"Da nessuna guerra tornò senza corona né onori [...] accumulava azioni nobili su azioni nobili e aggiungeva bottini ai bottini". Secondo lo storico greco Plutarco ne Le vite parallele, fu questa la fama acquisita da Gneo Marcio (non ancora chiamato Coriolano) fin dalla sua gioventù nella Roma che aveva appena espulso l’ultimo dei re, Tarquinio il Superbo, e che era impegnata in continue lotte contro i popoli vicini. Appartenente a un’illustre famiglia patrizia, fin da bambino Gneo Marcio "si allenava in ogni tipo di combattimento in modo da essere leggero nella corsa, pesante nella presa e nella lotta, e difficile per l’avversario da sopraffare", racconta Plutarco.
Combatté dapprima nelle battaglie guidate da Tarquinio il Superbo, che tentò di riconquistare il trono, e successivamente contro i volsci e altri popoli italici determinati a sfidare Roma per ottenere il dominio sul centro Italia. Tra le campagne militari combattute da Marcio, la conquista nel 493 a.C. di Corioli, la città più importante dei territori occupati dal popolo volsco a sud di Roma, gli conferì un grande prestigio. La situazione delle truppe romane infatti non era delle migliori prima del suo intervento. Il console Cominio aveva assediato la città nemica, ma da ogni lato giungevano nuove truppe volsce per supportare gli assediati. Cominio fu costretto a separare le sue truppe per far fronte al nemico che attaccava adesso dall'esterno delle mura.
Coriolano implorato dalla sua famiglia. Nicolas Poussin. 1652-1653 circa. Musée Nicolas-Poussin, Les Andelys, Francia
Foto: Pubblico Dominio
I coriolani assediati decisero di approfittare della momentanea distrazione nemica e fecero una sortita, respingendo i romani fino all'accampamento. La battaglia sembrava perduta, i romani venivano attaccati da ogni lato. Fu allora che Marcio si gettò nella mischia, trascinando con sé i soldati romani. Gli assalitori, ormai certi della vittoria, non si aspettavano un attacco.
L’impresa di Corioli
Secondo il resoconto dello storico Tito Livio nel suo Ab Urbe condita, Marcio “non solo respinse l’attacco di coloro che tentavano la sortita, ma ebbe il coraggio di penetrare attraverso la porta aperta tra le prime case della città e, dopo aver seminato la morte, trovò per caso una torcia e appiccò il fuoco agli edifici vicino alle mura”.
Coriolano combatté contro Tarquinio il Superbo, l’ultimo re di Roma, e contro i Volsci e gli altri popoli italici
I volsci, visto l’incendio, levarono alte grida e credettero che i romani avessero ormai preso la città. Impauriti e in fuga, permisero ai soldati nemici di organizzare un contrattacco e prendere la città definitivamente. Questa impresa valse a Marcio l’epiteto di Coriolano; fece ritorno a Roma da trionfatore tra il plauso dei senatori e dei patrizi della città, e soprattutto di sua madre, Veturia, nei confronti della quale egli nutriva un’autentica venerazione, e dalla moglie Velumnia. Eppure, nonostante il valore e il coraggio dimostrati in battaglia, non tutti i romani vedevano di buon occhio le sue imprese. Di fatto, in quegli anni l’Urbe viveva un grande momento di crisi, nella quale patrizi e plebei erano spesso in conflitto.
I privilegi dei primi divenivano sempre più insopportabili per i secondi, che di fatto erano fondamentali per la sopravvivenza di Roma, poiché combattevano e si sacrificavano per la propria patria senza ricevere in cambio alcun miglioramento della propria condizione.
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La grande sfida
Nel 495 a.C., due anni prima della campagna militare di Corioli, si verificò una grave crisi. I plebei si ribellarono contro l’aristocrazia cittadina e l’anno seguente decisero di disertare dall’esercito e ritirarsi con le loro famiglie sull’Aventino, o, secondo altre fonti, sul monte Sacro, con il proposito di fondare una nuova città di plebei. Tale evento convinse i patrizi, preoccupati per le sorti di Roma, ad accettare alcune richieste sollevate dai ribelli con la mediazione del console Menenio Agrippa, concedendo loro il diritto di eleggere i propri magistrati, chiamati tribuni della plebe, incaricati di difendere i diritti delle classi povere. In questo frangente, Coriolano fu fautore di una linea dura e invitò i patrizi a rifiutare tutte le richiesta dei plebei. Secondo Plutarco, nel 491 a.C. Coriolano si presentò alle elezioni per essere eletto console, ma, dopo un’apparente approvazione iniziale del popolo, fu sconfitto a causa dell’opposizione dei tribuni.
