Fotografia di Ettore Majorana
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La vicenda di Ettore Majorana come fisico è strettamente connessa a quella dei “ragazzi di via Panisperna”: il gruppo di giovanissimi ricercatori dell’Istituto di fisica teorica dell’Università di Roma che si riunì sotto la guida di Enrico Fermi verso la fine degli anni venti del secolo scorso, e che nel decennio successivo rappresentò un punto di riferimento mondiale per la fisica atomica e uno dei momenti più alti della scienza italiana.
Il lavoro dei ragazzi di via Panisperna, incentrato sulla comprensione della struttura e del funzionamento del nucleo dell’atomo e del fenomeno della radioattività, ebbe un impatto che non si limitò al mondo della fisica: influì in maniera diretta sul corso della storia contemporanea, aprendo la strada allo sviluppo dell’energia nucleare e condizionando l’esito della Seconda guerra mondiale, dato che i risultati ottenuti dai giovanissimi ricercatori si sarebbero rivelati fondamentali per la costruzione della bomba atomica.
Majorana fu probabilmente il meno costante dei membri del gruppo, ma il suo apporto teorico è ben riassunto da questa frase di Fermi: «Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene, Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quello che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso».
I ragazzi di via Panisperna. Da sinistra: Oscar D'Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti ed Enrico Fermi. Scatto di Bruno Pontecorvo
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L’incontro con Fermi
Majorana era iscritto al corso di ingegneria, ma fu “reclutato” appena diciannovenne da un professore e convinto a passare a fisica. L’episodio del suo primo incontro con Fermi è diventato celebre. Fermi gli fece vedere una tabella con i calcoli relativi al modello atomico statistico a cui stava lavorando in quel periodo, e che avrebbe preso il nome di Thomas-Fermi. Dopo averlo ascoltato con attenzione, Majorana si congedò. Il mattino dopo si presentò con in mano un foglietto su cui, durante la notte, aveva rifatto con un metodo diverso quei calcoli che a Fermi erano costati alcuni giorni di lavoro. Confrontò i risultati ottenuti e si premurò di rassicurare Fermi sul fatto che la sua tabella era corretta. Tra i due fisici, pur nella stima reciproca, si consolidò un certo senso di antagonismo. Si racconta che a volte si sfidassero in gare di calcolo che Fermi eseguiva con un gessetto alla lavagna e Majorana a mente, voltandogli le spalle.
In poco meno di due anni Majorana si laureò in fisica, con una tesi sulla teoria quantistica dei nuclei radioattivi che ebbe lo stesso Fermi per relatore, e iniziò a partecipare attivamente alle ricerche dell’istituto, ma senza mai integrarsi perfettamente nel resto del gruppo. Considerato unanimemente un genio, aveva però un carattere scontroso e tormentato, e soprattutto era restio a pubblicare i risultati delle sue ricerche più brillanti. La moglie di Fermi, Laura Capon, lo ricorda come un ragazzo spesso assorto nei suoi pensieri, fumatore accanito, che era solito prendere appunti su un pacchetto delle immancabili Macedonia, che poi gettava via una volta finito, con i calcoli e tutto, dopo aver condiviso le sue idee con il resto del gruppo. Nella sua brevissima carriera non scrisse più di una decina di articoli, ma il suo contributo fu fondamentale per quello che ben presto divenne il centro dell’attività di ricerca di via Panisperna: l’atomo. Majorana fu il primo ad avanzare l’ipotesi di un nucleo formato da protoni e neutroni che interagiscono tra di loro grazie a forze di scambio (una teoria a cui parallelamente arrivò anche il fisico tedesco Werner Karl Heisenberg, che fu il primo a pubblicarla).
Nel primo semestre del 1933 Majorana andò a Lipsia, proprio a conoscere Heisenberg, con cui ebbe un intenso scambio di idee e sviluppò un rapporto di amicizia. Poi tornò in Italia, e a quel punto iniziò la fase più misteriosa della sua vita.
Enrico Fermi, vincitore del Premio Nobel per la fisica nel 1938
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Studi oscuri
Il 1934 fu l’annus mirabilis dei ragazzi di via Panisperna. A gennaio iniziarono a lavorare sulla radioattività artificiale e pochi mesi dopo realizzarono, senza rendersene conto, la prima fissione nucleare della storia dell’umanità – il processo in cui il nucleo dell’atomo decade in frammenti di dimensioni minori, emettendo una grande quantità di energia e di radioattività. La portata del risultato emerse con chiarezza solo negli anni seguenti, ma intanto il gruppo giunse a un’altra scoperta determinante per lo sviluppo dell’energia atomica – ovvero il ruolo giocato dai “neutroni lenti” nelle reazioni nucleari –, che sarebbe valsa a Fermi il Nobel per la fisica.
