La coca, pianta sacra e curativa degli antichi inca

Preziosa quanto l’oro e l’argento, la foglia di questo vegetale si utilizzava nelle cerimonie religiose e come energetico

Un’antica leggenda andina narra di Kuka, una donna dalla bellezza talmente straordinaria che nessuno in tutto l’Impero poteva resistere al suo fascino. Consapevole del suo potere, nel corso della sua vita Kuka approfittò degli uomini che si prostravano ai suoi piedi, finché la fama delle sue cattive azioni arrivò alle orecchie di Inca, che ordinò di sacrificarla e seppellirla dopo averla tagliata in due. Dove il suo corpo fu “seminato” nacque una pianta dalle proprietà straordinarie, che donava agli uomini forza e vigore e mitigava le loro pene. In onore della donna le fu dato il nome di coca.

'Il coltivatore'. Illustrazione della cronaca di Felipe Guamán Poma de Ayala. Inizi del XVII secolo

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Foto: Bridgeman / Aci

 

 

Questo mito rende conto della grande importanza che aveva, e continua ad avere, la foglia di coca nella vita quotidiana delle comunità che abitano le Ande. Si consuma realizzando un infuso (mate di coca) oppure masticandola, e oggi si impiega, oltre che per la piacevole sensazione che procura, per contrastare il mal di montagna, resistere agli sforzi fisici, integrare l’alimentazione e perfino per leggere il futuro, anche se «funziona solo se credi in lei».

Sostanza energetica

Le proprietà medicinali della coca sono state avallate dalla scienza. La foglia di coca contiene alcaloidi che agiscono come stimolante, apportando forza fisica e spegnendo la sensazione di fame e di sete. Inoltre è ricca di ferro, contiene vitamine B e C e aiuta a stabilizzare i valori della glicemia, tutte azioni che contribuiscono ad accrescere il suo effetto rinvigorente. Favorisce il rilassamento muscolare e l’apertura delle vie respiratorie, motivo per cui riduce la sensazione di asfissia ad alta quota, dove la mancanza di ossigeno provoca il soroche o mal di montagna. Aumenta il pH del sangue, facilita la digestione e contrasta la stipsi; si utilizza inoltre per combattere i disturbi gastrici. Ha proprietà antibatteriche e analgesiche, come hanno potuto verificare i conquistadores spagnoli, che la inserirono ben presto nel loro armamentario farmaceutico. Questo insieme di proprietà medicinali e curative spiega perché la coca fu così apprezzata e, di conseguenza, sacralizzata con il nome di Mama Coca.

Il consumo della coca risale alle prime società andine: abbiamo testimonianze del suo uso presso culture molto antiche, come quella di Las Vegas, in Ecuador (8850-4650 a.C.). Fu durante l’Impero inca – a partire dal XIII secolo – che acquisì un particolare ruolo religioso e socioeconomico. Infatti, gli inca fecero della coca una pianta sacra, che veniva offerta alle divinità – al naturale, masticata o bruciata – e che integrava i sacrifici umani e animali. Si consumava in quantità ingenti durante le grandi cerimonie a Cuzco, la capitale dell’Impero, e faceva parte del corredo funebre che accompagnava i morti nel viaggio nell’aldilà. Le si attribuivano anche proprietà magiche. Cristóbal de Molina, un sacerdote spagnolo che visse a Cuzco intorno al 1565, grande conoscitore delle tradizioni inca, spiega nella sua testimonianza che gli inca soffiavano la coca in direzione del Sole – la principale divinità inca – e degli altri dei per curare i malati. Infine alle foglie erano attribuiti poteri divinatori.

Nel XIX secolo, il chimico Albert Niemann scoprì come estrarre dalle foglie di coca il principio attivo cui diede il nome di cocaina

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Foto: Florilegius / Album

 

 

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Coltivatori di coca inca

Gli inca svilupparono un complesso sistema di coltivazione e lavorazione della foglia di coca. Dapprima dovettero creare campi coltivabili in regioni umide e calde, le più indicate per la crescita della pianta. Le foglie erano raccolte quando si rompevano al piegarle, e poi venivano disposte in sottili strati che si lasciavano asciugare al sole e all’ombra. Tutto il processo era effettuato con particolare cura: gli inca scartavano qualsiasi foglia che risultasse imperfetta in seguito a rotture o alla presenza di macchie. Le foglie sono molto fragili e l’essiccazione può alterarne facilmente la superficie, quindi era necessario un lavoro meticoloso per far sì che mantenessero il loro aspetto liscio e uniforme. Nonostante ciò, gran parte del raccolto si rovinava durante il processo.

