Emily Dickinson nacque il 10 dicembre 1830 ad Amherst, Massachusetts (Stati Uniti), in seno a una famiglia colta e agiata. Il padre, l’avvocato Edward Dickinson, fu membro del Congresso e tesoriere dell’Amherst college. La madre, Emily Norcross, si dedicò alla cura della casa e a crescere Emily e i suoi due fratelli: Austin, il maggiore, e Lavinia, la minore.
Dagherrotipo di Emily Dickinson del 1848
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Entrambi i genitori si assicurarono che tutti e tre i loro figli ricevessero una buona istruzione. Nel 1840 iscrissero Emily al collegio dell’accademia di Amherst, che aveva aperto alle donne due anni prima. Per sette anni Emily studiò letteratura, religione, storia, matematica, geografia, biologia, greco e latino. Inoltre seguiva lezioni di pianoforte con la zia, la domenica aveva canto e a casa studiava floricultura, orticultura e giardinaggio. Dopo una lezione di botanica, ne rimase tanto affascinata da iniziare a elaborare un proprio erbario, in cui raccolse centinaia di piante e fiori pressati, con il rispettivo nome latino.
Spinta da un’inesauribile sete di conoscenza, Emily approfondì per conto proprio anche altri argomenti. Presto imparò i nomi di tutte le stelle e le costellazioni. Memorizzò anche i nomi delle decine di fiori silvestri che crescevano nella regione e sapeva perfettamente dove trovarli. Tutta questa conoscenza fu riplasmata nella sua vasta produzione poetica.
Dopo aver terminato l’ultimo anno in accademia s’iscrisse al seminario femminile di Mount Holyke, dove ricevette una rigida educazione calvinista. In seguito Dickinson capì che la vita religiosa non le interessava e decise di non proseguire su questo cammino, rimanendo una delle poche alunne “non convertite” del centro. In seminario superò senza problemi gli esami del primo anno e le fu convalidato anche quello di botanica, date le sue straordinarie conoscenze in materia. A causa di un problema di salute, in estate Emily tornò nella casa di famiglia e non riprese più gli studi. La conoscenza acquisita dalla giovane scrittrice era comunque più ampia di quella delle donne della sua epoca.
Austin, Emily e Lavinia Dickinson, olio su tela
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Ritorno a casa: amore e poesia
Di ritorno ad Amherst Emily ricominciò a fare vita di casa. Passava il tempo con la sorella Lavinia (che tutti chiamavano affettuosamente Vinnie), che fu sua compagna e amica per tutta la vita. Lavinia adorava la sorella maggiore e ammirava enormemente il suo talento poetico, facendo in modo che la casa rimanesse sempre l’ambiente tranquillo di cui Emily aveva bisogno per scrivere in solitudine.
Oltre a lavorare nella serra, osservare la natura e sviluppare il suo talento poetico, Emily andava in chiesa, faceva compere, portava a passeggio il cane Carlo e assisteva a mostre e funzioni di beneficenza. Ebbe anche diverse amicizie e partecipò alle riunioni sociali e alle feste che si celebravano nella casa accanto alla sua, in cui vivevano il fratello Austin e la sua amica d’infanzia Susan Huntington Gilbert, che si erano sposati nel 1856.
Emily e Susan, che furono compagne di scuola all’accademia di Amherst, mantennero un’intensa corrispondenza per tutta la vita, pur vivendo a soli cento metri di distanza. Dalle lettere risulta chiaro che le due donne furono amiche, amanti e confidenti. Susan fu infatti una delle poche persone a cui Emily lasciò leggere le sue poesie e le suggerì anche alcune modifiche (che Emily non apportò mai). Diversi biografi di Emily Dickinson ritengono che le oltre trecento poesie d’amore dell’autrice furono scritte interamente per Susan. Tra queste spiccano Una sorella ho nella nostra casa, Notti selvagge, Avere una Susan di mia proprietà.
Manoscritto del poema ‘Wild nights, wild nights”, di Emily Dickinson
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Questa però non fu l’unica esperienza amorosa di Emily Dickinson. Nelle sue poesie e nelle lettere si fa riferimento a un’altra storia, il cui finale tragico tormentò l’autrice. I teorici sono divisi sull’oggetto del suo amore. Alcuni sostengono che la persona a cui rivolse le sue poesie fosse un giovane che i genitori le avevano impedito di frequentare. Altri credono che la poeta s’innamorò di un pastore protestante sposato che fuggì da Amherst per evitare di cedere alla passione.
Maestri e confidenti
Durante la giovinezza e l’età adulta Emily si affidò a uomini saggi e più anziani di lei per avere consigli sulla propria creazione artistica, persone che la istruirono e le raccomandarono letture. L’ultimo fu Thomas Wentworth Higginson, che la poeta conobbe all’età di trentun anni. In tutte le lettere che si scambiarono Emily si rivolse sempre a lui come “Maestro”. Preoccupata per la qualità della propria opera, una volta gli scrisse: «Signor Higginson, è troppo profondamente occupato per dirmi se la mia Poesia è viva?».
