Cristoforo Colombo e i Re cattolici

Quando presentò il suo progetto per raggiungere l’Asia attraversando l’Oceano Atlantico, gli esperti lo giudicarono pazzo. Fu la regina Isabella a superare le riserve e a rendere possibile la sua impresa

Alla fine del 1491 Cristoforo Colombo sembrava sul punto di rinunciare al sogno che occupava tutti i suoi pensieri da almeno un decennio: raggiungere l’Asia attraversando l’oceano. Aveva compiuto da poco quarant’anni e trascorso gli ultimi sei a presentare invano pratiche e documenti al governo della Castiglia in cerca di sostegno finanziario per la spedizione. Nonostante ci fosse chi lo assecondava, i consiglieri dei sovrani e gli esperti del Consiglio formato a Salamanca nel 1486 si mostravano scettici, se non addirittura ostili, verso un progetto del tutto nuovo. La proposta di Colombo contraddiceva molte idee ormai stabilite – compresi i testi delle sacre scritture –, si basava su calcoli geografici spregiudicati e per di più era presentato da uno straniero sconosciuto e senza formazione accademica.

I sovrani non gli avevano dato una risposta negativa, ma continuavano a rimandare la decisione, impegnati com’erano a strappare Granada ai musulmani. Colombo non si era perso d’animo e aveva seguito la corte nei suoi continui spostamenti; secondo alcune fonti, avrebbe anzi preso parte a una campagna militare. Quando, però, alla fine del 1491, poco prima di dare il via all’assalto di Granada, i sovrani lo ricevettero a Santa Fe e ancora una volta gli rifiutarono il loro appoggio all’impresa, il genovese decise di abbandonare la corte e partì alla volta di Huelva e del monastero di Santa María della Rábida, dove si era stabilito nella primavera del 1485 dopo che anche i portoghesi avevano lasciato cadere la sua proposta. L’unica possibilità che gli rimaneva era tentare la sorte in Francia: Carlo VIII lo aveva infatti invitato a esporgli il suo progetto.

Carta nautica attribuita a Cristoforo Colombo. Bibliothèque Nationale, Parigi

Carta nautica attribuita a Cristoforo Colombo. Bibliothèque Nationale, Parigi

Foto: White Images / Scala, Firenze

Fu allora che padre Juan Pérez, il monaco della Rábida, che fin dall’inizio aveva creduto nel suo piano, decise di fare un ultimo tentativo. Pérez era stato il confessore della regina Isabella e confidava che questa gli avrebbe dato ascolto. In effetti, la regina lo ricevette, e quella conversazione fu decisiva: la sovrana richiamò Colombo, il quale, in un’udienza avvenuta a Santa Fe poco dopo la resa di Granada, riuscì a convincere i monarchi spagnoli a sovvenzionare la sua impresa. Non abbiamo notizie precise su come si svolse l’incontro, ma si può ipotizzare che sia stato in quel momento che tra il navigatore genovese e la Regina cattolica si stabilì una connessione che ebbe un effetto fondamentale sull’avventura della scoperta.

Clima di euforia

A Santa Fe Colombo ebbe cura di presentare l’impresa in modo consono al clima di esaltazione religiosa che accompagnava la fine della reconquista. Affermò che il viaggio in India avrebbe permesso di portare aiuto ai cristiani di quel continente, di lavorare per la conversione degli infedeli e, inoltre, di utilizzare i benefici economici della spedizione, che si prevedevano ingenti, per finanziare una crociata che liberasse Gerusalemme dai musulmani.

Isabella fu l’anima dell’impresa di Colombo. «Credo che fu la regina, più del re, a favorire la scoperta delle Indie», scrisse il cronista castigliano Francisco López de Gómara. Scultura di Mariano Benlliure. 1892

Isabella fu l’anima dell’impresa di Colombo. «Credo che fu la regina, più del re, a favorire la scoperta delle Indie», scrisse il cronista castigliano Francisco López de Gómara. Scultura di Mariano Benlliure. 1892

Foto: Bridgeman / Aci

In ogni caso, Ferdinando II d'Aragona e Isabella si lasciarono convincere e, dopo un accenno di ritirata da parte del genovese, accettarono persino le sue consistenti richieste in termini di autorità personale, come possiamo leggere nelle Capitolazioni di Santa Fe, firmate il 17 aprile 1492. Pensarono che tali concessioni non fossero così importanti in un’impresa dal risultato tanto incerto e che, d’altra parte, per loro la missione non era gravosa dal punto di vista economico, poiché la spesa prevista, di circa due milioni di maravedì, era coperta da un prestito ottenuto da un funzionario del re, Luis de Santángel, dall’apporto dello stesso Colombo (grazie a un prestito personale) e dal contributo forzato della città di Palos, che dovette fornire due delle tre navi della spedizione.

