Nell’agosto del 1861 l’ imperatore della Cina Xianfeng si spense a Jehol (l’attuale Chengde), dove si era ritirato con la corte dopo l’attacco anglo-francese a Beijing (Pechino) durante la Seconda guerra dell’oppio. Lasciava un Paese devastato dalla cruenta ribellione contadina dei Taiping. Alla sua morte il potere fu gestito da un consiglio di reggenza composto dai nobili tradizionalisti che avevano appoggiato la guerra contro l’Occidente, in attesa che il successore designato Tongzhi, figlio del defunto imperatore e della concubina Yi (“virtuosa”), raggiungesse la maggiore età.
Il complotto delle vedove
L’intelligenza e l’ambizione di Yi non tardarono a rivelarsi: pochi mesi più tardi ella orchestrò un colpo di Stato con l’appoggio di Zhen, vedova dell’imperatore, e di due suoi cognati, il principe Gong (favorevole a un’apertura verso l’Occidente) e il principe Chun (marito di una sorella minore di Yi). Se il piano fosse fallito, i congiurati avrebbero subito la pena riservata ai traditori, chiamata “morte dai mille tagli”.

Cixi all’età di 70 anni in un ritratto del 1905-1906 opera del pittore Hubert Vos. Fogg Art Museum, Harvard University
Foto: Akg / Album
Per prima cosa Yi e Zhen, che non avevano ufficialmente alcun potere, persuasero il consiglio di reggenza a utilizzare i due sigilli reali – appartenenti a Tongzhi e da loro custoditi – per validare i decreti emanati dallo stesso consiglio: a detta delle due donne, si sarebbe trattato di una formalità dettata dall’incapacità del bambino a redigerli di proprio pugno con inchiostro rosso, come prevedeva la tradizione cinese.
Successivamente Yi e Zhen, davanti al consiglio di reggenza e in presenza di Tongzhi, chiesero di partecipare al governo del Paese: i reggenti rifiutarono aspramente, spaventando con le loro grida il bambino; le due donne ne approfittarono per accusarli di tradimento e destituirli, emanando alcuni decreti validati con i sigilli reali che esse conservavano.
Le prime riforme
Il potere passò così a Yi e Zhen, che l’avrebbero gestito sino alla maggiore età di Tongzhi; per l’occasione, adottarono nuovi nomi: la prima si fece chiamare Cixi (“buona e allegra”), mentre la seconda Ci’an (“buona e serena”).
Per quasi cinquant’anni Cixi influì in maniera decisiva sulle sorti della Cina, aggirando i vincoli che il rigido protocollo di corte poneva alle donne: presenziava alle udienze ufficiali celata dietro un paravento, per rimanere invisibile ai ministri, e non si introdusse mai negli spazi della Città Proibita riservati all’imperatore. Per esercitare il potere ella ricorse a uomini fidati che applicarono scrupolosamente le sue decisioni, come il principe Gong, che presiedeva il Gran Consiglio imperiale; fu inoltre accorta nel rispettare il proprio ruolo di reggente, facendosi da parte ogni qual volta un erede al trono raggiungeva la maggiore età.
Cixi presenziava alle udienze ufficiali celata dietro un paravento, affinché i ministri non la vedessero
Per questi motivi il merito dei suoi successi fu sempre attribuito ad altri, mentre ella si guadagnò la fama di una cospiratrice astuta e sanguinaria.
In Cina, nella seconda metà del XIX secolo, la classe dirigente manciù era al suo interno divisa in due fazioni: quella conservatrice, ancorata alla tradizione e chiusa all’influenza dell’Occidente, e quella progressista, propensa a modernizzare e – in una certa misura “occidentalizzare” – il Paese. A questa seconda fazione apparteneva anche Cixi, che sosteneva la necessità di un’occidentalizzazione della Cina, ma entro certi limiti. Per esempio, attese quasi vent’anni prima di avviare la costruzione di ferrovie, perché temeva che l’opera potesse turbare il riposo dei defunti; ostacolò inoltre la nascita di fabbriche tessili, perché avrebbero tolto lavoro alle donne. Ella era d’altronde consapevole che ogni riforma avrebbe suscitato l’opposizione di buona parte del popolo, della nobiltà e dei funzionari di governo, fondamentalmente avversa ai “barbari” occidentali.

