La battaglia di Teutoburgo, la più dolorosa sconfitta di Roma

Nell’anno 9 d.C. le truppe germaniche tesero un’imboscata all’esercito di Publio Quintilio Varo, distruggendolo. Dopo questa colossale sconfitta i romani abbandonarono la sponda orientale del Reno: le terre germaniche non avrebbero parlato una lingua romanza

«Quintilio Varo, restituiscimi le legioni!». Così gridava disperato Augusto mentre dava testate alle porte e si lasciava crescere la barba e i capelli in segno di lutto... Svetonio ci ha trasmesso questo aneddoto, riflesso della violenta reazione che ebbe l’imperatore quando si rese conto della tremenda sconfitta di Varo e del suo esercito nelle boscose terre germaniche, nel settembre del 9 d.C. Questo episodio, che lasciò una traccia indelebile nella memoria storica di Roma, è considerato la causa della fine della sua espansione sulla sponda orientale del Reno.

'La carica della vittoria'. Peter Theodor Janssen ricreò, in questo dipinto dai toni eroici, l’attacco di Arminio e delle sue milizie a Teutoburgo. 1870-1873

'La carica della vittoria'. Peter Theodor Janssen ricreò, in questo dipinto dai toni eroici, l’attacco di Arminio e delle sue milizie a Teutoburgo. 1870-1873

Foto: Lippisches Landesmuseum Detmold

'La carica della vittoria'. Peter Theodor Janssen ricreò, in questo dipinto dai toni eroici, l’attacco di Arminio e delle sue milizie a Teutoburgo. 1870-1873

 

 

Una pace fasulla

Trent’anni prima, non appena diventato il primo imperatore di Roma, Augusto si era lanciato alla conquista dei territori fino ad allora sfuggiti al dominio romano. Questa espansione aveva come assi principali l’est – la zona balcanica tra il mar Adriatico e il Danubio – e il nord, dove abitavano le tribù germaniche. In quest’ultima zona, negli anni fra il 12 e il 7 a.C., Augusto aveva intrapreso una serie di campagne con le quali, in teoria, pensava di aver sottomesso quelle terre e i loro abitanti. Tutto lascia pensare che, terminato questo periodo, la regione fosse rimasta relativamente tranquilla, fatta eccezione per qualche rivolta, come quella del 4 - 5 d.C, soffocata dal futuro imperatore Tiberio.

Per questo motivo, anche se non tutte le tribù avevano piegato la testa davanti all’invasione romana, la Germania poteva già sembrare una provincia a tutti gli effetti, o perlomeno pareva in procinto di diventarlo. Il fatto stesso che l’imperatore inviasse governatori in quelle terre ne era la prova.

Faggeto a Teutoburgo. La vegetazione impedì alle legioni di dispiegarsi e al contempo agevolò le imboscate dei nemici

Faggeto a Teutoburgo. La vegetazione impedì alle legioni di dispiegarsi e al contempo agevolò le imboscate dei nemici

Foto: Norbert Rosing / Bridgeman / Aci

Nell’anno 7 arrivò il turno di Publio Quintilio Varo. Com’era consuetudine nelle terre di recente incorporazione, il governatore eseguiva delle spedizioni periodiche con l’obiettivo di affermare il potere romano e di stabilire il nuovo sistema amministrativo. Durante la primavera dell’anno 9 Varo organizzò le sue forze per iniziare una campagna che lo avrebbe tenuto occupato tutta l’estate e l’avrebbe portato fino alle terre dei cherusci. Si trattava di una missione di routine nella quale, oltre a riscuotere le imposte e ad amministrare la giustizia, avrebbe passato in rassegna e integrato le guarnigioni situate sull’altra sponda del Reno. Inoltre, ove necessario, avrebbe intrapreso azioni punitive nei confronti delle tribù più restie al dominio romano.

In teoria si trattava di un compito di carattere prevalentemente amministrativo, e non di una spedizione militare. Come Varo, anche il resto delle autorità romane credeva che quelle fossero zone pacificate e, pertanto, le vedeva come un territorio amico. Questa idea veniva suffragata non solo dalla prolungata assenza di rivolte significative, ma anche dalle informazioni apportate dal condottiero cherusco Arminio, divenuto consigliere del governatore.

