Un secolo dopo la sua morte, quando gli storici romani rivolsero lo sguardo sul breve regno di Gaio Cesare Augusto Germanico, più conosciuto come Caligola (37-41 d.C.), non raccolsero notizie altro che delle sue stravaganze, della sua megalomania e dei suoi atti criminali. Il trascorrere del tempo non aveva offuscato il ricordo delle nefandezze compiute da quell’imperatore della dinastia Giulio-Claudia, succeduto a venticinque anni di età al prozio Tiberio e pugnalato dagli ufficiali della guardia pretoriana sollevatisi contro la sua tirannia. Per Svetonio e Dione Cassio, Caligola fu un «mostro» distintosi solo per l’immoralità, il dispotismo e la crudeltà. Non era forse un ritratto imparziale, ma rispondeva a un preciso intento politico e morale: mettere in guardia sui rischi del potere personale e ricordare il rispetto e l’integrità della nobiltà e del senato di Roma.
In contrasto con l’immagine idealizzata dei busti che lo ritraggono, Svetonio scrisse che il suo volto era «per natura orribile e ripugnante». Metropolitan Museum, New York
Foto: RMN-Grand Palais
A questo scopo, gli autori posteriori mescolarono fatti certi a dicerie: per questo è difficile dare un giudizio obiettivo del personaggio. Essi infatti difendevano la massima istituzione di Roma, nei confronti della quale Caligola, che soprattutto all’inizio del suo regno perseguì una politica liberale, mostrò sempre un certo sprezzo. Egli era il beniamino del popolo e dell’esercito, che lo acclamò imperatore alla morte di Tiberio e che lo impose al senato.
Caligola era il terzogenito di Gaio Giulio Cesare Germanico, un generale assai amato, che aveva combattuto per Augusto e per Tiberio. Egli si era fatto onore sedando una rivolta delle legioni in Pannonia riconoscendone i diritti, vincendo le tribù germaniche e recuperando le aquile perse dall’esercito romano nella disfatta inferta nel 9 d.C. a Teutoburgo da Arminio, capo delle tribù germaniche, all’esercito di Publio Quintilio Varo.
Detestato dagli storici
Nella loro esecrazione di Caligola gli autori antichi introdussero un’ipotesi esplicativa che è sopravvissuta fino ai giorni nostri: quella della pazzia dell’imperatore. Seneca individuava segni di squilibrio mentale già nell’aspetto fisico di Caligola, nei suoi «occhi torvi sotto una fronte da vecchia».
Scultura dell’imperatore. Museo Archeologico Nazionale, Napoli
Foto: Dea / Scala, Firenze
Così si potevano spiegare gli eccessi di quel giovane che senza dubbio, come riconoscono persino i cronisti più ostili, non era privo di intelligenza, di cui diede prova riorganizzando il controllo delle frontiere in modo da impegnarvi un minor numero di uomini e controbilanciando la debolezza della sua politica interna con misure di politica estera tese a creare delle alleanze: concesse una tetrarchia ad Agrippa I in Palestina e restituì il regno di Commagene ad Antioco IV.
Non vi è dubbio che Caligola soffrisse di disturbi e che forse essi ne intaccarono l’equilibrio psichico. Svetonio narra che durante l’infanzia fu soggetto ad attacchi di epilessia, che a quanto pare scomparvero nell’età adulta, anche se risulta che talvolta aveva degli svenimenti dai quali si riprendeva con molta fatica. Si sa anche che soffriva di insonnia. Secondo Svetonio, Caligola non riusciva mai a dormire più di tre ore, e persino quel breve sonno era turbato da incubi. Lo storico afferma che l’imperatore si alzava dal letto, si sedeva a un tavolo o passeggiava per le gallerie e i portici del palazzo, «attendendo e invocando il giorno». Potrebbe essere questa una delle cause dell’irascibilità e della crudeltà dell’imperatore, sebbene altri autori, come Seneca, diano la spiegazione inversa: le notti di veglia gli servivano per mantenersi all’erta, vigilare e pianificare atti criminali.
