Nell’opera I misteri dell’oppio rivelati (1700), il medico gallese John Jones illustra i benefici di questa sostanza: “L’oppio arreca sollievo dal dolore e da tutti i suoi effetti; la sua azione è legata al fatto di provocare una sensazione piacevole, che è il diretto contrario del dolore”; esso “previene e lenisce stati di afflizione, paura, angoscia e inquietudine”. Per Jones, chi si dedica alle sue normali attività dopo aver assunto oppio, può godere di qualcosa che somiglia a “un deliziosissimo e straordinario ristoro dello spirito a causa di un’ottima notizia, o di qualche altro grande motivo di gioia”. L’autore lo raccomanda contro i mali più disparati: gotta, catarro, asma, dissenteria, colera, morbillo, vaiolo, coliche e così via. L’oppio poi ridurrebbe la nausea e il senso di fame, mitigherebbe i dolori mestruali e le convulsioni, oltre ad avere effetti afrodisiaci. Jones tuttavia ammonisce sui rischi connessi a un uso prolungato di tale droga; le crisi di astinenza provocano infatti “grandi, e anche intollerabili disturbi, angosce e depressioni dello spirito, che in pochi giorni spesso hanno fine in una miserevolissima morte, accompagnata da strane agonie”.
Fumatori di oppio in una miniatura persiana risalente al 1870. British Library, Londra
Foto: AKG / Album
L’esaltata descrizione di Jones riflette l’entusiasmo dei medici del suo tempo per le eccezionali virtù dell’oppio, derivanti dal suo principio attivo: la morfina. Essa allevia il dolore, attenua gli spasmi e la febbre, e induce il sonno; potente analgesico, genera euforia e smorza la tensione, calma inoltre la tosse e provoca la dilatazione dei vasi sanguigni cutanei.
L’era del laudano
Benché l’oppio fosse conosciuto fin dall’antichità, il suo impiego si diffuse soprattutto nel Rinascimento, in seguito all’intensificarsi dei contatti commerciali tra l’Europa e l’Oriente. Il cosiddetto papavero sonnifero veniva infatti coltivato in alcuni territori dell’Impero ottomano, oltre che in Persia e nell’area dell’estremo Oriente. Le ricette mediche che includevano l’oppio si moltiplicarono a partire dal XVI secolo; fu allora che il celebre medico e alchimista svizzero Paracelso ottenne per primo il laudano, una soluzione idroalcolica di oppio, le cui virtù erano indicate nelle patologie del sonno e in caso di dolori. Da quel momento in poi l’oppio assurse a fama di farmaco miracoloso, capace non solo di restituire la salute, ma di procurare un senso di profondo benessere.
Papavero. Illustrazione di un trattato di botanica del XIX secolo
Foto: Album
Con questo tipo di lavorazione, l’oppio divenne, tra i secoli XVI e XVII, la medicina delle classi agiate, poiché nella sua preparazione venivano utilizzati ingredienti preziosi e ricercati. Così, Thomas Sydenham, il più rappresentativo esponente inglese della scienza medica del XVII secolo – conosciuto anche come l’ Ippocrate inglese – mise a punto una nuova formula per il laudano, mescolando l’oppio con vino di Malaga, cannella, chiodi di garofano e zafferano. “Tra le medicine che l’onnipotente ha concesso all’uomo per il sollievo delle sue sofferenze niente è tanto universale ed efficace” affermò Sydenham a proposito di tale miscela, che prescrisse a pazienti quali Oliver Cromwell o re Carlo II. In Francia, del resto, personalità influenti come Colbert, Richelieu e lo stesso Luigi XIV potevano disporre del laudano dell’abate Rousseau, medico del re.
L’attrazione per l’oppio
Nel XVIII secolo l’uso dell’oppio subì una vera e propria democratizzazione. Il consumo di questa sostanza dilagò in Europa e nelle colonie americane, e se ne diversificarono le preparazioni: si presentava in forma di linimenti, compresse, sciroppi. Come il laudano, tali prodotti si trovavano nelle farmacie e promettevano sollievo da ogni tipo di dolore. A tale “panacea” universale, ricorsero Benjamin Franklin, per la sua gotta, o Robert Clive, fondatore dell’Impero britannico in India, che se ne serviva per lenire la sofferenza provocata dai calcoli, e morì suicida per una dose eccessiva di oppio. La sostanza generava dipendenza in chi ne faceva uso e, talvolta, la sua funzione terapeutica non era altro che un pretesto per assumerlo, come nel caso del poeta inglese Samuel Coleridge.