Sette mesi dopo la partenza di Colombo dal porto di Palos, avvenuta il 3 agosto 1492, giunse alla corte castigliana la notizia del suo ritorno. Da Lisbona, dove la sua nave era approdata i primi di marzo del 1493, Colombo inviava ai Re cattolici una lettera nella quale annunciava la sua sensazionale impresa: aveva completato il suo viaggio attraverso l’oceano fino a giungere sulle coste dell’Asia, la stessa zona che Marco Polo aveva esplorato due secoli prima. Ferdinando e Isabella, raggianti per quel nuovo segno di favore della provvidenza divina, scrissero immediatamente al «nostro Ammiraglio del Mare Oceano e viceré e governatore delle terre scoperte nelle Indie» – questo era il titolo che gli spettava in virtù delle Capitolazioni di Santa Fechiedendogli di affrettarsi a raggiungerli a Barcellona, dove si trovavano in quel periodo.

Le 'Capitolazioni di Santa Fe' furono stipulate e firmate nell’aprile del 1492 da padre Juan Pérez, rappresentante di Colombo, e Juan de Coloma, segretario di Ferdinando il Cattolico

Le 'Capitolazioni di Santa Fe' furono stipulate e firmate nell’aprile del 1492 da padre Juan Pérez, rappresentante di Colombo, e Juan de Coloma, segretario di Ferdinando il Cattolico

Foto: Dea / Album

Il viaggio dell’Ammiraglio verso la Città Comitale fece sensazione. Colombo arrivò con sette indigeni americani, con pappagalli e altri animali e piante e frutti di ogni tipo, e «la gente accorreva per le strade per vedere lui, gli indiani e le altre novità che portava con sé», scrive un cronista. A Barcellona i sovrani gli riservarono un’accoglienza trionfale e gli tributarono grandi segni di deferenza, permettendogli di sedersi davanti a loro e passeggiando con lui per le vie della città. Sebbene le fonti non lo riportino, dovette aver luogo allora un incontro personale tra Colombo e la regina che lasciò un segno profondo nell’ammiraglio, poiché otto anni dopo, in una lettera alla sovrana, egli scrisse in tono dimesso e devoto: «Io sono servo di vostra altezza. Vi ho consegnato le chiavi della mia volontà a Barcellona [...] A Barcellona mi sono dato interamente a Vostra Altezza senza lasciare nulla di me».

Lo sbarco di Colombo il 12 ottobre del 1492 a Guanahani. Dipinto di Dioscoro de la Puebla

Lo sbarco di Colombo il 12 ottobre del 1492 a Guanahani. Dipinto di Dioscoro de la Puebla

Foto: Art Archive

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I frutti dell’impresa

Il successo del viaggio del 1492 valse a Colombo non solo il momento di gloria immediato, ma anche una posizione privilegiata alla corte reale come esperto navigatore e cartografo al quale i sovrani chiedevano spesso consiglio. Tuttavia, il prestigio dello scopritore si sgretolò di lì a poco a causa del suo discusso operato come governatore delle terre scoperte. Già durante il suo secondo soggiorno nelle isole caraibiche giunsero alla corte le lamentele dei coloni spagnoli che si sentivano discriminati o maltrattati dall’ammiraglio. Al ritorno da questo secondo viaggio, Colombo si presentò a Burgos per rendere conto delle proprie ragioni, e «informò [i sovrani] nei minimi dettagli e presentò loro le proprie scuse meglio che poté», ancora secondo quanto riportato dal cronista Santa Cruz. I re lo perdonarono e lo incaricarono di compiere un nuovo viaggio, il terzo, che alla fine si rivelò fatale per la reputazione di Colombo.

