A Roma verso la fine della repubblica, nel I secolo a.C., vi furono numerosi casi di rapido arricchimento personale. Non per nulla, agli occhi di molti contemporanei, quella fu un’epoca dominata da una passione irrefrenabile per il denaro, come riconobbe lo storico Tito Livio: «Da qualche tempo la ricchezza ha introdotto l’avidità. E piaceri sempre più sfrenati hanno generato la smania di rovinarsi e di sperperare ogni cosa nel lusso e nella libidine».
Le informazioni delle fonti antiche su rendite e salari sono molto scarse. Per comprendere la dimensione delle fortune romane si dovrebbero stabilire dei modelli di quantificazione molto complessi e difficili. Tuttavia può essere utile fare dei paragoni che aiutino a farsi un’idea in merito. Per esempio, il prezzo di un’abitazione nel centro storico di Roma si aggira intorno ai 7.500 euro al metro quadro. Se pensiamo alla casa di Cicerone nell’esclusivo quartiere Palatino, calcoliamo circa cinquecento mq di estensione e applichiamo il prezzo di 7.500 euro/mq, otteniamo un costo di 3,75 milioni di euro per questa residenza.
Il colle Palatino era un quartiere esclusivo di alto livello, dove i personaggi ricchi e famosi fecero costruire le loro lussuose case
Foto: Jane Sweeney / Getty Images
Cicerone era un ricco proprietario: oltre a questa casa possedeva beni ad Arpino, vari complessi di abitazioni da affittare (insulae) a Roma, tenute e ville rurali a Pompei, Cuma, Alba, Astura, Pozzuoli, Frosinone, Formia e Tuscolo, dedite alla produzione agricola e zootecnica con schiavi di sua proprietà (ogni schiavo costava circa duemila sesterzi) e dotate di tutti i lussi e i comfort necessari per lo svago del proprietario e dei suoi ospiti occasionali. A tutto questo bisogna aggiungere gli oltre venti milioni di sesterzi ricevuti con varie eredità, prodotto dei suoi servigi di avvocato. Eppure, nonostante tutto, quella di Cicerone non fu una delle fortune più grandi di Roma.
Il mosaico mostra i lavori tipici di una villa romana rustica. Casa dei Laberii di Utica, Museo del Bardo, Tunisi
Foto: Sheila Terry / Age Fotostock
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Alcuni esempi ci permettono di scorgere la grande frattura tra la plebe e i grandi proprietari. Un secolo prima di Cicerone, nella provincia spagnola della Lusitania si pagavano sei sesterzi per un medimno di grano (circa cinquantadue litri), un maiale ne costava trenta, per un bue da aratro ne servivano quaranta e si poteva acquistare l’equivalente di 4,5 kg di fichi per quattro sesterzi. Due secoli dopo un segretario municipale nella Hispania (la carica più elevata tra i funzionari delle città romane) percepiva 1200 sesterzi all’anno, un littore seicento e un banditore trecento. Basta paragonare questi salari ai milioni della casa di Cicerone con il rapporto attuale tra redditi base e grandi fortune per farsi un’idea molto chiara del valore di quelle tenute e di quei capitali milionari.
Marco Tullio Cicerone. Busto di marmo. Musei capitolini, Roma
Foto: AKG / Album
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