La parola “tempio” in egizio si diceva hut necer, che significa “casa del dio”. Il dio infatti abitava all'interno dell'edificio, incarnato nella statua che lo rappresentava. Il geroglifico per scrivere “ tempio” è formato dal segno necer, che significa “ dio”, dal segno per, che significa “ casa” e dal geroglifico hut, “recinto”. Il tempio propriamente detto, infatti, non era visibile dall’esterno, perché uno spesso muro di mattoni crudi (fatti di fango seccati al sole) ne occludeva la vista e lo delimitava come area sacra. Non era insomma un luogo pubblico, ma era concepito come una fortezza che aveva il compito di proteggere e nascondere il dio. I fedeli non potevano entrarvi per pregare, e al massimo gli era consentito lasciare degli ex-voto – di solito piccole statuette dedicate al dio – nei cortili esterni del tempio, per assicurarsi così una continua “presenza” al cospetto della divinità. Questi ex-voto nel corso del tempo diventarono talmente numerosi che si dovettero scavare delle fosse dove riporre quelli vecchi per far posto ai nuovi. Queste, chiamate cachette e ricolme di splendide statuette, sono poi state ritrovate con somma gioia dagli archeologi molte centinaia di anni dopo.
L'mmagine panoramica mostra una parte del tempio del grande dio di Tebe Amon, che fu la principale divinità egizia del Nuovo regno
Foto: Kenneth Garrett
Un'altra occasione per poter essere vicini al dio era quella di assistere alle cerimonie festive, durante le quali la sua statua divina veniva portata in processione fuori dal tempio su una barca rituale all’interno di un tabernacolo chiuso. Durante queste uscite il fedele poteva presentare dei quesiti alla divinità e avere una risposta: bastava porre la domanda ai sacerdoti che sostenevano la barca. Se questa s'inclinava in avanti, la risposta al quesito era positiva, se s'inclinava all’indietro, invece, era negativa.
Secondo la concezione egizia la statua del dio non era una rappresentazione della divinità, ma era il dio a tutti gli effetti. Per gli egizi infatti la creazione artistica è magica e l’oggetto disegnato o scolpito aveva lo stesso diritto di vivere dell’oggetto rappresentato. Basti pensare che per dire “scolpire “gli egizi utilizzavano la parola “partorire”: in questa accezione, la produzione artistica diventa una vera e propria creazione.
Il tempio è la rappresentazione del cosmo
Il tempio è la trasposizione in pietra della collina primordiale dove, secondo i miti che raccontano l’origine del mondo, si pose il demiurgo – il dio artefice dell’universo – per dare il via alla creazione. Mano a mano che si avanza all’interno del tempio, tra i suoi cortili e le sue innumerevoli sale, la pendenza del pavimento sale – come se fosse una piccola collina –, mentre il soffitto si abbassa impercettibilmente, dando origine a quella che gli egittologi chiamano “forma a cannocchiale”: la classica forma del tempio egizio. Oltre a ciò, cambiava anche la luce: si passava infatti dai grandi cortili a cielo aperto, immersi nella luce del sole, alla penombra dei cortili con soffitto dove la luce penetrava solo da sottili fenditure poste ai lati delle pareti, fino alle ultime stanze del tempio senza aperture verso l’esterno e buie.
Colonne del tempio funerario di Abydos fatto costruire da Seti I, faraone della XIX dinastia
Foto: Danita Delimont / Awl Images
Il tempio era la rappresentazione del mondo poiché ne celebrava la creazione e proprio per questo era come un microcosmo in miniatura: il pavimento era la terra da cui cresce la vegetazione e spesso era di colore nero, come il limo fertile che il Nilo depositava con l’inondazione; le colonne rappresentavano le piante che nascono dalla terra ed erano caratterizzate da capitelli floreali; infine il soffitto, la volta celeste, veniva decorato con stelle o scene astronomiche.
I pavimenti, le pareti e le colonne dei templi erano ricoperti da vivacissimi colori, ora in gran parte perduti, ma che si possono ancora ammirare nel loro splendore grazie alla testimonianza di alcuni disegni eseguiti durante la spedizione di Napoleone in Egitto del 1799. Tra i più celebri quelli di Vivant Denon, che per primo pubblicò tale tesoro dopo il rientro in Francia della spedizione napoleonica. Altro artista da ricordare è David Roberts, che tra il 1838 e il 1839 fece un viaggio in Egitto ed eternò in splendidi disegni i paesaggi e i templi pieni di colori che incontrò lungo il Nilo.
