Claude Monet, 'Autoritratto' (1886), collezione privata
Foto: Pubblico dominio
«Altri pittori dipingono un ponte, una casa, una barca…io voglio dipingere l’aria che circonda il ponte, la casa, la barca, la bellezza della luce in cui esistono». Una delle più interessanti e chiare definizioni dell’Impressionismo emerge dalle parole di Claude Monet, rilasciate durante un’intervista fatta negli ultimi anni del XIX secolo. Gli impressionisti, infatti, proponevano un’arte rivoluzionaria in cui cercavano di cogliere sulle loro tele i cambiamenti cromatici e gli effetti della luce sull’ambiente, lavorando quasi sempre en plein air. Monet è universalmente considerato uno dei padri del movimento. Del resto, il nome stesso del gruppo deriva da una sua opera del 1872: Impression, soleil levant, la celeberrima tela che raffigura l’atmosfera dell’alba nel porto di Le Havre, una cittadina portuale nell’alta Normandia.
Primi anni
Conosciuto solo come Claude Monet, in realtà si chiamava Oscar Claude (e, infatti, firmò le sue opere giovanili con il primo nome, per poi decidere di adottare unicamente Claude solo in un secondo momento). Nacque il 14 novembre 1840 in rue Laffitte nel 90 arrondissement di Parigi, secondogenito di Claude Adolphe Monet e Louise Justine Aubrée. Quando il pittore aveva solo cinque anni, il padre, che lavorava nel settore del commercio, trasferì la famiglia a Le Havre per collaborare con il cognato in qualità di droghiere e fornitore di merci per le navi.
La madre, una donna colta e appassionata di arte, letteratura e di musica, appoggiò sempre la vocazione artistica del figlio, che fin da subito mostrò una certa predisposizione per il disegno. A scuola era poco motivato e impiegava molto tempo delle lezioni a fare piccoli disegni sulle copertine di libri e quaderni, come raccontò una volta. Si appassionò alle caricature e riuscì anche a venderne qualcuna relativa ai personaggi più in vista di Le Havre, guadagnando un piccolo gruzzolo. Anche se avrebbe preferito una carriera più “tradizionale” per il figlio, Claude Adolphe non lo ostacolò più di tanto nella sua passione.
Fondamentale in quegli anni fu per Monet l’incontro con Eugène Boudin, un pittore che lo spinse ad abbandonare la caricatura per la pittura di paesaggio. Il maestro accompagnò spesso il giovane a esplorare Le Havre e la costa atlantica. Molti anni dopo, l’impressionista disse che grazie a Boudin: «[…] compresi veramente la natura e imparai al tempo stesso ad amarla».
A Parigi
Nel 1857 morì la madre. Più o meno nello stesso periodo Monet dipinse la sua prima opera conosciuta: Veduta di Rouelles (firmandola O. Monet). Due anni dopo si trasferì a Parigi. Per vivere nella capitale aveva provato invano a procurarsi una borsa di studio; alla fine andò a stare da sua zia Marie-Jeanne Lecadre, una pittrice dilettante che lo sostenne molto in quel periodo. S’iscrisse all’accademia Suisse – dove conobbe artisti del calibro di Delacroix – e iniziò a frequentare la Brasserie des Martyrs, uno dei più rinomati luoghi d’incontro degli artisti parigini. Andò spesso anche al cafè Gourbois, dove conobbe Manet.
Nel 1860 arrivò la chiamata alle armi. A quel tempo in Francia, dove la leva durava sette anni, chi veniva arruolato poteva trovare un sostituto che partisse al suo posto. Monet, però, non riuscì a trovare nessuno e quindi fu costretto ad andare in Algeria. L’esperienza fu molto formativa per il pittore, non tanto per motivi militari e patriottici, che ben poco lo interessavano, quanto per motivi artistici. La luce e i colori di quella terra suscitarono, infatti, forti impressioni in lui. «Pensavo solo a dipingere – disse – tanto mi inebriava quello stupendo Paese». Qualche tempo dopo, però, si ammalò di febbre tifoidea e nel 1862 fece ritorno a casa perché nel frattempo il padre aveva trovato una persona che, dietro compenso, avrebbe proseguito il servizio militare al posto suo. Rimessosi, a Parigi riprese i pennelli e le sue frequentazioni con gli altri artisti tra cui Bazille, Sisley e Renoir: si trattava, in germe, del primo nucleo degli impressionisti. In quello stesso anno partecipò alla sua prima mostra al Salon con due tele, riscuotendo un buon successo. Prese parte al Salon anche negli anni successivi, ma con alterne fortune.
Claude Monet, 'Veduta di Rouelles' (1890), Museo Bogdan e Varvara Chanenko
Foto: Pubblico dominio
In fuga dalla guerra
Nel 1867 nacque Jean, il primo figlio suo e della compagna Camille-Léonie Doncieux, una modella che aveva posato, oltre che per lui, anche per Renoir e Manet. L’uomo e Camille si sposarono il 28 giugno 1870, poco prima dello scoppio della guerra franco-prussiana. Monet, al pari degli altri artisti impressionisti, era poco interessato alle vicende belliche, a differenza delle precedenti generazioni di pittori che avevano impegnato pennelli e tavolozze per manifestare il proprio impegno politico. In ogni caso, Monet scelse di allontanarsi dalla Francia in attesa di tempi migliori e si trasferì a Londra. Qui incontrò il paesaggista Charles-François Daubigny, da molti considerato uno dei precursori dell’Impressionismo, ma soprattutto ritrovò l’amico Pissarro, anch’egli soggiornante nella città inglese. Monet e la sua famiglia fecero ritorno in Francia dopo la fine della guerra, richiamati anche dalla notizia della morte del padre. Come altri compatrioti “esiliati”, non tornò direttamente a casa, ma passò dall’Olanda, come testimoniano una serie di dipinti, tra cui Mulino a Zaandam, oggi esposto al Museo d’Orsay.