Tutte queste circostanze trasformarono la foglia di coca in un prodotto pregiato, a tal punto che venne usata come moneta di scambio, al pari dell’oro e dell’argento. I funzionari e i signori locali venivano ricompensati per i servizi prestati all’Impero con metalli preziosi, tessuti pregiati – come il cumbi – e cesti di coca. Il Qhapaq Inca – l’Unico, il Re – premiava gli atti di fedeltà elargendo cesti di coca, per esempio come bottino di guerra fra i soldati che celebravano in una festa la vittoria di una battaglia.

Fra tutti i beni di lusso inca la coca era il più prezioso. Garcilaso Inca de la Vega scrisse che «a essa [gli inca] pospongono oro, argento e pietre preziose»; una preferenza che senza dubbio si spiega grazie ai benefici considerevoli per l’organismo che la coca apportava.

I mitimaes si trasferivano da altre regioni dell’Impero per raccogliere la coca e spesso si ammalavano: nel 1567 secondo Juan de Matienzo sei su dieci morivano

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Foto: The Print Collector / Age Fotostock

Dato che il possesso di un cesto di coca era possibile solo tramite donazione dello Stato, il suo consumo rimase limitato all’élite dell’Impero. I cronisti spagnoli dei secoli XVI e XVII sottolineano questa restrizione nella descrizione dell’organizzazione sociale del mondo inca. Juan de Matienzo racconta che la foglia di coca «era una privilegio di signori e cacicchi, non della gente comune». Di certo esistettero alcune eccezioni, come quelli che venivano chiamati coca-camayoqs, “seminatori di coca”, che erano incaricati del delicato compito di coltivare e lavorare le foglie di coca e perciò potevano consumarla e approfittare così del suo effetto rinvigorente.

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Prestigiosa e inaccessibile

Verso la fine dell’Impero, prima della conquista spagnola, avvenuta nel 1533, le restrizioni riguardo il consumo della coca iniziarono a essere meno rigide. Alcuni ricercatori ipotizzano che questo cambiamento possa essere riconducibile al fatto che, a differenza di quanto accadeva all’inizio, lo Stato non poteva garantire il nutrimento di tutta la popolazione e la coca poteva essere utilizzata come integratore nutrizionale e inibitore della fame. Tuttavia, la regola generale nell’Impero rimase che il consumo di coca era limitato alle caste più alte della società.

Dopo la conquista spagnola, invece, il consumo di coca si diffuse anche tra la popolazione indigena, come indicano numerose testimonianze pervenute da cronisti spagnoli. La spiegazione di questo fatto si trova nel modello economico imposto dalla Corona di Castiglia, basato sul lavoro forzato delle popolazioni conquistate, che faceva sì che le autorità spagnole favorissero il consumo di coca per aumentare il rendimento degli operai. La coltivazione della pianta si trasformò altresì in un vantaggioso affare per coloro che possedevano terre, che ne aumentarono la produzione per soddisfare la domanda dei lavoranti. Tanto che il cronista Bernabé Cobo afferma che la cocaina era il prodotto «di maggior guadagno esistente nelle Indie e che non pochi spagnoli erano diventati ricchi grazie a essa».

Uomo che mastica coca. Scultura precolombiana, Colombia

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Foto: Dea / Album

Gli spagnoli a volte si burlavano degli indigeni che credevano nel potere rinvigorente della coca, ma alla fine non poterono far altro che arrendersi all’evidenza. Per esempio, nel 1653 Bernabé Cobo scriveva che gli indios «affermano che [la coca] dà loro tanta forza che mentre la tengono in bocca non sentono sete, fame né stanchezza. Io penso che la maggior parte di ciò che dicono sia dovuto alla loro immaginazione e superstizione, ma non si può negare che dia loro forza e un certo respiro, poiché li vediamo lavorare il doppio con essa».

La popolarità della coca

L’inca Garcilaso de la Vega, dal canto suo, ha raccolto il seguente dialogo fra due spagnoli, un uomo a cavallo e un uomo a piedi, che si incontrano nella zona di Cuzco. Il primo domandò: «Perché mangi coca, come fanno gli indios, cosa tanto disgustosa e ripugnante per gli spagnoli?». E l’altro, che portava con sé sua figlia di due anni, rispose: «La verità, signore, è che non la detesto meno di tutti gli altri, ma la necessità mi forzò a imitare gli indios e a tenerla in bocca; perché dovete sapere che se non lo facessi, non potrei portare il carico; che grazie a essa sento tanta forza e vigore che posso fare questo lavoro».

La foglia di coca fu, pertanto, una pianta sacra e un bene di lusso per gli inca, oltre che oggetto di affari fra i conquistadores. Oggi è un’abitudine e un simbolo: quello della lotta delle culture andine per preservare le proprie tradizioni e la loro tecnica di sostentamento.

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