Il tempio di Dendera illustrato da David Roberts (1841)
Foto: Pubblico dominio
Il rituale mattutino, del mezzodì e della sera
Il tempio era una sorta di fortezza caratterizzata da imponenti bastioni e circondata da possenti e invalicabili mura. Qui la statua del dio veniva custodita e protetta da ogni minaccia esterna, poiché la sua conservazione era considerata premessa fondamentale per la salvaguardia del mondo intero. Davanti al tempio, come simbolo di protezione si ergono le statue del faraone, garante dell’ordine universale (maat) sulla terra e protettore del tempio. In quanto dio (e dunque "fratello" degli dei), egli era l’unico sacerdote di tutto l’Egitto. In teoria infatti solo lui avrebbe potuto vedere e accudire la statua del dio, ma, non potendo essere in tutti i templi allo stesso momento, delegava a un sacerdote il compito di espletare i riti richiesti dalla tradizione. Sulla statua del dio andavano infatti eseguiti i rituali giornalieri del mattino, del mezzodì e della sera, che consistevano in una vera e propria cura fisica del dio: la statua andava lavata, vestita e nutrita.
Il rituale più importante era quello del risveglio, accompagnato dal canto del mattino, che era salmodiato dal sacerdote al sorgere del sole. Il risveglio del dio rappresentava simbolicamente la creazione del mondo, che scaccia le tenebre del caos. Sul tabernacolo del dio Horo del tempio Edfu è inciso il canto del mattino per il risveglio del dio, che dice tra l'altro:
Svegliati in pace! Tu ti svegli felice in pace! […]
I tuoi occhi viventi che emettono fuoco […]
si svegliano in pace, che il tuo risveglio sia in pace
Djedkhonsuefankh, l'alto sacerdote di Amon, canta e prega davanti alla sua statua
Foto: Cordon Press
Dopo aver salmodiato i canti del mattino, il sacerdote apriva il tabernacolo divino rompendo i sigilli posti la sera precedente al termine dei rituali serali. Scrive la studiosa Alessia Amenta: «La rottura dei sigilli celebra di fatto l’unione mistica della divinità con la sua immagine terrena nascosta nel tabernacolo: essa vale cioè come metafora per la discesa quotidiana del dio sulla terra dall’alto del cielo per avviare la creazione». La rottura dei sigilli e la visione del dio rappresentavano dunque il rinnovamento quotidiano della vita sulla terra. Dopo il rituale della sera il tabernacolo veniva nuovamente sigillato per difendere la divinità dai pericoli e dalle insidie che avrebbe portato la notte.
Il tempio egizio svolgeva quindi una funzione principalmente pratica (proteggere la divinità, nutrirla e custodirla) e solo occasionalmente diventava luogo di preghiera e di raccoglimento spirituale. Al suo interno si svolgevano varie attività che oggi si definirebbero laiche, come l’amministrazione economica delle terre possedute dal tempio – donazione fatta dal faraone al momento della consacrazione del santuario – o la raccolta delle imposte statali. In Egitto, Paese governato da un dio, tutto rientrava nell’ambito della religione, anche le attività che oggi si considerano ambito civile.
A 200 chilometri a ovest della Valle del Nilo si trova l’oasi di Kharga. Nella città principale, Hebit, fu costruito un tempio dedicato ad Amon-Ra (XXVI dinastia)
Foto: Kenneth Garrett
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I templi come centri di cultura
Annessi al tempio c'erano anche le biblioteche e le case della Vita, che erano scuole per nobili in cui gli alunni imparavano a leggere e a scrivere. Al termine del percorso d'istruzione ottenevano la qualifica di scriba, che era indispensabile per poter tentare qualunque carriera al servizio dello stato. Il tempio, luogo di scienza e custode del sapere ereditato dal passato, era un tassello fondamentale nella diffusione capillare della cultura sul territorio egizio, poiché non c’era centro, anche se piccolo, in cui non fossero presenti uno o più templi.
Inoltre accanto ai templi erano anche gli atelier di scultura, nei quali venivano preparate statue e stele da porre nelle tombe, e botteghe artigianali che fabbricavano i corredi funerari. Il tempio aveva al suo servizio musicisti e musiciste, cantanti e danzatori, poiché molte cerimonie necessitavano dell’impiego della musica e della danza. Inoltre le prime rappresentazioni teatrali sembrano essere nate proprio tra le sue sacre mura nell’intento di dare una rappresentazione drammatica ai cicli mitologici, un po’ come avveniva con le sacre rappresentazioni medioevali.
Pittori di sarcofagi. Nella tomba di Ipy, a Deir el-Medina, sono ritratti degli artigiani intenti a costruire e a dipingere sarcofagi di legno.
Foto: Uig/Album
All’interno del tempio, rappresentazione del cosmo e della vita, veniva celebrata ogni giorno la potenza del dio e lo splendore di tutto ciò che aveva creato e donato all’umanità: l’arte, la cultura, la musica e la danza. Tutto quello, insomma, che rende bella la vita.
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Per saperne di più
Dei e templi dell’antico Egitto. Sergio Pernigotti. Editrice La Mandragola, Bologna, 1996.
Il faraone. Uomo, sacerdote e dio. Alessia Amenta. Salerno Editrice, Roma, 2006.