La sconfitta del wali Abd al-Rahman ibn Abd Allah al-Ghafiqi per mano del condottiero franco Carlo Martello è incisa a fuoco nella memoria dell’Occidente come la grande vittoria sul nemico inarrestabile, che rese possibile un’Europa di matrice cristiana. Questo, almeno, ritennero molti storici a partire dal XVIII secolo. Forse il primo a esprimere con forza tale concetto fu Edward Gibbon, quando nel suo Declino e caduta dell’impero romano affermò che, senza la vittoria a Poitiers, «oggi forse nelle scuole di Oxford si spiegherebbe il Corano, e dall’alto delle sue cattedre si dimostrerebbe a un popolo circonciso la santità e la verità della rivelazione di Maometto». Altri storici hanno concordato con Gibbon. «L’istante in cui franchi e arabi si contesero il destino del mondo» o «Non vi è stata una battaglia più importante nella storia del mondo» sono affermazioni che chiunque decida di approfondire le vicende della battaglia di Poitiers incontrerà molto facilmente.
Poitiers non fu la prima vittoria in suolo francese contro l’islam, né significò la fine della presenza musulmana al di là dei Pirenei, però è vista come un evento cruciale nel fermare un’avanzata islamica che sembrava inarrestabile dopo i decenni di conquiste che seguirono alla morte di Maometto, avvenuta nell’anno 632.

Nel 1837 il pittore Charles de Steuben raffigurò lo scontro di Poitiers come simbolo della grandezza nazionale della Francia, paladina dei valori
Foto: E. Lessing / Album
Le prime incursioni
La folgorante espansione musulmana aveva raggiunto l’estremità dell’Europa occidentale nel 711, quando il regno visigoto affondò dopo la sconfitta del re Rodrigo nella battaglia del Guadalete, e poco dopo, nel 718, i wali o governatori di al-Andalus lanciarono le prime incursioni in cerca di bottino al di là della catena dei Pirenei, spingendosi molto a nord di Pamplona e dell’attuale Catalogna. Assaltarono i territori dell’Aquitania, allora sotto la sovranità nominale dei re franchi, e della Linguadoca, le cui città più importanti erano ancora governate da visigoti.
All’epoca, il loro obiettivo non era ancora la conquista di quei territori. Questa idea si fece strada un anno dopo, quando da Damasco, dove risiedevano i califfi della dinastia omayyade, giunse l’ordine d'inviare gli eserciti in Gallia. In Linguadoca, berberi, siri e yemeniti calarono su Narbonne e non tardarono a conquistarla, e lo stesso accadde a Carcassonne.
Lasciate delle guarnigioni nelle due città, il grosso delle truppe fece ritorno nella penisola iberica, ma ormai l’avamposto era saldo e Damasco tentò ben presto di ampliare il successo e iniziare a porre sotto assedio le popolazioni dell’Aquitania. Nel 721 si armò di nuovo un potente esercito, stavolta al fine di aggiungere Tolosa, la più grande città aquitana, all’elenco delle conquiste. A questo punto vale la pena fermarsi e lasciare che entri in scena uno dei personaggi fondamentali del cammino che condurrà allo scontro di Poitiers undici anni dopo: il duca Oddone d’Aquitania.

