XVIII dinastia
Foto: Cordon Press
Durante le cerimonie in onore della dea veniva eseguita la cosiddetta danza degli specchi, dove le ballerine eseguivano una danza ritmata tenendo in una mano uno specchio e nell’altra delle nacchere a forma di mano, anch’esse sacre alla dea. Una bella immagine di questa danza particolare si trova nella necropoli di Saqqara all’interno della tomba di Mereruka, visir del faraone Teti dell’Antico regno.

Rilievo della tomba di Mereruka. Alcune ragazze tengono in mano degli specchi e delle nacchere eseguendo la danza di Hathor. Saqqara, VI dinastia
Foto: Cordon Press
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Dea madre e dell’aldilà
Hathor era anche una dea madre, insieme ad altre divinità simili come la grande maga Iside e la dea del cielo Nut, con le quali si confonde. Si potrebbe dire che queste dee rappresentano ognuna un aspetto diverso della Grande Madre, con le sue innumerevoli sfaccettature e qualità. Hathor è spesso rappresentata nelle sembianze di una vacca mentre offre la mammella al faraone che sugge il suo latte. Con questo latte divino il re – identificato con il dio falco Horo – acquisiva così la vita, la salute e l’immortalità: proprio per questo motivo i faraoni erano chiamati “figli di Hathor”. Il re-Horo che beve il latte dalla madre-Hathor si richiama così alla maternità originaria della dea.

Hathor in forma di vacca allatta un infante reale. Cappella di Thutmosi III. XVIII dinastia
Foto: Cordon Press
Le grandi dee madri in tutte le antiche culture sono legate anche al mondo dei morti, poiché si riteneva che, oltre al potere di dare la vita, avessero anche quello di far rinascere il defunto nel mondo dei morti. Come scrisse l’egittologa Enrichetta Leospo: «Dal significato di madre e nutrice celeste che dà la vita e la alimenta si passa facilmente al concetto di rigenerazione del defunto nell’aldilà: in contesti funerari Hathor appare come una vacca che esce dalla montagna occidentale, sede delle necropoli».
Dal Nuovo regno (1539-1069 a.C.) la dea divenne la protettrice delle necropoli di Tebe, con il compito di proteggere e nutrire il morto. Chiamata “Signora dell’occidente”, era raffigurata sotto forma di sicomoro mentre dava da bere al defunto sporgendosi tra le fronde dell’albero sacro, ma era anche rappresentata come una vacca che appare dietro alla montagna tebana per proteggerne i morti: non solo i faraoni, ma anche le persone comuni. Si riteneva che la dea accogliesse il sole morente ogni sera ed era quindi desiderio di ogni defunto far parte del “seguito di Hathor”.

La dea Hathor in forma di vacca emerge dalla collina occidentale. Libro dei morti di Userhetmos, XIX dinastia
Foto: Cordon Press
Dea madre, dea della sessualità, dea della gioia, della danza e della musica, dea che protegge il morto nella necropoli, Hathor è davvero una divinità dai mille volti.
Signora della fragranza [...]
sovrana, riverita [...]
Le due terre sono sotto il tuo dominio
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