Domus Aurea, la fastosa residenza di Nerone

Dopo che Roma venne distrutta da un incendio, Nerone decise di costruire la residenza imperiale più sontuosa che il mondo avesse mai conosciuto: la Domus Aurea. Alla sua morte il palazzo fu distrutto e poi interrato

Una maestosa villa bianca, con rivestimenti interni in oro, dominava le colline di Roma venti secoli fa, quando l’Urbe governava il mondo. L’autocrate con manie di grandezza che si trovava allora alla guida dell’impero mobilitò tutte le risorse disponibili per crearla, ma non poté goderne che per pochi mesi. Poi la villa fu demolita e se ne perse la memoria.

Gli affreschi della Domus Aurea giunti fino ai nostri giorni​

Gli affreschi della Domus Aurea giunti fino ai nostri giorni​

Foto: Werner Forman / Gtres

Questo edificio era la Domus Aurea, la casa d’oro, la grandiosa residenza imperiale concepita da Nerone. Si estendeva su oltre 50 ettari, forse quasi 80 – superficie che corrisponderebbe a un’ottantina di campi da calcio. Se si confronta questa cifra con i 426 ettari che al tempo occupava la città dentro le mura, ci si può fare un’idea della grandiosità del progetto e dell’aspirazione smisurata dell’imperatore a impossessarsi dello spazio cittadino. Si capisce anche perché il popolo romano vi vedesse un’usurpazione imperdonabile: a cosa sarebbe dovuta servire una casa con più di 300 stanze? Si trattava banalmente di una dimostrazione di potere.

Lo storico Svetonio, apertamente contrario al faraonico progetto, scrisse che una volta terminati i lavori, Nerone inaugurò la dimora esclamando che finalmente avrebbe potuto vivere «come si addice a un uomo». Sembra l’affermazione di un megalomane, ma in realtà rispondeva a un’antica tradizione romana secondo la quale un nobile era ciò che dimostrava di essere, e la domus, la sua abitazione, doveva costituire un domicilio degno della posizione sociale da lui occupata.

Ispirazione orientale

Nell’ultimo secolo e mezzo Roma aveva già visto la costruzione di grandi edifici, ma nessuno era paragonabile a quello di Nerone. Le dimore dei cesari Augusto e Tiberio sul colle Palatino, dove sorgevano le residenze imperiali, non erano molto diverse dalle abitazioni aristocratiche repubblicane. Giulio Cesare e Augusto avevano preferito costruire fori pubblici: volevano dimostrare di pensare prima al popolo romano che a loro stessi. All’inizio dell’impero le domus dei sovrani non erano dei palazzi. Difatti il termine palatium, derivato dallo stesso Palatino, inizierà a essere usato solo tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C.

Nerone. Busto in bronzo dorato, opera di Tommaso Della Porta il Vecchio. XVI secolo. Museum of Fine Arts, Springfield

Nerone. Busto in bronzo dorato, opera di Tommaso Della Porta il Vecchio. XVI secolo. Museum of Fine Arts, Springfield

Foto: Bridgeman / Aci

 

 

La Domus Aurea fu progettata come un rus in urbe, ovvero una “villa in città”, con parchi e padiglioni propri delle campagne e della periferia di Roma, ma costruita all’interno della capitale stessa. Lo storico Tacito descrisse così le ambizioni di Nerone: «Fece costruire un palazzo nel quale rappresentassero un prodigio non tanto le pietre preziose e l’oro esibito – che costituivano solitamente il comune sfoggio dei ricchi – quanto il paesaggio agreste, gli stagni e le distese solitarie di boschi da una parte, e gli spazi aperti e i panorami dall’altra».

Ciononostante, il palazzo di Nerone non era neppure una semplice villa urbana. Il suo modello di riferimento era quello orientale: il palazzo degli antichi re ellenistici, in particolare quello che i Tolomei, re d’Egitto, avevano costruito ad Alessandria. Al pari di questo, la Domus Aurea era un enorme quartiere palatino, composto da ampi giardini con aiuole, alberi, stagni e padiglioni. Al centro c’era un grande peristilio – uno spiazzo circondato da portici – con templi, una palestra, una biblioteca, un teatro e persino il primo “museo” della storia di Roma, una selezione di opere d’arte che l’imperatore si era fatto inviare dalla Grecia e dall’Asia.

Il palazzo “transitorio”

Le ambizioni costruttive di Nerone si erano già manifestate in una dimora precedente, la Domus Transitoria, “il passaggio”, così chiamato perché univa le precedenti residenze imperiali del Palatino con i giardini di Mecenate sull’Esquilino. Nerone ne intraprese la costruzione quando salì al trono nel 54, ma i pochi resti non permettono di capire esattamente come fosse.