Il maestro le suggerì una serie di cambiamenti perché la sua poesia fosse più “pubblicabile”, ma lei rifiutò d’inserirli, affermando che avrebbero eliminato la sua identità di poeta e la sua voce unica e originale di artista. Dopo la morte di Dickinson Higginson disse dei suoi poemi: «Dopo cinquant’anni che li conosco, il problema si pone per me, ora come allora, su quale posto si debba assegnare loro nella letteratura. Mi sfugge, e ancora oggi mi trovo stordito da tali poesie».
Fotografia del 1850 dell’autrice
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Emily Dickinson lasciò leggere la propria opera solo alla sua amata Susan e a pochi letterati. Tra questi ci furono il professor Samuel Bowles, la scrittrice Helen Hunt Jackson, l’editore Thomas Niles e il critico e scrittore Josiah Gilbert Holland. In vita Dickinson pubblicò soltanto sei poesie. Le prime quattro apparvero nel giornale locale, diretto dal suo amico Samuel Bowles, ma non si sa se l’autrice diede il suo assenso. La quinta, intitolata Il serpente, fu pubblicata sullo Springfield Republican contro la sua volontà. L’ultimo entrò a far parte dell’antologia A masque of poets, edita da Hellen Hunt Jackson nel 1878, a condizione che la sua firma non apparisse.
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Reclusione poetica
Dall’età di cinquant’anni Emily divenne più rigida nel suo rifiuto di pubblicare. Smise di frequentare gli amici, declinò varie volte di ricevere visite a casa e iniziò a vestirsi solo di bianco, una strana abitudine che la accompagnò per il resto dei suoi giorni. Ossessionata dalla sua creazione poetica, Dickinson si chiuse in casa e dedicò tutti i suoi sforzi a sviluppare lo straordinario compendio per cui è nota.
Fino alla fine della sua vita Emily lasciò pochissime volte la propria casa. Passava intere giornate nella sua stanza rivestita di legno e decorata da tende e lenzuola bianche, china sullo scrittoio, a guardare dalla finestra o a riunire le sue poesie in libriccini che rilegava lei stessa a mano. Nel 1884 la morte del nipote, il figlio minore di Austin e Susan, la lasciò devastata. Due anni dopo scrisse la sua ultima lettera, in cui dichiarò «Mi chiamano», e lasciò questo mondo il 15 maggio 1886.
Museo e casa di Emily Dickinson ad Amherst, Massachusetts
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Dopo la sua morte la sorella Lavina iniziò a esplorare la misteriosa stanza in cui Emily aveva vissuto per tanto tempo. In un baule trovò più di quaranta volumi rilegati e quasi duemila poesie, scritte da Emily nel corso della sua vita. Versi a matita scritti su trafiletti di giornale, o su foglietti sfusi. Pur avendo promesso alla poeta che alla sua morte ne avrebbe bruciato l’opera, Vinnie decise che il talento di Emily Dickinson, che aveva accettato di tenere nascosto durante la sua vita, non poteva rimanere in un baule o essere consumato dalle fiamme.
Così Lavinia Dickinson divenne la prima editrice dell’opera di Emily. Fu lei stessa ad assicurare al biografo della scrittrice, George Frisbie Whicher, che «il più memorabile poeta lirico d’America era vissuto e morto nell’anonimato».
Prime edizioni e lascito letterario
Negli anni a seguire l’opera di Emily Dickinson cominciò a venire alla luce. Le poesie furono pubblicate in varie edizioni, in ordine completamente arbitrario (l’autrice infatti non aveva mai datato i suoi versi) e divise in quattro gruppi: Vita, Natura, Amore e, infine, Tempo ed eternità. L’edizione inglese più completa dell’opera di Dickinson fu pubblicata nel 1998, più di cent’anni dopo la sua morte.
Copertina della prima edizione delle 'Poesie', pubblicata nel 1890
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Non si sa perché Emily Dickinson rifiutò di condividere le sue creazioni in vita. Molti sottolineano che, al di là del successo, ciò che l’autrice voleva era perfezionare e sviluppare al massimo la sua voce poetica. Nei suoi versi dirompenti, caratterizzati da una punteggiatura e un uso delle maiuscole peculiari, Dickinson parla del cambio delle stagioni, dei fiori di campo, della morte, dell’amore, di malattia, perdita, speranza e di un’infinità di temi impregnati della sua straordinaria sensibilità, passione per la natura e capacità di osservazione fuori dal comune.
La poesia di Emily Dickinson è unica e praticamente inclassificabile. Per questo i suoi versi hanno acquisito importanza e riconoscimento con il passare degli anni, alimentando la sensazione che Dickinson scrivesse per i lettori del futuro. «Se avverto concretamente come se il culmine della testa mi fosse strappato via, so che quella è poesia», affermò l’autrice. Il suo lascito fa senza dubbio giustizia all’appassionante esperienza da lei descritta come poesia.
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