Gli storici antichi concordano anche nel riportare che pochi mesi dopo essere salito al trono, nell’autunno del 37 d.C., Caligola si ammalò gravemente. La natura di questa malattia non è chiara: si è ipotizzato che si trattasse di una crisi nervosa, di un’encefalite, di ipertiroidismo o, appunto, di epilessia. Filone di Alessandria, invece, offre una spiegazione di tipo morale: la causa della crisi sarebbe stata il cambiamento dello stile di vita di Caligola conseguente alla sua nomina a imperatore, quando passò da un’esistenza tranquilla e salubre a eccessi di ogni tipo, «vizi in grado di distruggere l’anima, il corpo e il loro equilibrio». Un’altra ipotesi punta su una malattia venerea, che può provocare problemi mentali o perlomeno disordini del comportamento.
Il Gran cammeo di Francia, sul quale sono raffigurati vari membri della famiglia imperiale; sulla sinistra compare il piccolo Caligola con la madre Agrippina. Bibliothèque Nationale, Parigi
Foto: Martin / Album
Un individuo psicopatico
Gli studiosi contemporanei hanno rinunciato a individuare una causa fisica specifica per la presunta follia di Caligola, e non credono neppure che questa abbia avuto origine in un momento preciso. Più semplicemente, l’imperatore poteva essere uno psicopatico. Tecnicamente, la psicopatia è un disturbo antisociale della personalità, in seguito al quale un individuo si presenta problematico sin dall’infanzia, impulsivo, irresponsabile e incline a una condotta criminale, incapace di relazioni durature. Queste caratteristiche in realtà si adattano piuttosto bene al ritratto che Svetonio e altri autori fanno di Caligola.
Un brano della biografia di Svetonio offre una chiave per interpretare la condotta di Caligola: «Rendeva più gravi i suoi già mostruosi delitti con parole atroci. Era solito ripetere che nulla apprezzava e ammirava di più nel proprio carattere che – per usare la sua stessa parola – l’adriatrepsia, cioè la sfrontatezza». Poche righe dopo, Svetonio racconta che quando Caligola ricevette una rimostranza da parte di sua nonna Antonia, invece di inchinarsi alla sua autorità le rispose: «Ricordati che a me è lecito tutto e nei confronti di tutti». Proseguiva Svetonio: «Un giorno, avendo condannato al supplizio un gran numero di galli e di greci, si vantò di aver sottomesso la Gallo-Grecia». L’orgoglio smisurato di chi sa di essere destinato a regnare si abbinò a una totale mancanza di scrupoli morali per dare vita al «mostro» di cui parlava Svetonio.
L’adriatepsia della quale si vantava Caligola trovò espressione in un fastoso stile di vita. Nel giro di appena un anno, Caligola dilapidò la fortuna di tremila milioni di sesterzi ereditata da Tiberio: secondo Dione Cassio, in cavalli, gladiatori e divertimenti vari, ma di fatto anche con atti prodigali nei confronti del popolo e dei pretoriani. Bisogna anche dire che le sue iniquità presero avvio dopo che si trovò privo dei fondi necessari all’amministrazione dello stato: fu allora che usò ogni mezzo per cercare di accumulare denaro.
Giochi circensi a Roma, ricostruzione del 1901. Caligola era un amante dei giochi e delle corse dei carri, sulle quali puntava enormi somme di denaro
Foto: Scala, Firenze
Palazzi e ponti di barche
In merito ai suoi banchetti, si raccontava di cibi ricoperti di lamine d’oro o di preziose perle disciolte nell’aceto (una circostanza simile è narrata da Plinio il Vecchio a proposito di un banchetto offerto da Cleopatra ad Antonio).
Non meno celebri erano le residenze private che Caligola si fece costruire sia a Roma – la sua nuova dimora sul colle Palatino aveva come vestibolo il tempio di Castore e Polluce – sia nei luoghi di villeggiatura preferiti: Nemi – dove fece realizzare le sue due famose navi giganti, veri e propri palazzi galleggianti – e la Campania. Diede ordine di costruire un ponte di barche tra Baia e Pozzuoli per potersi pavoneggiare a cavallo indossando la corazza che si diceva fosse appartenuta ad Alessandro Magno, che fece portare per l’occasione da Alessandria.