Proprio in quello stesso periodo Majorana partecipò sempre meno all’attività del gruppo fino a smettere del tutto di andare in istituto. Per quattro anni si rinchiuse in casa a studiare febbrilmente, scrivendo giorno e notte, al punto che gli fu diagnosticato un esaurimento nervoso. Ma cosa studiasse, nessuno lo sa di preciso. Distrusse lui stesso tutta la sua produzione di quel periodo, a parte due brevi testi. Nel 1937, proprio mentre i ragazzi di via Panisperna iniziavano a disperdersi per le crescenti tensioni con il regime fascista, Majorana sembrò voler tornare alla normalità e accettò la cattedra di fisica teorica all’Università di Napoli.
Il 10 dicembre del 1938 è la data che segna il vertice e la fine della storia del gruppo di ricerca dell’Istituto di fisica di Roma: quel giorno Fermi ricevette il Nobel e poi si trasferì negli Stati Uniti. Poco più di sette mesi prima, Majorana aveva fatto perdere le sue tracce.
Werner Karl Heisenberg, fisico tedesco vincitore del Premio Nobel nel 1932
Foto: © Bundesarchiv, Bild 183-R57262 / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 de, shorturl.at/ktvAP
Il mistero della scomparsa
Il 25 marzo del 1938 Majorana s’imbarcò a Napoli su un piroscafo diretto a Palermo. Prima scrisse due lettere d’addio che facevano pensare a dei propositi suicidi. Una era diretta a un collega dell’università e un’altra alla famiglia. Al collega rivelava di aver preso «una decisione che era ormai inevitabile»; dichiarandosi consapevole dei problemi che la sua «improvvisa scomparsa» avrebbe causato a studenti e professori; e affermando che di tutti loro avrebbe conservato «un caro ricordo almeno fino alle undici» di quella sera. Nella lettera ai familiari il riferimento alla morte era più esplicito, per quanto non privo di ambiguità: «Se volete inchinarvi all'uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto».
Eppure il giorno seguente, Majorana sbarcò regolarmente a Palermo. Mandò un telegramma al collega dicendogli di non tenere conto della lettera del giorno prima, e che presto ne avrebbe ricevuta un’altra. In questa seconda lettera lasciava intuire un ripensamento («Il mare mi ha rifiutato») e annunciava la volontà di tornare a Napoli, ma anche di abbandonare l’insegnamento. A questo punto si perdono le sue tracce. Majorana prenotò un biglietto di ritorno a suo nome ma non ci sono prove sufficienti per stabilire se s’imbarcò davvero. Il suo corpo non venne mai ritrovato, né in mare, né altrove.
Annuncio per la scomparsa di Ettore Majorana stampato sulla 'Domenica del Corriere'
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A infittire il mistero contribuirono alcune anomalie, poco compatibili con la tesi del suicidio – come il fatto che avesse portato con sé il passaporto e qualche giorno prima d’imbarcarsi avesse ritirato cinque stipendi arretrati. In parte per la grandezza universalmente riconosciuta del genio di Majorana, in parte per la portata epocale delle ricerche svolte dal gruppo di via Panisperna, le ipotesi alternative al suicidio si sono succedute nel corso degli anni. A cominciare da quella secondo cui Majorana sarebbe andato in Germania a lavorare con Heisenberg, al servizio del Terzo Reich, per poi rifugiarsi in Argentina alla fine del nazismo.
Delle indagini svolte dalla procura di Roma tra il 2011 e il 2015 sono giunte invece alla conclusione, sulla base di una foto e di alcune testimonianze, che Majorana si trasferì volontariamente in Venezuela dove visse sotto falso nome «almeno nel periodo tra il '55 e il '59». Più poetica e intimista è l’ipotesi del dramma esistenziale privato formulata dallo scrittore Leonardo Sciascia nel 1975, nel suo famoso La scomparsa di Majorana: tormentato dagli obblighi sociali, dal conflitto tra razionalità e fede, e forse anche dalla direzione che stava prendendo la fisica contemporanea, Majorana avrebbe fatto perdere le sue tracce per andare a vivere in un convento calabrese.
La verità, probabilmente, non la sapremo mai, anche perché forse così ha voluto lo stesso ricercatore catanese. Come scrisse Enrico Fermi: «Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito».
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