Nella Firenze della seconda metà del XV secolo due famiglie si contendevano il controllo della città. Entrambe avevano fatto fortuna con le banche, e da decenni i Pazzi e i Medici prestavano enormi somme di denaro non solo alla città, ma anche al papa e ai regni stranieri. Cosimo de' Medici, il fondatore della dinastia, aveva saputo instaurare un dominio che, dietro le apparenze di repubblica, gli consentiva di tenere le redini del governo grazie a una ragnatela fitta di amicizie, clientele e prestiti elargiti con generosità. Dal 1469 questo potere era passato ai nipoti: Lorenzo, in seguito detto il Magnifico, aveva vent'anni e suo fratello Giuliano sedici.
Nel 1473 il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza aveva messo all'asta la città di Imola che, a ridosso dei possedimenti fiorentini, faceva gola sia ai Medici sia al pontefice, Sisto IV. Quest'ultimo voleva che il nipote Girolamo Riario ne diventasse il signore e, a corto di liquidità, si rivolse ai Medici, che rifiutarono di concedergli il prestito. Pensò allora di chiedere aiuto ai Pazzi, che concessero con piacere la somma richiesta. È a questo smacco dei Pazzi ai Medici che di solito si fa risalire la prima scintilla che anni dopo avrebbe portato alla congiura dei Pazzi.

Giuliano de' Medici (a sinistra) ritratto da Sandro Botticelli e Lorenzo de' Medici ritratto da Agnolo Bronzino.
Foto: Pubblico dominio / ©TopFoto / Cordon Press
Nel frattempo Sisto IV, offeso dal trattamento ricevuto dai Medici, tolse alla famiglia la gestione della tesoreria apostolica e la concede ai Pazzi. Il colpo fu durissimo, ma Lorenzo il Magnifico non si lasciò abbattere, e l'anno dopo bloccò la nomina ad arcivescovo di Firenze di Francesco Salviati, un protetto del papa. Il pontefice, sconfitto, non poté fare altro che ripiegare, nominando Salviati arcivescovo di Pisa. Intanto il capostipite dei Medici non aveva dimenticato quanto aveva perso a causa del prestito concesso al papa dai Pazzi, e nel 1477 trovò il modo di vendicarsi facendo approvare una legge, di fatto ad personam, per impedire che la moglie di Giovanni dei Pazzi, Beatrice Borromei, ereditasse l’enorme fortuna del padre.
Guerra aperta
Ormai il fronte anti-mediceo era aperto. Se a Firenze i Pazzi opponevano una feroce resistenza, fuori dai confini della città gli avversari dei Medici non erano da meno. Tra di loro si annoveravano il papa, il duca di Urbino Federico da Montefeltro e il re di Napoli Ferrante d'Aragona, timoroso per il crescente potere di Lorenzo. In tale clima di tensione Francesco Pazzi, che anni dopo sarebbe stato descritto da Guicciardini come un «uomo molto inquieto, animoso ed ambizioso», decise che era tempo d'intervenire. Nipote del patriarca della famiglia, Jacopo, e tesoriere del papa, Francesco si adoperò per reclutare i primi due complici: si rivolse immediatamente a Girolamo Riario, nipote di Sisto IV e ormai signore di Imola, e all'arcivescovo di Pisa Francesco Salviati. Ormai d'accordo, i tre illustrarono i loro piani al pontefice.
Probabilmente non dovettero fare molti sforzi per convincere Sisto IV della necessità impellente di arrestare il dominio dei Medici. L'unica condizione che il pontefice pose – sapendo perfettamente che non avrebbe potuto essere rispettata – fu che non sarebbe dovuto esserci nessuno spargimento di sangue. Da un lato, dunque, le truppe papali e quelle di Federico da Montefeltro presero la via di Firenze e s'insediarono nei pressi della città, pronte a intervenire, dall'altro i congiurati stabilirono di agire di sabato, il 25 aprile del 1478: nel corso di un banchetto a Villa Medici a Fiesole avrebbero approfittato della confusione per avvelenare Lorenzo e Giuliano.

Prove di Cristo, di Sandro Botticelli (1480-1482). I tre uomini in basso a sinistra sarebbero i congiurati che attentarono alla vita di Lorenzo e Giuliano. Cappella Sistina.
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L'incidente che sventò la congiura
Il loro piano, e probabilmente l'intera congiura, fu mandato all'aria da un incidente patito da Giuliano che, feritosi a una gamba nel corso di una battuta di caccia, il giorno del banchetto preferì rimanere a letto a riposare, obbligando i congiurati a rimandare il duplice omicidio al giorno dopo. Avrebbero ucciso i fratelli Medici nel duomo. La mattina dopo Lorenzo de' Medici giunse puntuale nella cattedrale di Firenze accompagnato da amici e cortigiani, tra cui il poeta Angelo Poliziano. Ma per gli assassini le difficoltà non erano finite: il sicario designato per uccidere Lorenzo, il condottiero papale Giovanni Battista da Montesecco, si tirò indietro, timoroso di commettere un omicidio all'interno di una chiesa. In tutta fretta si decise che due sacerdoti, Antonio Maffei da Volterra e Stefano da Bagnone (cappellano dei Pazzi) si sarebbero occupati di Lorenzo, e che Francesco dei Pazzi e Bernardo Bandini Baroncelli avrebbero pensato a Giuliano.
Ma dov'era Giuliano? La messa era iniziata e del più giovane dei Medici non c'era traccia: ancora dolorante, si trovava nella residenza di famiglia in via Larga. Francesco dei Pazzi e Bernardo Bandini Baroncelli presero allora la via di palazzo Medici, dove convinsero Giuliano ad accompagnarli fino a Santa Maria del Fiore per assistere alla messa celebrata da Raffaello Riario, il nipote del papa appena nominato cardinale. Uno dei due lo abbracciò ripetutamente. Ma quello che sarebbe potuto sembrare un gesto d'affetto, non lo era affatto: era invece solo un modo per sincerarsi che Giuliano non indossasse l'armatura, che solitamente portava per precauzione.
Mentre i tre arrivano in chiesa, l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati si recava a palazzo Vecchio con un seguito di circa cinquanta persone, presentati come fuoriusciti da Perugia che richiedevano protezione. In realtà erano tutti congiurati, e dovevano dare una mano a Salviati a impadronirsi del palazzo del governo non appena sarebbe arrivato il segnale convenuto, che comunicava all'arcivescovo che l'omicidio dei Medici era stato perpetrato.