Le truppe che partirono dall’accampamento di Vetera (l’attuale Xanten, al nord della Germania) erano composte da tre legioni – la XVII, la XVIII e la XIX – oltre a sei coorti di truppe ausiliarie di fanteria e forse anche da tre ali ausiliarie di cavalleria.

Imboscata alle legioni a Teutoburgo. Olio di Hermann Knackfuss. 1890. Neue Galerie, Kassel (Germania)

Imboscata alle legioni a Teutoburgo. Olio di Hermann Knackfuss. 1890. Neue Galerie, Kassel (Germania)

Foto: Bpk / Scala, Firenze

Varo disponeva, in totale, di poco più di 17mila combattenti, una cifra che andò diminuendo a mano a mano che le truppe si distribuivano nelle distinte guarnigioni disposte lungo il percorso. Insieme ai contingenti militari marciavano anche numerosi civili: tra i 3.500 e i 4mila, tra i quali anche le mogli e i figli dei soldati, una miriade di servitori, commercianti e gente di ogni tipo che viveva all’ombra dell’esercito.

Il tragitto per penetrare nelle terre germaniche fu quello abituale: una volta attraversato il Reno la colonna sarebbe entrata nella vallata del fiume Lippe per poi dirigersi a est, verso la terra dei cherusci, dove avrebbe stabilito la base per l’estate. Contando di trovarsi in territorio amico, e fidandosi delle informazioni riportate da Arminio, Varo non diede nessuna importanza alle notizie che gli arrivavano sull’annientamento di alcuni piccoli contingenti romani a opera di bande germaniche. In realtà, dietro a questi episodi non si celava altro che le truppe comandate dallo stesso Arminio, il quale aveva disegnato un meticoloso piano d’attacco.

Il capo dei cherusci aveva convinto altre tribù germaniche a unirsi a lui nel piano di attacco contro i romani, da realizzare nel luogo e nel momento da lui stabilito. A questo scopo, doveva fare in modo che Varo prolungasse la sosta oltre il necessario e che modificasse il suo tragitto. Informato da Arminio di una rivolta al nord, sulla strada del ritorno Varo decise di cambiare percorso per andare a castigare i colpevoli.

Secondo Velleio Patercolo a Teutoburgo l’esercito romano «fu massacrato e annientato da un nemico che aveva sempre trattato come bestiame». Rilievo di marmo proveniente dal foro di Traiano. II secolo d.C. Louvre, Parigi

Secondo Velleio Patercolo a Teutoburgo l’esercito romano «fu massacrato e annientato da un nemico che aveva sempre trattato come bestiame». Rilievo di marmo proveniente dal foro di Traiano. II secolo d.C. Louvre, Parigi

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Il massacro

Quella che viene chiamata battaglia di Teutoburgo fu in realtà un susseguirsi di scontri, durati in tutto quattro giorni, che ebbero come epilogo la distruzione dell’esercito di Varo ai piedi della collina di Kalkriese.

Il 7 settembre la colonna lasciò la sua base estiva diretta verso nord, senza incidenti degni di nota, fatta eccezione per la partenza di Arminio con una parte dei suoi cavalieri: con il pretesto di andare a cercare rinforzi, aveva in realtà intenzione di riunirsi al suo esercito. Si calcola che Arminio fosse riuscito a mettere insieme tra i 20mila e i 25mila uomini provenienti da diverse tribù, tra le quali c’erano gli angrivari e i bructeri. Queste forze erano numericamente superiori a quelle di Varo anche se meno omogenee dal punto di vista militare.

Il giorno dopo i romani entrarono nella foresta di Teutoburgo, talmente intricata da rallentare il ritmo di marcia e allungare notevolmente la colonna, facendo crescere la distanza tra l’avanguardia e la retroguardia. Proprio lì, in mezzo alla selva, la spedizione cominciò a subire i primi attacchi coordinati. Come se non bastasse, un enorme acquazzone rese il terreno impraticabile e limitò ulteriormente i movimenti delle truppe romane, che si videro costrette a montare un accampamento temporaneo per ripararsi e trascorrere la notte.