Celebri artisti e scrittori come Coleridge e Thompson erano grandi consumatori d’oppio
L’irresistibile attrattiva dell’oppio risiedeva nella sua capacità di calmare i nervi e placare l’ansia, oltre che di stimolare le sensazioni, proprietà che ne incentivò il consumo da parte di artisti e scrittori. Tra questi vi era l’autore inglese Thomas De Quincey, divenuto celebre per le sue Confessioni di un mangiatore d’oppio (1821), in cui elogiava le virtù di tale droga: “Mentre il vino disordina le facoltà mentali, l’oppio, se preso a dovere, le ordina nel modo più squisito, le disciplina, le mette in armonia. Il vino priva l’uomo del dominio di sé; l’oppio lo aumenta grandemente. Chi prende l’oppio sente il predominio della parte più divina della sua natura, sente cioè che tutti gli effetti morali sono in uno stato d’intatta serenità; su tutto si diffonde la grande, maestosa luce dell’intelletto”.
Giovani cinesi mentre fumano oppio. Fotografia colorata a mano degli inizi del ’900 proveniente da una pubblicazione sulle missioni in Cina
Foto: Culture-Images / Album
Ai livelli inferiori della scala sociale, d’altra parte, l’oppio offriva agli operai delle zone industriali del Regno Unito un sollievo temporaneo dalla fatica, dopo i massacranti turni di lavoro nelle officine e nelle miniere. Quello che circolava in Europa proveniva perlopiù dal Vicino Oriente ed era più ricco di morfina rispetto a quello coltivato in India, che gli inglesi smerciavano di contrabbando in Cina, dove la sua introduzione e l’uso furono proibiti alla fine del XVIII secolo. Ciò avrebbe decretato lo scoppio di due conflitti che videro contrapporsi l’Impero cinese al Regno Unito (1839-1842) e alle truppe anglo-francesi (1856-1860) e sancirono la nascita di una nuova abitudine: fumare l’oppio.
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Dalla pipa all’ago
In Cina il vizio di fumare tabacco (tale pianta, originaria dell’America del Sud, era stata scoperta dagli spagnoli e importata in Europa alla fine del XV secolo), era così diffuso che l’ultimo imperatore Ming, alla metà del XVII secolo, ne proibì l’uso. Fu allora che i cinesi iniziarono a fumare l’oppio. Il medico inglese Thomas Clifford Allbutt (1836-1925) scriveva in proposito: “Il fumo dell’oppio, in Europa o altrove, non è condannato tanto per i danni più o meno seri che arreca alla salute, quanto per le circostanze degradanti associate al suo consumo; in Oriente è la risorsa di coloro che sono considerati la feccia della società”. Tali idee furono proiettate sulle fumerie d’oppio che iniziarono a proliferare in Europa e in America dalla metà del XIX secolo, in seguito all’immigrazione cinese.
La morbosa curiosità dell’opinione pubblica intorno a questi luoghi fu alimentata da romanzi quali Il mistero di Edwin Drood di Charles Dickens (1869), e dalle campagne di denuncia promosse dalla stampa, che li presentava come veri e propri antri di perdizione. Così, mentre si diffondeva la consuetudine di fumare oppio, le forme del suo consumo si differenziarono ulteriormente: nel 1806 fu estratta la morfina, il principale alcaloide dell’oppio, il cui impiego fu facilitato dall’avvento dell’ago ipodermico nel 1853. Utilizzata come antidolorifico durante la Guerra di secessione, i suoi effetti erano rapidi e potenti, ma chi ne faceva uso ne diveniva ben presto dipendente. Paradossalmente, all’inizio fu commercializzata come rimedio per la dipendenza da oppio; lo stesso sarebbe avvenuto per l’eroina, un derivato della morfina creato nel 1898, ritenuto capace di guarire i morfinomani. La vendita di queste sostanze non avrebbe incontrato ostacoli fino al 1912, quando fu firmata all’Aia la Convenzione internazionale dell’oppio.
Pubblicità di farmaci, tra cui l'eroina, diffusa negli Stati Uniti nel 1900
Foto: AKG / ALBUM
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