Si è conservato solo un settore, disposto su due piani che assecondano la pendenza del terreno e sono collegati da scale di marmo, da cui si può intuire il lusso e la raffinatezza delle architetture. Si tratta di un ninfeo, ovvero una fontana murale, decorata con 48 colonne di marmo verde e rosso e posta di fronte a un atrio corinzio: un padiglione con spioventi verso l’interno sostenuti da dodici colonne di porfido. Questa esile struttura era collegata a due gruppi simmetrici di stanze, rinfrescate da fontane: i triclini estivi, delle sale da pranzo dove si poteva godere dei piaceri della tavola con il sottofondo delle cascatelle d’acqua.

Questa grande stanza della Domus Aurea sormontata da un oculo centrale è la sala ottagonale. Qui furono scoperti dei frammenti di vetro blu, verde e bianco, forse resti della decorazione della cupola

Questa grande stanza della Domus Aurea sormontata da un oculo centrale è la sala ottagonale. Qui furono scoperti dei frammenti di vetro blu, verde e bianco, forse resti della decorazione della cupola

Foto: Marco Ansaloni

 

 

La Domus Transitoria costituì un sontuoso precedente della Domus Aurea, ma perché quest’ultima diventasse realtà su Roma dovette abbattersi un’autentica catastrofe: l’incendio del 64, secondo Tacito il più devastante nella storia della città. Gli storici antichi sospettavano che l’imperatore avesse avuto un ruolo nel disastro. Svetonio riferisce che Nerone accarezzava l’idea di una nuova capitale, Neropoli, e per questa ragione non esitò a «dare apertamente alle fiamme Roma», mandando degli schiavi a incendiare le proprietà degli aristocratici romani. L’accusa era duplice: l’incendio era doloso e l’imperatore voleva impossessarsi dei terreni migliori per costruire il suo futuro palazzo. Anche Tacito fa un’affermazione analoga: «Nerone utilizzò le rovine della patria per costruirsi un palazzo [la Domus Aurea]».

Un proverbiale incendio

Gli storici antichi sostengono che, in seguito alla catastrofe, Nerone decise di costruire sui terreni colpiti un palazzo di dimensioni mai viste. A questo scopo sottopose l’impero a un vero e proprio salasso economico: «Accettò e persino reclamò contributi che portarono sull’orlo della rovina le province e i privati cittadini», denunciò Svetonio. Per questo progetto furono utilizzate le fortune personali di senatori come Seneca, costretto a suicidarsi dopo aver consegnato i suoi beni per pagare la nuova residenza imperiale.

Gli storici moderni ridimensionano la portata di questa interpretazione machiavellica. Sostengono che, dopo l’incendio, Nerone volle ricostruire la nuova Roma in base a un progetto di rigenerazione urbana che mirava a evitare il propagarsi di incendi come quello del 64: ampie strade e portici sporgenti rispetto alla facciata per separare i blocchi di edifici. La Domus Aurea si iscriveva in questa riforma della città, che permise all’imperatore di modificare parzialmente il percorso della via Sacra (l’ampio viale in cui si tenevano le processioni religiose e i cortei trionfali) nel punto in cui, ai piedi del Palatino, curvava per entrare in linea retta nella spianata del foro repubblicano, il cuore della città.

Galata suicida. Questa copia romana di un originale greco rappresenta un galata che si suicida dopo aver ucciso sua moglie. Palazzo Altemps, Roma

Galata suicida. Questa copia romana di un originale greco rappresenta un galata che si suicida dopo aver ucciso sua moglie. Palazzo Altemps, Roma

Foto: Scala, Firenze

 

 

Grazie a tale iniziativa la facciata della residenza imperiale poteva essere ammirata fin dal popoloso centro di Roma, all’altra estremità della via Sacra. Il palazzo è conservato solo parzialmente; Svetonio lo descrive in un testo che si presta a differenti interpretazioni: «C’era un atrio in cui era stata eretta una statua colossale di Nerone alta centoventi piedi (quasi 37 metri). Tale era l’ampiezza che all’interno aveva porticati a tre ordini di colonne, lunghi un miglio; c’era anche un lago artificiale che sembrava un mare, circondato da edifici che formavano delle specie di città. Inoltre all’interno c’erano campi, vigne, pascoli, boschi con diversi animali, selvatici e domestici, d’ogni genere». Si trattava di un paradiso alla maniera ellenistica, in cui era possibile perdersi, e non di una casa solo da ammirare, come nella tradizione aristocratica romana.

La casa d’oro

Svetonio parla di una villa ispirata al modello romano tradizionale, con atrio e peristilio, il giardino della domus, delimitato da un portico colonnato e attorno al quale si distribuivano le varie stanze. Solo che qui l’atrio (il primo cortile all’entrata di una domus) si era trasformato in un vestibolo di enormi proporzioni e il peristilio aveva acquisito dimensioni colossali: il portico che incornicia il giardino supera i 1.480 metri di perimetro.