Nell’incisione, Oddone consegna la figlia Lampagia al musulmano Munuza per sancire un'alleanza
Foto: Bianchetti / Leemage / Prisma
L’assedio di Tolosa
Quella di Oddone, o Eudes, fu una vita al bivio. Di ascendenza franca, ma insediato nel cuore della Gallia romana, aveva puntato sulla fazione perdente nel suo coinvolgimento nel gioco di troni che era la politica franca di quegli anni, quando la dinastia merovingia governava due regni contrapposti: Austrasia e Neustria. Oddone aveva preso partito contro l’ascesa del futuro Carlo Martello, il potente maestro di palazzo dell’Austrasia – carica grazie alla quale controllava il governo effettivo del regno –, ma questi lo sconfisse a Soissons nel 719. Carlo unì Austrasia e Neustria, e Oddone venne a trovarsi in una posizione assai complicata proprio nel momento in cui cominciava l’espansione islamica nella regione.
Se Oddone non è passato alla storia come il primo signore franco ad arrestare gli eserciti musulmani al di là dei Pirenei è esattamente per la sua opposizione ai progetti di Carlo Martello. Correva l’anno 721 e Tolosa, il gioiello nella corona del ducato d’Aquitania, stava subendo un duro assedio da parte degli eserciti islamici. Oddone, senza appoggi al di fuori del suo ducato a causa della sconfitta a Soissons, riuscì a comandare un assalto alla retroguardia dell’esercito nemico e a coordinarlo con una carica a rotta di collo dei difensori della città. Grazie a questo attacco a sorpresa sterminò oltre la metà degli assedianti e mise in fuga il resto. Sebbene le sue azioni siano rimaste relegate a una nota a piè di pagina della storia, la vittoria di Oddone e dei suoi uomini nel 721 frenò l’avanzata musulmana per un decennio.
Dobbiamo tenere presente che per Oddone non esisteva nulla di simile a un’idea di nazione, e che l’odio verso i musulmani poteva essere altrettanto intenso di quello che egli provava per nemici dell’Austrasia. Di fatto, Oddone non si fece scrupoli nello stringere un’alleanza con il governatore berbero ribelle della Cerdagna, Uzman ibn Abi Nessa – il Munuza delle fonti cristiane –, per creare uno stato cuscinetto che garantisse l’indipendenza dell’Aquitania dai tentativi d'invasione provenienti dalla penisola iberica. Il patto tra Oddone e Munuza non tardò ad avere conseguenze. L’alleanza tra i due non era vista di buon occhio né da Metz, la capitale dell’Austrasia, né da Cordova, la capitale di al-Andalus. Il primo a fare una mossa fu il maestro di palazzo dell’Austrasia. Dalla battaglia di Soissons la macchina bellica di Carlo Martello non si era fermata neppure per un momento, e nell’anno 731, alla guida di cinquemila uomini, mise a ferro e fuoco le campagne dell’Aquitania e soggiogò l’indisciplinato duca: Oddone si vide costretto a giurare obbedienza al re merovingio fantoccio di Carlo. La sorte di Munuza non fu migliore. In quello stesso 731 il nuovo emiro di Cordova, Abd al-Rahman ibn Abd Allah al-Ghafiqi, lo attaccò con un esercito di circa 15mila uomini e reclamò la sua testa, che fu inviata a Damasco.

Carlo Martello. Scultura di J. B. J. Bebay. XIX secolo
Foto: J. Bernard / Leemage / Prisma
La fine dell’alleanza tra Oddone e Munuza lasciava musulmani e franchi gli uni di fronte agli altri. Vent’anni dopo la conquista della Hispania sembrava che la Gallia stesse per subire la stessa sorte come parte del sogno del califfo di Damasco: circondare il Mediterraneo e accerchiare Costantinopoli, il cuore dell’impero bizantino, una città inespugnabile che gli eserciti dell’islam avevano attaccato senza successo sessant’anni prima.
Fu così che, nel 732, l’antica strada romana che, da Saragozza, si snodava in Navarra e passava da Roncisvalle per addentrarsi in Aquitania vide avanzare un grande contingente umano che inalberava gli stendardi omayyadi, arabi e berberi esperti nell’arte della guerra e accompagnati dalle loro famiglie: a differenza di altre spedizioni in cerca di bottino, questa era stata progettata per l’occupazione del territorio.
Inalberando gli stendardi omayyadi, migliaia di arabi e berberi avanzavano in Aquitania accompagnati dalle famiglie
Una scia di fuoco
Per usare l’immagine di un cronista contemporaneo, gli invasori «erano come un incendio nei cespugli ravvivato dal vento». Le forze aquitane, che erano inferiori per numero e si stavano ancora riprendendo dalle campagne dell’estate precedente contro gli austrasiani, poterono fare poco per frenare la loro avanzata: furono annientate sulle sponde della Garonna, presso Bordeaux, città che non tardò a cadere e che subì un saccheggio selvaggio. La tappa successiva, Poitiers, avrebbe consentito agli invasori di addentrarsi verso il cuore della Francia.

