Nel 704 a.C. il re assiro Sennacherib si fregiava del titolo di “Signore delle Quattro Parti del Mondo”. Con la conquista dell’Urartu e dell’Elam, infatti, suo padre, Sargon II, aveva esteso il dominio assiro fino alle frontiere d’Egitto, includendo tutta la Mesopotamia e il Vicino Oriente. Dopo aver consolidato il suo potere nell’area siro-palestinese, soffocando nel sangue i focolai di rivolta, il sovrano poté dedicarsi a trasformare Ninive nella sontuosa capitale del suo impero. Canali, templi, palazzi, giardini pensili… Tutto era concepito per mettere in risalto la potenza del grande re di Assiria.

In questo rilievo del palazzo di Sargon è rappresentato a sinistra il re assiro Sennacherib. Frammento conservato al Louvre, Parigi
Foto: British Museum / Scala
Diversa sorte spettava a Babilonia, posta sulle sponde dell’Eufrate, i cui giorni di gloria – quelli del grande impero babilonese del II millennio a.C. – erano ormai lontani. Da più di due secoli la città era soggetta all’egemonia assira, benché godesse di uno statuto particolare e i sovrani assiri rispettassero le usanze dell’antico regno. Tuttavia, memori del loro grandioso passato, i babilonesi non aspettavano altro che l’occasione giusta per scrollarsi di dosso il giogo straniero. D’altra parte, il possesso dell’antica capitale era fondamentale per gli assiri, determinati a conservare la supremazia in Mesopotamia e a controllare le vie commerciali della regione, marittime, nel golfo Persico, e terrestri, attraverso i Monti Zagros (Iran).
Per lo stesso motivo, i nemici dello stato di Assur speravano che una Babilonia di nuovo indipendente li avrebbe aiutati a contrastare le ambizioni espansionistiche assire. Fu il caso dell’Elam, un potente regno che si estendeva a est del Tigri, e dei Caldei, una tribù semitica stanziata nella bassa Mesopotamia dall’XI secolo a.C. e che più tardi, nel VII secolo a.C., avrebbe fondato l’ultima dinastia babilonese. Fu proprio un sovrano caldeo, Marduk-apla-iddina, a opporsi strenuamente alla conquista assira, occupando Babilonia con l’appoggio elamita, ai tempi di Sargon II.
La città ribelle
Dopo aver sconfitto e costretto alla fuga in Elam Marduk-apla-iddina, Sennacherib insediò sul trono di Babilonia nel 700 a.C. il proprio figlio ed erede, Assur-nadim-shumi. Nel 694 a.C. volle mettere fine una volta per tutte alla minaccia elamita. Il potente re assiro organizzò una spedizione navale lungo il Tigri e l’Eufrate (la flotta, costruita a Ninive, fu trasportata su tronchi da un fiume all’altro), spingendosi fino al golfo Persico, dove si era rifugiato il suo avversario. Una volta sbarcato, l’esercito saccheggiò e distrusse alcune città costiere. Ma gli elamiti non si lasciarono intimidire e, attaccando da nord, presero Sippar e Babilonia. Il figlio di Sennacherib fu catturato e trasferito a Susa, capitale dell’Elam, dove morì prigioniero, mentre il trono di Babilonia ritornava nelle mani di un caldeo, Mushezib-Marduk.

Il re babilonese Marduk-apla-iddina II rappresentato su una stele. Pergamon Museum, Berlino
Foto: BPK / Scala
Ma le insidie per Sennacherib non erano ancora finite. Il nuovo re di Babilonia, con l’aiuto di elamiti e aramei, formò una grande coalizione che si scontrò con le truppe assire a Halule (691 a.C.), sul Tigri. Le cronache assire attribuiscono una schiacciante vittoria a Sennacherib, le cui truppe avrebbero dato la morte a 150mila nemici e messo in fuga i re di Elam e Babilonia, oltre a catturare i loro generali. Tuttavia, oggi si crede che il risultato dello scontro non fu così decisivo e forse gli assiri furono perfino sconfitti. In ogni caso, Sennacherib avrebbe inflitto una punizione esemplare a chi aveva osato sfidare il suo potere: l’anno successivo, il 689 a.C., condusse il suo esercito davanti alle mura di Babilonia.
L’assedio e la conquista
«Per la seconda volta io marciai verso Babilonia. Partii in tutta fretta, passai come un uragano devastatore». Così narra Sennacherib nelle cosiddette Cronache babilonesi. Senza dubbio gli assiri utilizzarono le loro leggendarie macchine d’assedio per distruggere le mura della città e, una volta dentro, le truppe si abbandonarono a una carneficina indiscriminata. Questa, aggiunge il re, non risparmiò «uomini, né fanciulli, né schiavi. Ricolmai dei loro cadaveri i dintorni della città». L’élite babilonese si salvò, ma solo per essere deportata in Assiria, dove certamente non conobbe un destino migliore: «Condussi nel mio Paese Mushezib-Marduk, re di Babilonia, lui e la sua famiglia, quanti caddero vivi nelle mie mani», prosegue Sennacherib.
Nemmeno gli dei sfuggirono alla furia dell’implacabile re assiro. Le statue furono abbattute e i templi saccheggiati; «gli dei che vi abitavano finirono preda dei soldati, che li fecero a pezzi e s'impadronirono dei loro beni e proprietà». Sennacherib approfittò della conquista di Babilonia per recuperare le statue degli dei assiri che i babilonesi avevano portato via 418 anni prima, secondo il conteggio esatto offerto dalla cronaca: «Ricondussi da Babilonia a Ekallate, nelle loro sedi, Adad e Shala, gli dei che Marduk-nadin-ahhe, re di Babilonia, aveva preso e trasportato nella città, al tempo del re assiro Tiglat-pileser I».