Anche la sua vita sentimentale fu caratterizzata dalla mancanza di regole e dagli eccessi. Nei quattro anni di regno ebbe quattro mogli: dopo aver divorziato da Giunia Claudia, si legò a Livia Orestilla, poi alla ricchissima Lollia Paolina – alla quale proibì, dopo il divorzio, di avere relazioni con altri uomini – e infine con Milonia Cesonia. Le sue amanti furono innumerevoli e di tutte le classi sociali, e i suoi metodi erano brutali: possedette Livia Orestilla durante la festa di nozze della donna, la sposò e poco dopo la ripudiò.
Un sesterzio sul quale è riportata l’effigi delle tre sorelle di Caligola, Agrippina, Drusilla e Giulia Livilla. MAN, Madrid
Foto: ASF / Album
Sappiamo inoltre che Caligola nutriva per le sue sorelle un’attrazione malsana e morbosa; specie per Drusilla, che fece divorziare dal marito, il pretore Lucio Cassio Longino, in modo da averla tutta per sé; anche se questa passione depravata non gli impedì di mandare in esilio a Ponza le altre due, Agrippina e Giulia, accusandole di adulterio. Diceva Svetonio: «Quanto ai matrimoni, non è facile stabilire se ci mise più sfrontatezza a contrarli, a romperli o a farli durare». A Caligola sono attribuite anche diverse relazioni omosessuali, per esempio con l’attore Mnestero e con il cugino Marco Emilio Lepido, marito di Drusilla, già suo consigliere e poi accusato di cospirazione e ucciso.
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Crudeltà e sadismo
Nulla sembra confermare la psicopatia attribuita a Caligola meglio dei suoi atti di crudeltà. L’imperatore si compiaceva della propria fama di sadico, e pare si dicesse certo di essere il padre della figlioletta Giulia Drusilla proprio per via della sua crudeltà: la bambina cercava di mettere le dita negli occhi a chiunque le si avvicinasse.
Un esempio del modo in cui Caligola poteva accanirsi contro coloro che perdevano i suoi favori per i motivi più futili è dato dal caso di Quinto Nevio Sutorio Macrone. Prefetto del pretorio sotto Tiberio e alleato fondamentale di Caligola nella sua ascesa al potere, Macrone commise l’errore di voler mantenere il proprio ascendente sul nuovo cesare, dispensandogli consigli e suggerimenti non richiesti. Caligola si stancò ben presto di quell’atteggiamento e, secondo lo storico Filone, riteneva che l’ex amico, un ignorante, non fosse degno di dare insegnamenti a lui, che prima ancora di nascere era destinato a essere imperatore.
'L'assassinio di Caligola'. Dipinto di Lazzaro baldi, Galleria Spada
Foto: Dea / Scala, Firenze
La congiura e la fine
Caligola decise quindi di disfarsi di lui, e lo fece con uno dei suoi stratagemmi: tramò per farlo accusare di lenocinio, ossia di indurre la moglie alla prostituzione, cosa che lo stesso Caligola poteva dimostrare poiché era stato amante di Ennia, moglie di Macrone.
Per evitare la confisca dei beni conseguente alla condanna e poter lasciare un’eredità ai figli, la coppia decise di suicidarsi. Svetonio sottolinea un altro tratto della personalità ossessiva di Caligola: la sua violenza verbale. Alla fine, però, questo atteggiamento gli costò caro. Il tribuno di una delle coorti pretorie, Cassio Cherea, era un uomo d’età avanzata e di costituzione robusta, che però aveva una voce acuta, forse per via di una lesione ai genitali. Caligola era spietato e si prendeva gioco di lui, chiamandolo Priapo o Venere, oppure «gli tendeva la mano da baciare, gli faceva un gesto o un movimento osceno», racconta Svetonio. Esasperato da quelle offese, Cherea si mise a capo della cospirazione di senatori e cavalieri che nel gennaio del 41 d.C. diede la morte a Caligola, a sua moglie e alla figlia.
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Per saperne di più
Vita dei Cesari. Svetonio. Garzanti, Milano, 2004.
Io, Claudio. Robert Graves. Corbaccio, Milano, 2012.
Caligola. Albert Camus. Bompiani, Milano, 2018.