La chiesa di Saint-Hilaire le Grand, all’epoca fuori delle mura di Poitiers,fu saccheggiata dai musulmani nel 732
Foto: Christian Guy / Gtres
E nel frattempo che cosa faceva Carlo Martello? Le disperate richieste d’aiuto lanciate da Oddone lo sorpresero in piena campagna militare sul Danubio. Sapendo che la situazione era drammatica, non esitò ad avanzare a tappe forzate con i suoi uomini, circa 10mila, e riunirsi a Tours con il duca d’Aquitania, che lì attendeva con ciò che restava delle sue truppe. Intanto, fuoco e distruzione avevano colpito la bella basilica di Saint-Hilaire le Grand, appena fuori Poitiers, che fu spogliata dei suoi tesori. Imperturbabile, l’esercito omayyade proseguì, puntando in direzione di Tours. Era ottobre. Le forze erano schierate e pronte per la battaglia, che si protrasse per sette giorni.
Abituati a immaginare le battaglie così come le vediamo nei film di Hollywood, fatichiamo ad avvicinarci alla realtà degli scontri medievali. I sette giorni di combattimento a Poitiers furono una successione di finte, schermaglie, caotiche mischie, ordini confusi, ritirate strategiche e una sorprendente mancanza di coreografia, molto distante dagli spiegamenti millimetrici che di solito abbiamo in mente.
Il muro di ghiaccio
Nei primi giorni dello scontro le truppe franche si limitarono a stuzzicare il nemico, che era in superiorità numerica: breve assalto e ritirata mentre si cercava un terreno adeguato sul quale dare battaglia. Dal canto loro, le truppe musulmane avevano come priorità l’avanzata; il loro obiettivo era arrivare alla venerabile città di Tours, dove avrebbero potuto acquartierarsi per passare l’inverno ormai prossimo.

La battaglia di Poitiers in una miniatura delle Grandi cronache di Francia del XV secolo conservata alla Biblioteca nazionale di Parigi
Foto: Josse / Scala, Firenze
Il sesto giorno Carlo trovò il terreno adeguato ai suoi scopi: l’altura di Moussais-la-Bataille. Da lì, sulla collina – dominando la strada romana lungo la quale dovevano avanzare gli invasori –, la fanteria franca partiva in vantaggio o, almeno, alla pari, compensando la maggior mobilità dell’esercito omayyade. Non dobbiamo dimenticare che la tattica preferita dagli arabi era l’equilibrata combinazione della cavalleria pesante e di quella leggera, che caricavano ripetutamente il nemico per poi ripiegare.
Utilizzata con successo in moltissimi scontri precedenti, questa volta la tattica omayyade si trovò davanti un imprevisto: una solida e compatta muraglia di scudi dispiegata sui pendii di Moussais-la-Bataille che non cedette a nessun attacco. La Cronaca mozarabe, scritta nel 754 nella Hispania cristiana, descrive la fanteria franca con aperta ammirazione: «Gli uomini del nord rimasero immobili come fossero una parete. Erano come un muro di ghiaccio congelato e indissolubile mentre uccidevano gli arabi con la spada. Gli austrasiani, dalle lunghe estremità e dalla mano di ferro, si aprirono un varco con valore e coraggio a metà del combattimento».
Carlo Martello ordinò alla sua fanteria di formare un muro di scudi per fermare l’assalto della cavalleria omayyade
Lasciando da parte il lato poetico del paragone, il muro franco di scudi raggiunse l’obiettivo: resistere alla cavalleria omayyade, respingendone ogni assalto, mentre la cavalleria franca e quella aquitana entravano in azione. Fu allora che, nel fragore dello scontro, il duca Oddone e il suo esercito di cavalieri si lanciarono sull’accampamento nemico, dove si trovavano non solo le provviste e il bottino trafugato nelle incursioni, ma anche le donne e i figli dei guerrieri islamici.

