Hilaire Germain Edgar de Gas, meglio conosciuto come Edgar Degas, nacque a Parigi il 19 luglio 1834 in una famiglia agiata: il padre Pierre Auguste era un banchiere appassionato di musica e arte, mentre la madre Celestine Mussion – che morì quando il pittore era appena tredicenne – apparteneva a una famiglia originaria di Haiti che, dopo il trasferimento a New Orleans, aveva fatto fortuna nell’ambito delle piantagioni di cotone. Era il primo di cinque figli.
In Italia
Dopo la laurea in giurisprudenza, conseguita più che altro per compiacere il genitore, Degas si dedicò stabilmente all’arte e nel 1855 s’iscrisse all’Accademia delle Belle Arti. Grazie anche ad alcuni parenti che vi abitavano (come il nonno paterno – fondatore della banca di famiglia – e sua zia Laurie, che aveva sposato il barone Gennaro Bellelli, un politico di origini campane), Degas fu spesso in Italia per perfezionare la sua formazione artistica studiando sia i classici sia i maestri del Rinascimento. Molto proficuo, in tal senso, fu il viaggio intrapreso tra il 1856 e il 1858.
A Firenze partecipò ai dibattiti sull’arte che i macchiaioli tenevano presso il Caffè Michelangelo, loro storico ritrovo, e trascorse molte ore agli Uffizi a ricopiare sul suo taccuino i dettagli che più lo colpivano dei grandi capolavori del passato. A Roma studiò l’antico, mentre ad Assisi rimase impressionato da Giotto. Come scrisse nel suo diario, infatti: «[Giotto] è capace di espressione e pathos in modo sconvolgente. Mi trovo davanti a un genio».
Dopo numerosi spostamenti in varie località della penisola, intervallati da alcuni rientri in Francia, tornò a casa verso la fine del 1859, e lì iniziò a dedicarsi a un ciclo di dipinti di carattere storico, La figlia di Jefte: un soggetto di carattere biblico in cui si narra la vicenda di Jefte, un uomo che accettò di sacrificare sua figlia per il bene del popolo ebraico. Fu proprio con un soggetto storico, d’argomento medievale, che espose per la prima volta al Salon nel 1865.
Rappresentare la vita moderna
Nell’estate del 1860 fu ospite del suo amico d'infanzia Paul Valpinçon presso Ménil-Hubert-sur-Orne. Qui si appassionò alle corse di cavalli, soggetto che ben si prestava a uno dei suoi temi preferiti: il movimento. Ne è un esempio la tela, oggi esposta al museo d’Orsay, dal titolo Cavalli da corsa davanti alle tribune, iniziata nel 1866 e completata circa due anni dopo. Qui l’artista rappresentò l’interno di un ippodromo poco prima dell’inizio di una gara. Ancora più famoso è l’esempio delle celeberrime danzatrici, che rappresentò quasi sempre in momenti informali o comunque mai in pose studiate. Un giorno, lamentandosi con l’amico e gallerista Ambroise Vollard del fatto di essere chiamato dalla critica “il pittore delle ballerine”, affermò: «Non capiscono che per me la ballerina è un pretesto per rappresentare il movimento».
La scelta di cavalli da corsa e danzatrici evidenzia un altro aspetto degli interessi artistici di Degas: la rappresentazione della vita quotidiana della borghesia del suo tempo. Nelle sue pitture, infatti, coglieva gesti e movimenti banali del quotidiano, come una donna che sbadiglia, che stira o si riposa dopo una sessione di ballo. L’attenzione per la vita borghese lo avvicinò agli impressionisti.
Nel 1862 conobbe Édouard Manet, che lo introdusse al Caffè Gourbois, il luogo di ritrovo del gruppo. Partecipò a quasi tutte le loro mostre, come quella tenuta nel 1881 in Rue des Capucines, in cui lavorò come organizzatore. Fu lì che presentò, tra l’altro, due pastelli dal titolo Fisionomia di criminale, in cui raffigurò Pierre Abadie, un assassino molto famoso nelle cronache del tempo, e una delle sue prime prove da scultore: Piccola danzatrice di quattordici anni. Quest’ultima suscitò accese perplessità nella critica, che non la considerò neppure un’opera d’arte, ma al massimo un manufatto utile per gli studi scientifici. Il critico Trianon, per esempio, affermò che «tale opera deve trovare posto non in un’esposizione d’arte, ma in un museo di zoologia, d’antropologia o di fisiologia».
In ogni caso, Degas non si sentì mai veramente un impressionista. Alla pittura "en plein air", infatti, preferiva le raffigurazioni d’interni. Gli impressionisti poi erano poco interessanti al movimento, dando maggiore importanza alla luce e all’atmosfera. Elementi in comune, invece, furono il tipo di pennellata e soprattutto la fotografia, cui gli impressionisti erano molto sensibili e che Degas utilizzava per catturare l’immediatezza dei movimenti. L’amicizia con Manet fu lunga, anche se non mancarono gli attriti, come quando Degas pensò di immortalare il pittore insieme alla moglie, la pianista Suzanne Leenhoff. Manet non apprezzò il modo in cui era stata rappresentata la donna, rifiutò il dono e stracciò il disegno nella parte in cui era raffigurata la moglie. Degas si offese e prima gli restituì una natura morta che aveva ricevuto da lui, poi decise di aggiungere un nuovo pezzo di tela per ridisegnare la signora Manet, ma alla fine abbandonò l’idea. Fortunatamente, la frattura tra i due fu presto sanata.
Nel 1885 i problemi alla vista, che aveva scoperto di avere dal 1870, quando si era arruolato nella guerra franco-prussiana, iniziarono a peggiorare, ma nonostante ciò non abbandonò né pennelli né i viaggi. Dopo l’ennesimo soggiorno a Napoli in visita ai parenti e la partecipazione all’ottava e ultima mostra impressionista (1886), che si rivelò un vero e proprio insuccesso, visitò la Spagna, il Marocco e la Borgogna.
Nel corso degli anni, i problemi agli occhi peggiorarono ulteriormente, finendo per renderlo quasi cieco. Verso la fine del XIX secolo abbandonò quasi del tutto la pittura, preferendo la scultura. A questo periodo risalgono una serie di statue di piccolo formato dedicate a ballerine, cavalli in movimento e altri soggetti. Nel 1912 fu costretto a lasciare la sua casa in rue Victor Massé e si trasferì in boulevard de Chichy, dove rimase fino alla fine, avvenuta nel 1917. Non si sposò mai, anche se più volte ne contemplò l’idea, come quando scrisse in una lettera: «È davvero bello essere sposati, avere dei bei bambini ed essere liberati dal bisogno di relazioni occasionali. Santo cielo, è ora di pensarci». Evidentemente però non ci pensò mai abbastanza.
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