La prima cosa che saltava all’occhio erano le ricchissime decorazioni, che giustificavano il nome di “palazzo”: «Nelle altre parti, ogni cosa era rivestita d’oro e ornata di gemme e madreperla», riferisce Svetonio. E aggiunge che esistevano anche ingegnosi sistemi per profumare le stanze: «Il soffitto delle sale da pranzo era di lastre d’avorio mobili e forate, perché vi si potessero far piovere dall’alto fiori ed essenze».

Un restauratore lavora nel grande criptoportico dell’ala est della Domus Aurea, uno spazio alto oltre dieci metri

Un restauratore lavora nel grande criptoportico dell’ala est della Domus Aurea, uno spazio alto oltre dieci metri

Foto: Marco Ansaloni

 

 

Svetonio non dimentica di menzionare una delle zone più stupefacenti del complesso: la sala da pranzo principale: «Era circolare e ruotava su sé stessa giorno e notte, senza mai fermarsi, come la terra». Si trattava di un dispositivo tecnologico costruito dai due architetti e ingegneri romani cui erano stati affidati i lavori, Severo e Celere. Oltre a questo spettacolare sistema meccanico, forse decorato come un planetario a tema astrale-zodiacale, i due professionisti realizzarono un’altra innovazione: applicarono per la prima volta all’architettura privata le tecniche costruttive di volte e cupole fino ad allora riservate agli edifici pubblici.

Distruzione e rinascita

Il corpo principale della Domus Aurea è andato perduto. Ciò che resta oggi sul versante meridionale dell’Esquilino potrebbe corrispondere a uno di quegli edifici, di cui parla Svetonio, «che formavano delle specie di città». Si sono conservati 240 metri di stanze di un padiglione che, stando alla sua composizione apparentemente simmetrica, doveva raggiungere i 370 metri di lunghezza. Al centro si trova l’innovativa Sala ottagonale, circondata da triclini. Questa stanza era sormontata da una cupola di cementizio di quattordici metri di diametro, illuminata da un lucernario o abbaino centrale.

La costruzione del palazzo procedette a ritmo frenetico: probabilmente a soli due anni dall’incendio Nerone poté già andarvi ad abitare. Ciononostante, solo alcuni mesi dopo partì per la Grecia, dove trascorse un anno e mezzo viaggiando e ammirando opere d’arte; quando nel 68 tornò in patria, si suicidò. Alla morte dell’imperatore il senato votò e approvò la sua damnatio memoriae (“condanna della memoria”), che consisteva nell’eliminare qualsiasi traccia del suo passaggio, in quello che era il primo passo verso la distruzione della Domus Aurea.

Affresco della Domus Aurea che raffigura la nascita di Adone alla presenza della dea Venere. Ashmolean Museum, Oxford

Affresco della Domus Aurea che raffigura la nascita di Adone alla presenza della dea Venere. Ashmolean Museum, Oxford

Foto: Bridgeman / Aci

 

 

La statua gigante di Helios con le fattezze di Nerone fu rimossa dall’entrata della Domus Aurea e se ne cancellarono le sembianze dell’imperatore. Il palazzo fu spogliato di ogni oggetto di valore e sul suo grandioso lago artificiale fu costruito l’anfiteatro Flavio, meglio noto come Colosseo, proprio per la vicinanza alla colossale statua di Nerone. Per poeti come Marziale questi cambiamenti simboleggiano la sconfitta della tirannia: «Qui dove il solare colosso gode così da vicino la vista degli astri […] l’odioso palazzo del crudele re sfolgorava». Il ritorno alla giustizia segnerà in modo profondo il giudizio sui deliri di grandezza di colui che per quattordici anni era stato il capo massimo dell’impero: «Roma viene restituita a sé stessa», conclude Marziale.

La casa d’oro scomparve. I parchi furono destinati all’uso pubblico e a meno di quindici anni dalla morte di Nerone Tito costruì le sue terme in una parte del complesso. Dopo circa altri vent’anni fu Traiano a costruire le sue, in un’altra area del palazzo abbandonato, dopo un incendio. La terra rimossa per erigere il foro di quest’ultimo imperatore fu usata per sotterrare i resti dell’edificio sull’Esquilino, che sono giunti fino ai nostri giorni. Solo nel 1480 furono ritrovati i corridoi e le stanze sepolti da secoli. Le pitture suscitarono l’ammirazione degli artisti rinascimentali e ispirarono un nuovo stile decorativo, “a grottesca” (così chiamato perché tali pitture furono rinvenute in sotterranei simili a grotte). In questo modo l’arte fece rinascere e rese immortale l’eredità della Domus Aurea.

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