Di fronte all’aperta ribellione dei coloni spagnoli, tentò di imporre la propria autorità, con il risultato di moltiplicare lamentele e denunce; alla fine i sovrani decisero d'intervenire inviando un commissario speciale che assumesse il governo delle isole, anche a costo di violare i privilegi di Colombo. Non appena giunse a Hispaniola, nell’agosto del 1500, il corregidor (commissario reale) Francisco de Bobadilla arrestò i tre fratelli Colombo e li rimandò in catene in Spagna.

Nel 1500 Colombo fu arrestato a Hispaniola e riportato in Spagna. Dipinto di Lorenzo Delleani (XIX secolo)

Nel 1500 Colombo fu arrestato a Hispaniola e riportato in Spagna. Dipinto di Lorenzo Delleani (XIX secolo)

Foto: Culture Images / Album

Prima di questo epilogo, un’altra questione aveva suscitato lo scontento della regina verso l’ammiraglio: il trattamento riservato agli indigeni. Se inizialmente aveva mostrato benevolenza verso gli indios e non aveva commesso abusi, in seguito Colombo stabilì di catturare quelli che si fossero ribellati contro gli spagnoli o che avessero praticato l’antropofagia e di venderli come schiavi di guerra in Europa. Nel 1495 inviò un primo “carico” di 300 schiavi a un socio che doveva venderli in Andalusia, e nel 1498 ne spedì altre cinque navi.

I sovrani, e in particolare la regina Isabella, si affrettarono a porre fine a questa attività. All’inizio fu uno scrupolo di coscienza a spingerli a ordinare che fosse trattenuto il denaro ricevuto per la vendita dei primi 300 schiavi, fino a quando un’assemblea di teologi non avesse stabilito se il commercio fosse moralmente lecito. Quando però la regina venne a sapere che Colombo, nel suo terzo viaggio – nel quale aveva ricevuto l’incarico di occuparsi dell’evangelizzazione degli indigeni – aveva suddiviso gli indios come schiavi tra i suoi coloni, non tenne a freno l’indignazione. Secondo Las Casas, la sovrana esclamò: «Che potere ha l’Ammiraglio per dare ad altri i miei vassalli?». Gli abitanti delle Indie non erano nemici della Corona e quindi non si poteva far loro la guerra e poi venderli come schiavi. La regina, dunque, ordinò che gli indigeni giunti in Spagna in condizione di schiavitù fossero ricondotti nella loro terra d’origine.

Colombo alla corte di Ferdinando il Cattolico. Xilografia da un dipinto di Wenzel von Brozik. XIX secolo

Colombo alla corte di Ferdinando il Cattolico. Xilografia da un dipinto di Wenzel von Brozik. XIX secolo

Foto: AKG / Album

Speranze deluse

Nonostante questi conflitti, i sovrani non si accanirono contro Colombo. Non appena giunse a Cadice, nel novembre del 1500, ordinarono di liberarlo e lo convocarono a corte. In una lettera all’ammiraglio scrivono: «State certo che la vostra prigionia è stata un peso per noi [...] e che non appena l’abbiamo saputo abbiamo ordinato che fosse posto rimedio [...] e ora intendiamo onorarvi e trattarvi bene». A Granada gli riservarono una calorosa accoglienza e gli permisero di organizzare un nuovo viaggio, che vollero finanziare. Tuttavia gli proibirono di mettere piede a Hispaniola e gli tolsero il monopolio del commercio con le Indie.

Il quarto viaggio fu una successione di disgrazie e Colombo dovette tornare a Siviglia alla fine del 1504, malato e depresso. Il primo dicembre di quell’anno, quando seppe che la regina era gravemente malata, scrisse una lettera al figlio Diego, che aveva un ruolo a corte, nella quale pregava per la salute della sovrana e diceva che lei sola poteva impedire che le Indie andassero perdute. Tutte le sue aspettative, però, furono deluse: la regina era morta cinque giorni prima, e i suoi successori ignorarono tutte le richieste dell’ammiraglio, che morì a Valladolid, non povero come egli soleva dire, ma di certo amareggiato, il 20 maggio 1506.

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