Coriolano alle porte di Roma. Giambattista Tiepolo. 1696-1770.
Foto: Fine Art Images / Heritage
Intorno al 490 a.C. si ebbe una carestia a Roma. In seguito alle rivolte dei plebei arrivarono approvvigionamenti, ma Coriolano pronunciò un discorso molto duro contro la misura che il Senato intendeva adottare per far fronte al problema, ovvero concedere il grano a poco prezzo. Secondo quanto raccontato da Tito Livio, Coriolano sentenziò: "Se vogliono l’antico prezzo del grano restituiscano al Senato gli antichi diritti. Perché devo vedere dei plebei come se fossero dei magistrati?". Secondo il resoconto di Plutarco, le parole di Coriolano non solo non furono condivise dalla maggior parte del Senato, ma alimentarono ulteriormente l’astio nei suoi confronti, perché egli proponeva lo scioglimento del tribunato. E infatti Coriolano fu accusato dai tribuni di tradimento e condannato a morte. Non tutti però erano d'accordo con tale condanna, e alcuni proposero di rinviarlo al giudizio del popolo. Su ciò che successe in seguito, le fonti antiche non sono concordi. Secondo Tito Livio, Coriolano rinunciò a difendersi e scelse l'esilio volontario presso i volsci, che lo accolsero nonostante fosse stato il fautore della loro sconfitta; per Plutarco, invece, dopo la condanna del popolo cui fu sottoposto, egli fu condannato all’esilio perpetuo.
Sia come sia, volontariamente o meno, Coriolano dovette abbandonare Roma. Offeso e in cerca di una possibile vendetta, il patrizio si recò allora ad Anzio, presso Tullo Anfidio, un suo grande rivale del passato. Questi lo accolse con entusiasmo e assieme cominciarono a fare piani di guerra per sconfiggere Roma. A quel punti i volsci, guidati da Coriolano, dichiararono guerra a Roma e in poche settimane conquistarono molti territori a sud dell'Urbe, inclusa Corioli. La strategia di Coriolano prevedeva solo la distruzione delle terre dei plebei: risparmiando i possedimenti dei patrizi, egli intendeva alimentare l’ostilità tra le due classi sociali a Roma.
Spietato contro la patria
Intanto a Roma i plebei si rifiutarono di continuare la guerra ed erano pronti a revocare la condanna di Coriolano: il Senato decise così di riconciliarsi con l’esule, che intanto aveva iniziato a marciare contro Roma. Coriolano però rispose che in cambio Roma avrebbe dovuto restituire ai volsci i territori conquistati in passato e avrebbe dovuto riconoscergli i diritti civili. Questa linea inflessibile fu mantenuta anche nei incontri successivi. Proprio allora, secondo le testimonianze degli storici, le donne della città convinsero la madre e la moglie di Coriolano a supplicarlo di abbandonare i suoi propositi di vendetta.
Coriolano viene convinto dalla sua famiglia a risparmiare Roma. Affresco di Luca Signorelli. 1508-1809. Siena
Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press
Secondo quanto raccontato da Tito Livio, l’esule romano si commosse alla vista dei familiari e andò a salutare prima di tutto la madre, che gli disse: "Prima di ricevere il tuo abbraccio, mostrami se sei un figlio riconoscente o ingrato, e io ti abbraccerò. Sono tua madre o sono la tua preda?". I romani vollero tributare un riconoscimento alle donne della città, le quali chiesero che fosse costruito un tempio dedicato alla Fortuna Muliebris.
Gli storici non sono concordi nemmeno sulla morte di Gneo Marcio Coriolano. Plutarco sostiene che il patrizio fu assassinato dai volsci, indignati per il suo tradimento e la mancata conquista di Roma: "I più violenti dei suoi seguaci si mettono a gridare che i Volsci non dovevano prestare ascolto al traditore né permettergli che la facesse da tiranno e si rifiutasse di deporre il comando; dopo di che, assalitolo tutti insieme, lo uccisero, e nessuno dei presenti si fece avanti per difenderlo". Tito Livio, invece, segue la versione di uno storico latino del III secolo a.C., Fabio Pittore, il quale affermava che Coriolano sarebbe morto di vecchiaia in esilio.
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