Carlo Martello uccide al-Ghafiqi a Poitiers in una ricostruzione immaginaria dei fatti. 1883. Louvre, Parigi
Foto: E. Lessing / Album
Davanti a un simile attacco, numerosi fanti berberi abbandonarono la battaglia per difendere l’accampamento. La cavalleria di Carlo, dal canto suo, era rimasta nascosta fino a quel momento e la sua irruzione nel bel mezzo del caotico combattimento fece pendere definitivamente la bilancia in favore dei franchi. Lo stesso al-Ghafiqi morì mentre cercava di mettere ordine nelle sue file, colpito da una freccia o un giavellotto.
Quando scese la notte sulla collina di Moussais-la-Bataille sul campo di battaglia era rimasto soltanto qualche gruppo di berberi. All’alba del giorno seguente, di loro non c’era traccia: i sopravvissuti avevano raccolto i loro morti durante la notte e avevano preso la via della fuga verso la penisola iberica. La sanguinosa sconfitta di Poitiers, come quella di undici anni prima a Tolosa per mano di Oddone, rimase scolpita nell’immaginario islamico con il nome di Balat al-Shuhada, “il lastricato dei martiri”.
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La fine delle incursioni
Contrariamente a quanto si è soliti pensare, la vittoria di Carlo Martello non significò la fine delle ambizioni degli omayyadi nella Gallia, tutt’altro: Poitiers diede il via all’intensificazione delle incursioni durante il decennio successivo. Non bisogna dimenticare che i musulmani possedevano ancora importanti città nella parte francese del bacino del Mediterraneo, come Narbonne e Marsiglia, e che le incursioni attraverso il corridoio occidentale dei Pirenei non diminuivano.

È possibile che nella spedizione di Poitiers l’accampamento delle truppe franche si trovasse in questa antica enclave romana
Foto: Francis Leroy / Gtres
In realtà, la fine di questa politica di conquista fu dovuta molto meno alla sconfitta di Poitiers – per l’islam, un semplice incidente – che alle dispute interne nella penisola iberica e alla crisi del califfato. Ad al-Andalus, i berberi, sempre soggiogati dagli arabi, si sollevarono contro di essi nel 741; contingenti siri si recarono nella penisola per aiutare gli arabi a soffocare la ribellione e il territorio andaluso fu lo scenario di una cruenta lotta. Intanto, un’altra ribellione scoppiata in Iraq aveva sterminato gli omayyadi, che erano stati sostituiti dagli abbasidi. Un giovane principe omayyade di nome Abd al-Rahman sfuggì al massacro e si rifugiò nel caotico al-Andalus, dove racimolò sufficienti appoggi militari per proclamarsi emiro, sottraendo la penisola al controllo degli abbasidi. In questa situazione, la conquista delle terre oltre i Pirenei cessò di essere una priorità per i nuovi poteri islamici di Cordova, dove s'insediò Abd al-Rahman, e di Baghdad, dove gli abbasidi trasferirono la capitale del califfato.
Al contrario, per i vincitori di Poitiers la battaglia significò molte cose. È sintomatico che l’autore della Cronaca mozarabe definisse i trionfatori di Poitiers europenses, “europei”. Questa parola nuova andava a sostituire l’idea di cittadinanza romana, un concetto che risultava anacronistico quando erano ormai trascorsi due secoli e mezzo dalla scomparsa dell’impero d’occidente. “Europei” sarebbe diventato sinonimo di cristiani, e a Carlo Martello sarebbe stata attribuita la “salvezza” della civiltà cristiana. Nessuno si sarebbe ricordato della clamorosa e non meno dura sconfitta che Oddone aveva inflitto ai musulmani a Tolosa.
Poitiers avvolse Carlo Martello e i discendenti in un’aura vittoriosa
Anche se idealizzare Poitiers come la pietra miliare della nascita dell’Europa e come la grande vittoria che pose fine all’avanzata islamica non corrisponde alla realtà storica, non è azzardato affermare che – grazie all’aura vittoriosa che circondò Carlo Martello e i suoi discendenti – il trionfo di Poitiers è all’origine di uno dei primi tentativi di costruzione europea: l’impero forgiato da Carlo Magno, nipote del potente maestro di palazzo dell’Austrasia.
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Massacri e cultura. Le battaglie che hanno portato la civiltà occidentale a dominare il mondo. Victor Davis Hanson. Mondadori, Milano, 2017