Decise di stabilirsi ad Argenteuil. Si procurò una barca e la trasformò in uno studio galleggiante sul fiume, così da poter dipingere sull’acqua. Quando gli altri impressionisti lo raggiunsero ad Argenteuil, l’imbarcazione divenne uno dei principali punti di ritrovo del gruppo. Nel 1873 Monet era afflitto dai debiti – ne aveva contratti già in precedenza, prima delle nozze, tanto da aver pensato al suicidio – e per sbarcare il lunario pensò di organizzare una mostra collettiva. I colleghi pittori furono entusiasti e raccolsero oltre centosessanta opere. Lui scelse di esporre Impression, soleil levant, mentre il fotografo Nadar offrì al gruppo i suoi locali: il 15 aprile 1874 fu inaugurata la prima mostra impressionista.
Successo e depressione
Le ristrettezze economiche di Monet però non accennavano a diminuire, e in più nel 1876 Camille si ammalò gravemente. Due anni dopo diede alla luce Michel, il secondo figlio della coppia, e la sua salute peggiorò fino alla morte, avvenuta nel 1879. L’artista per un certo periodo sprofondò nella depressione e si allontanò dagli impressionisti, pur continuando a partecipare a diverse mostre, sia impressioniste, sia al Salon. Anche grazie a queste esposizioni la sua fama crebbe rapidamente, e quando nel 1889, in occasione del primo centenario della rivoluzione francese, organizzò una mostra insieme allo scultore Auguste Rodin, il successo fu travolgente.
Nel frattempo, nel 1883 visitò in compagnia di Renoir la Costa azzurra, rimanendo sedotto dai suoi colori, così come gli era accaduto da giovane in Africa. Successivamente visitò l’Italia, sostando a lungo a Bordighera, sulla costa ligure, dove realizzò una cinquantina di tele. A proposito di questa località Monet affermò che: «[…] tutto è colore cangiante e fiammeggiante, è ammirevole: e ogni giorno la campagna è più bella e io sono incantato dal paese».
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Superati i problemi economici e la diffidenza della critica verso la sua arte, a circa cinquant’anni Monet poteva definirsi un pittore affermato e soprattutto fiero di aver contribuito a consolidare l’idea di una nuova arte, libera dai tecnicismi e dalla prassi accademica dell’arte.
La casa di Giverny
Nel 1890 acquistò una casa a Giverny (Normandia), dove visse per oltre quarant’anni, intervallati da alcuni viaggi (come i due a Venezia del 1908 e del 1909). Nel 1892 sposò Alice Hoschedé, la vedova di un mercante che aveva acquistato da lui alcuni dipinti in passato. La bella casa di Giverny divenne uno degli elementi grazie a cui Monet è maggiormente conosciuto: famosissimo è il suo giardino – curato da ben sette giardinieri –, che arricchì con piante rare che provenivano da diverse parti del mondo, un laghetto e il celebre ponte all’orientale.
Claude Monet fotografato dall'amico Nadar nel 1899
Foto: Pubblico dominio
Giudicando oramai superato l’Impressionismo, Monet iniziò a lavorare su serie di dipinti che mostravano lo stesso soggetto dipinto in serie di cui coglieva le variazioni cromatiche determinate dalle variazioni della luce. La più celebre di queste serie è quella della cattedrale gotica di Rouen, cui dedicò ben trenta tele. Monet ne raffigurò il portale e parte della torre cogliendoli in condizioni metereologiche diverse: per esempio, in pieno sole la facciata aveva i toni del giallo, mentre al tramonto appariva rossastra. Oltre alla cattedrale, rappresentò in serie anche covoni di paglia e pioppi.
Il ciclo più famoso di tutti, però, è certamente quello delle ninfee, che Monet iniziò a dipingere intorno al 1899 e a cui lavorò per circa vent’anni. La sua passione per il giardino di Giverny cresceva sempre più, di pari passo con le tele che ne raffiguravano qualche scorcio. Rappresentava alberi e fiori, ma soprattutto i giochi d’acqua del laghetto e, appunto, le ninfee, che in poco tempo divennero una vera e propria ossessione pittorica. Non bastavano però le circa 250 piccole tele: aveva in mente un progetto più grandioso. Nel 1914 fece costruire un altro atelier a Ginevy (ne aveva già due), terminato due anni dopo. Fece quindi sistemare delle teledi enormi dimensioni (oltre 4 x 2 metri) per tutta la stanza, quindi si chiuse al suo interno e iniziò a dipingere senza sosta «un panorama fatto d’acqua e di ninfee, di luce e di cielo. In quell’infinità acqua e cielo non avevano né inizio né fine», come affermarono alcuni visitatori.
Alla fine della Prima guerra mondiale, Monet decise di donare questo immenso capolavoro allo stato francese, il quale però sarebbe entrato in possesso dell'opera solo dopo la sua morte. Monet dipinse ninfee fino al 1926, oramai praticamente cieco e ammalato di cancro, che lo portò alla morte il 5 dicembre di quell’anno.