A causa della distruzione da parte di Sennacherib, oggi rimangono solo resti dell’epoca di Nabucodonosor II, come questa cinta muraria
Foto: C. Sappa / Age Fotostock
Fin qui nulla differenziava il sacco di Babilonia da altre campagne belliche della tormentata storia mesopotamica. Lo sterminio dei nemici, le razzie nei santuari e la demolizione dei simulacri delle loro divinità erano la regola dopo la presa di una città. La stessa Babilonia aveva subito saccheggi e devastazioni nel corso dei secoli: nel 1595 a.C. da parte degli ittiti; nel 1235 a.C. per mano assira e due secoli più tardi sarebbe accaduto a opera di tribù aramaiche. Tuttavia, nessuno di questi attacchi può essere paragonato alla sorte riservata a Babilonia da Sennacherib dopo la sua conquista nel 689 a.C.: la totale distruzione.
Una città rasa al suolo
Il sovrano racconta i fatti dettagliatamente nelle iscrizioni rupestri di Bavian, nell’Iraq settentrionale: «Io distrussi la città e i suoi palazzi dalle fondamenta fino al tetto, li diedi alle fiamme, abbattei i baluardi, gli altari, i templi, le ziggurat e tutte le opere di mattone, e delle loro macerie colmai il gran canale Arathu». Il brano rivela chiaramente quale fosse la precisa intenzione di Sennacherib: non solo depredare Babilonia e massacrarne gli abitanti, ma anche radere letteralmente al suolo la città sediziosa.
Per portare a termine il suo proposito, il re assiro inondò completamente le vie dell’antica capitale, forse deviando il corso dell’Eufrate che la attraversava. Come scrisse nella sua cronaca: «Scavai canali nel mezzo di quella città, spianai con l’acqua il suo territorio e ne distrussi la pianta fino alle fondamenta devastandola più del diluvio». Nulla doveva restare di Babilonia: «Perché in futuro il sito di quella città e dei templi non fosse più riconoscibile la spazzai via con l’acqua fino a ridurla a un melmoso pantano».

Su questa stele di basalto è descritta la ricostruzione di Babilonia da parte di Esarhaddon. VII sec. a.C. British Museum, Londra
Foto: Prisma / Album
Questo atto di estrema crudeltà sarebbe rimasto a lungo scolpito nella memoria storica di quelle terre e trovò eco persino nella Bibbia, nelle parole di Geremia che profetizza la rovina di Babilonia: «Il mare è salito su Babilonia; essa è stata coperta dal tumulto dei suoi flutti. Le sue città sono diventate una desolazione, una terra arida, un deserto, un paese dove non abita più nessuno, per dove non passa alcun figliuol d’uomo». Tuttavia, è difficile accertare il valore storico della narrazione di Sennacherib, poiché l’iscrizione assira costituisce l’unica fonte e si tratta peraltro di un testo destinato a elogiare smisuratamente le imprese del gran re di Assur. Nemmeno l’archeologia può essere d’aiuto: i resti più arcaici riemersi dell’antica capitale risalgono infatti a un’epoca posteriore, il periodo neo-babilonese, compreso tra il VII e il VI secolo a.C.
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La rinascita di Babilonia
Dopo la campagna di Babilonia, Sennacherib tornò a Ninive, potendosi fregiare a buon diritto dell’antico titolo di re di Sumer e di Akkad. La distruzione della città è l’ultima impresa bellica che le iscrizioni di Sennacherib ci raccontino. Egli sarebbe morto poco dopo, nel 681 a.C., a opera di un complotto orchestrato dai suoi stessi figli. Tuttavia il più giovane, nonché erede designato, Esarhaddon, domò la rivolta dei fratelli e, una volta sul trono, si dedicò a riedificare Babilonia.
La distruzione della città, di fatto, aveva generato un senso di colpa nell’opinione pubblica assira, tanto che per alcuni, la morte di Sennacherib non era altro che il castigo divino per aver devastato la capitale babilonese e i suoi simboli religiosi. La Cronaca di Esarhaddon non a caso commemora la ricostruzione di alcuni dei principali edifici sacri, per iniziativa del nuovo monarca: «Per il dio Marduk, suo signore, Esarhaddon, re di Assiria e di Babilonia, ha realizzato nuovi mattoni cotti per l’Esagila e l’Etemenanki», ovvero il famoso tempio di Marduk e la sua ziggurat, l’Etemenanki, letteralmente “la pietra angolare del cielo e della terra”. Forse questo episodio può rivelare che Sennacherib abbatté in realtà solo alcuni monumenti, quelli che il figlio ricostruì.

Prisma che commemora la ricostruzione di Babilonia da parte di Esarhaddon. British Museum, Londra
Foto: Erich Lessing / Album
In ogni caso, Babilonia risorse dalle sue ceneri. E ancora avrebbe dovuto conoscere il momento del suo massimo splendore, poco più di sessant’anni dopo Esarhaddon, sotto la guida di Nabucodonosor II.
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Per saperne di più
Babilonia. All’origine del mito. Paolo Brusasco, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012.
Dal Tigri all’Eufrate. Babilonesi e Assiri. Antonio Invernizzi, Le Lettere, Firenze, 2008.
Babilonia e le sue storie. Federico Giusfredi, Mondadori, Milano, 2012.