Il centurione Marco Celio, combattente della XIIX (XVIII) legione, morì a Teutoburgo a 53 anni. Suo fratello Publio Celio eresse questo cenotafio a Vetera, accampamento base di quella legione. Museo di Kalkriese

Il centurione Marco Celio, combattente della XIIX (XVIII) legione, morì a Teutoburgo a 53 anni. Suo fratello Publio Celio eresse questo cenotafio a Vetera, accampamento base di quella legione. Museo di Kalkriese

Foto: Bpk / Scala, Firenze

Il centurione Marco Celio, combattente della XIIX (XVIII) legione, morì a Teutoburgo a 53 anni. Suo fratello Publio Celio eresse questo cenotafio a Vetera, accampamento base di quella legione. Museo di Kalkriese

 

 

Il giorno dopo non ci fu nessun cambiamento significativo. Continuò a diluviare mentre i germani non smettevano di tendere imboscate, causando numerose vittime e minando il morale dei romani. Ormai cosciente della situazione, Varo decise di marciare verso ovest nella speranza di raggiungere il Reno, dove la presenza delle guarnigioni romane poteva significare la salvezza. Per avanzare più rapidamente si sbarazzò di una parte degli impedimenta (bagaglio militare).

Il 10 settembre le truppe si trovavano ancora nella zona boscosa. Varo ordinò di riprendere la marcia in silenzio per non attirare l’attenzione del nemico. Tuttavia, la densa vegetazione e i numerosi ostacoli collocati dai germani rendevano difficile l’avanzamento, e la colonna si trovò divisa in tre grandi blocchi. La situazione divenne insostenibile: l’unica possibilità di scappare da quell’inferno sfumò quando apparve Arminio con le forze della cavalleria.

I danni causati dall’attacco furono talmente devastanti che Varo decise di suicidarsi con la propria spada, esempio seguito dal resto degli ufficiali. Senza comando, le forze sopravvissute cercarono di resistere ancora un giorno.

Nerone Claudio Druso, conosciuto come Germanico per la sua attività militare in terre germaniche, trova i resti dei legionari di Varo. Olio di Lionel Royer. XIX secolo

Nerone Claudio Druso, conosciuto come Germanico per la sua attività militare in terre germaniche, trova i resti dei legionari di Varo. Olio di Lionel Royer. XIX secolo

Foto: Musee de Tesse, Le Mans / Bridgeman / Aci

Nerone Claudio Druso, conosciuto come Germanico per la sua attività militare in terre germaniche, trova i resti dei legionari di Varo. Olio di Lionel Royer. XIX secolo

 

 

L’11 di settembre, ormai decimate e demoralizzate, le truppe fecero un ultimo disperato tentativo di riprendere la marcia verso ovest, sempre sotto l’attacco incessante dei germani. A un certo punto la via, nel passaggio tra la collina di Kalkriese a nord e un’ampia zona paludosa a sud, si strinse ulteriormente. In quel punto Arminio aveva predisposto un terrapieno sormontato da una palizzata che correva parallela a tutto il sentiero, reso ancora più angusto fino a ottenere un vero e proprio collo di bottiglia. Ben protetti, i germani attaccarono la colonna romana e le impedirono in questo modo di avanzare.

Nel frattempo il centro della formazione e la retroguardia venivano attaccati dal grosso delle truppe germaniche, guidate da Arminio. Fu un massacro. Pochi riuscirono a fuggire per raccontare l’accaduto, mentre i germani si davano liberamente alla strage e al saccheggio. Le tre aquile, emblema delle legioni distrutte, furono la parte più ambita del bottino.

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La notizia del disastro si sparse velocemente e il panico si impadronì non solo delle province vicine, ma anche di Roma, che temeva l’invasione germanica della vicina Gallia. Augusto mandò Tiberio a controllare la zona, visto che conosceva bene quei territori.

In ogni caso, le conseguenze della sconfitta si fecero sentire soprattutto nella politica di Roma. Anche se tra gli anni 14 e 16 d.C. si organizzarono diverse spedizioni condotte da Nerone Claudio Druso, detto il Germanico, per castigare i germani e recuperare la fiducia e l’orgoglio perduti, non fu possibile restaurare il dominio romano in quei territori.

Probabilmente fu in base alla sua esperienza in quella zona che l’imperatore di allora, Tiberio, decise di abbandonare ogni pretesa di riportare le aquile di Roma a est del Reno, divenuto ormai la frontiera settentrionale dell’Impero romano.

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