Lorenzo (a sinistra) e Giuliano de' Medici. Moneta coniata per commemorare il trionfo del Magnifico dopo la congiura dei Pazzi. Disegnata da Bertoldo di Giovanni nel 1480 circa.
Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press
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L'epilogo
A Santa Maria del Fiore, il cardinale Riario pose fine alla messa. Giuliano, a capo chino, venne fulmineamente trafitto al petto dal Bandini; subito gli fu addosso anche Francesco Pazzi, che lo massacrò a colpi di pugnale, così preso dalla furia omicida che si ferì gravemente a una gamba. Mentre Giuliano esalava il suo ultimo respiro, i due sacerdoti si scagliarono contro Lorenzo ma, non essendo abituati a usare spade e pugnali, riuscirono a ferirlo di striscio alla gola, prima che il Magnifico venisse trascinato dai suoi amici nella sagrestia, in salvo.
Intanto, a palazzo Vecchio, Salviati era in difficoltà: il gonfaloniere Cesare Petrucci, insospettito, fece bloccare lui e tutti i "perugini" sventando l'attacco. L'ultima speranza dei Pazzi era il capostipite della famiglia, Jacopo, che con cento armati corse al galoppo per Firenze dando l'annuncio del colpo di stato al grido di «Libertà». Le reazioni del popolo, però, furono tutt'altro che favorevoli ai congiurati. Al grido di «Palle, palle...» – l'emblema sullo stemma dei Medici –, la gente ribadì il suo sostegno alla famiglia attaccata. Bernardo Bandini, uno degli assassini di Giuliano, uscì da Firenze per avvisare le milizie pontificie e del duca di Montefeltro del fallimento, e queste sgombrarono subito il campo, lasciando i congiurati alla mercé dei Medici e del popolo.

L'impiccagione di Bernardo Bandini in un disegno del 1479 opera di Leonardo da Vinci, che assistette all'esecuzione
Foto: Pubblico dominio
Le ritorsioni
I fiorentini, aizzati dalla fazione medicea, accorsero a palazzo Pazzi per trascinare Francesco, ferito, a palazzo Vecchio, dove lui e l'arcivescovo Salviati vennero impiccati a una finestra. La stessa sorte sarebbe toccata ai due sacerdoti che avevano cercato di uccidere Lorenzo, mentre quest'ultimo sarebbe rimasto chiuso nella sua residenza per diversi giorni, in modo da non essere direttamente coinvolto nel massacro.
La magistratura cittadina agì con brutalità contro coloro che avevano attentato alla vita dei Medici. Antonio Maffei e Stefano da Bagnone, rifugiatisi nella Badia Fiorentina, furono catturati una decina di giorni dopo. E' recentissimo il ritrovamento nell'Archivio di stato di Firenze, da parte dello storico Marcello Simonetta della New York University, della confessione autografa di Antonio Maffei, che fu interrogato, torturato, e rivelò (anche per sgravarsi la coscienza) tutti i dettagli del piano, in cui disse di avere avuto poca fiducia fin dall'inizio. Vi aveva partecipato in odio a Lorenzo dei Medici per la sanguinosa spedizione contro la sua Volterra avvenuta cinque anni prima. Maffei e Stefano da Bagnone, a cui furono tagliati naso e orecchie, furono impiccati il 13 maggio e appesi a Palazzo Vecchio.
Oltre a loro, nel giro di pochi giorni, un'ottantina di persone tra cui quasi tutti i membri della famiglia Pazzi furono messe a morte. Solo Bandini riuscì a fuggire nascondendosi a Costantinopoli, ma poco più di un anno dopo sarebbe stato consegnato dai turchi ai Medici e impiccato. Così lo avrebbe ritratto un giovane Leonardo Da Vinci, alle prese con i suoi studi di anatomia. Intanto Lorenzo il Magnifico si era sbarazzato in un colpo solo di quasi tutti i suoi nemici, potendo diventare, come avrebbe affermato Guicciardini, l'autentico «ago della bilancia d'Italia».

La scoperta del corpo di Jacopo Pazzi. Odoardo Borrani, 1864. Galleria d'arte moderna, Firenze
Foto: Alinari / Cordon Press
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Per saperne di più
Istorie fiorentine e altre opere storiche politiche. Niccolò Machiavelli, a cura di Alessandro Montevecchi, UTET, Torino, 2007.
Storie fiorentine dal 1378 al 1509. Francesco Guicciardini, Bur Rizzoli, Milano, 2018.
Il Magnifico. Vita di Lorenzo de’ Medici. Antonio Altomonte, Castelvecchio, Roma, 2013.
Al traditor s’uccide: la congiura de’ Pazzi, un dramma italiano. Niccolò Capponi, Il Saggiatore, Milano, 2014.