Il Palazzo d’Estate, a Pechino, fatto costruire da Cixi per sostituire l’edificio andato distrutto durante la Seconda guerra dell’oppio
Foto: Jtb Photo / Age FotostockIl Palazzo d’Estate, a Pechino, fatto costruire da Cixi per sostituire l’edificio andato distrutto durante la Seconda guerra dell’oppio
Benché il suo operato fosse costantemente oggetto di critica, Cixi riuscì a pacificare il Paese, a risanarne il bilancio, a creare un potente esercito e ad aprire la Cina all’Occidente, che intervenne attivamente per sedare la ribellione dei Taiping e per istituire dogane e ambasciate.
Con la maggiore età di Tongzhi, nel 1873, Cixi dovette ritirarsi; l’imperatore si dimostrò tuttavia poco interessato al governo del Paese, preferendo piuttosto indugiare in piaceri e divertimenti. Quando nel 1875 costui morì di vaiolo, molti attribuirono il suo decesso a una macchinazione ordita da Cixi per riconquistare il potere. Ella tornò così alla ribalta, come reggente per il minorenne Guangxu, figlio di sua sorella e del principe Chun, che più tardi adottò. Potè così riprendere l’opera di modernizzazione della Cina, che portò a massicci investimenti nell’estrazione del carbone, introdusse nel Paese l’energia elettrica e promosse una guerra contro la Francia per frenarne le mire espansionistiche lungo la frontiera con il Vietnam.
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Tra riformismo e tradizione
La situazione cambiò quando Cixi nel 1889 dovette cedere il potere al maggiorenne Guangxu, poco affezionato alla donna sin da quando era stato costretto dal padre a inginocchiarsi davanti a lei, supplicandola di non abbandonarlo nel governo del Paese. Guangxu sposava idee differenti da quelle di Cixi: educato dal tutore Weng Tonghe nella più rigorosa ortodossia confuciana, diffidava di tutto quanto fosse filo-occidentale. Il suo disinteresse verso la modernizzazione lo portò a trascurare le riforme militari, favorendo la sconfitta cinese a opera del Giappone nel 1895. La crisi che ne seguì riportò Cixi al potere; per esercitarlo, la donna minacciò l’imperatore: se costui avesse interferito con le sue decisioni, ella avrebbe svelato gli affari poco puliti che lo vedevano implicato, come quello della vendita di cariche pubbliche promossa dalla sua concubina Perla.
Nel 1869 la fazione tradizionalista della corte assestò un duro colpo alla riformista Cixi: ordinò l’esecuzione dell’eunuco An Dehai, cui la donna era molto legata. Benché gli eunuchi non potessero uscire dalla Città Proibita, pena la morte, Cixi aveva ugualmente inviato An a Souzhou per acquistare alcuni tessuti in vista del matrimonio del figlio Tongzhi.

Abito di un eunuco della corte di Cixi con il drago imperiale
Foto: Werner Forman / Gtres
La tensione tra Cixi e Guangxu favorì l’ascesa del filosofo e uomo politico Kang Youwei, le cui proposte riformiste gli valsero la stima di Cixi e – tramite lei – l’introduzione a corte. Guadagnato un ascendente anche sull’imperatore, Kang nel 1898 manovrò per ottenere le redini del governo, assegnando a uomini fidati cariche importanti e progettando con l’aiuto del Giappone l’assassinio di Cixi; fallito il complotto egli riparò proprio in Giappone, mentre Cixi mise Guangxu, che era al corrente delle macchinazioni di Kang, agli arresti nel suo stesso palazzo.
La donna insabbiò la vicenda affinché il ruolo dell’imperatore nella congiura non compromettesse il prestigio della dinastia, ma questo basso profilo le si ritorse contro: agli occhi dell’opinione pubblica, Guangxu e Kang apparvero come nobili riformatori osteggiati dal suo oscurantismo.
Nel 1900, le truppe occidentali inviate in Cina per arginare la rivolta dei Boxer (membri di associazioni contrarie alla crescente influenza straniera nel Paese) minacciarono Cixi di ripercussioni, qualora non avesse proibito la formazione di società nazionaliste; ella rifiutò, dichiarando loro guerra e fomentando un nuovo attacco dei Boxer. Lo scontro terminò nel 1901 con la sconfitta della Cina: la resa venne suggellata dal “Decreto del rimorso”, emanato da Cixi, nel quale ella si rimproverava per i danni causati dal conflitto. Successivamente Cixi annunciò alcune riforme che avrebbero allineato il Paese all’Occidente: autorizzò i matrimoni tra Han e Manciù, proibì la fasciatura dei piedi per le bambine han e promosse un’inedita libertà di stampa. Nel 1906, Cixi intraprese le riforme più significative: trasformò la Cina in una monarchia costituzionale e concesse il diritto di voto. Morì prima di poter completare l’opera, il 15 novembre 1908; il giorno precedente ella aveva avvelenato Guangxu, temendo che costui – alla di lei scomparsa – avrebbe reso il Paese una facile preda per il Giappone: non stupisce che un diplomatico francese definisse la donna “l’unico uomo della Cina”.

Ingresso dell’esercito dei Paesi occidentali a Beijing (Pechino) per arginare la rivolta dei Boxer, il 14 agosto del 1900
Foto: Album
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