La battaglia di Borodino: Napoleone in Russia

Il 7 settembre 1812 l'imperatore francese impegnò i russi in una terribile battaglia. Dopo sette giorni, uscitone vincitore, fece il suo ingresso a Mosca

Nel 1807 l'impero russo era stato costretto ad allearsi con Napoleone dopo essere stato sconfitto nella Battaglia di Friedland, ma presto lo zar Alessandro I si rese conto che quello stipulato con il corso era un patto iniquo, che lo rendeva nei fatti un semplice vassallo della Francia. Con la pace di Tilsit, infatti, i russi avevano accettato di smettere di commerciare con l'Inghilterra come parte del sistema Continentale, un blocco commerciale che Napoleone aveva imposto per soffocare economicamente il suo eterno rivale. La Russia smise così di esportare le sue vaste riserve di legname, pellicce e grano all'estero, causando una profonda recessione economica e la perdita di migliaia di posti di lavoro. Anche a livello politico ci furono numerosi attriti tra le due nazioni, con la questione di una Polonia indipendente come principale pomo della discordia. Napoleone aveva utilizzato i territori polacchi sottratti ai russi durante la guerra per creare il ducato di Varsavia, e i suoi alleati continuavano a spingere per la liberazione della Lituania, un territorio russo che era stato parte della Polonia.

Gradualmente, la disastrosa guerra in Spagna e le sporadiche sconfitte in Europa dispersero l'illusione dell'invincibilità francese, e a partire dal 1810 lo zar tornò a commerciare con gli inglesi, sfidando Napoleone. Questi, temendo che l'esempio russo sarebbe stato seguito in tutta Europa, decise d'invadere il Paese per costringere Alessandro a sottomettersi di nuovo.

Napoleone e il suo stato maggiore osservano la battaglia di Borodino. Olio di Vasili Vereshchagin. 1897, Museo statale di Storia, Mosca.​

Napoleone e il suo stato maggiore osservano la battaglia di Borodino. Olio di Vasili Vereshchagin. 1897, Museo statale di Storia, Mosca.​

Foto: Pubblico dominio

Al di là del Niemen

Data la vastità del territorio russo e la sua innumerevole popolazione, Napoleone decise di radunare al confine con la Polonia un esercito senza precedenti: 450 mila uomini tra francesi, austriaci, tedeschi e polacchi per assestare un colpo finale ai russi. Il 23 giugno 1812 l'immensa armata attraversò il fiume Niemen, ma presto divenne chiaro che la campagna militare francese non sarebbe stata come le scintillanti vittorie di un tempo. Colti di sorpresa e con i due eserciti principali separati, i russi decisero infatti di non entrare in battaglia alla frontiera e batterono in ritirata verso Mosca, bruciando raccolti e granai sul loro cammino. Questo presentò a Napoleone un dilemma: se voleva battere i russi in battaglia, doveva inseguirli attraverso la steppa, ma questo lo avrebbe portato sempre più lontano dalle sue basi di rifornimento e avrebbe esposto il suo esercito alla fame e alle malattie. In un impeto di eccessiva fiducia, l'imperatore decise di perseverare nel suo proposito e si lanciò all'inseguimento, ma con il passare delle settimane gli unici combattimenti che si svolsero furono piccole azioni di retroguardia, mentre i francesi continuarono la loro avanzata attraverso un territorio devastato.

Trasformate in pantani da una serie di piogge torrenziali, le strade russe intrappolarono i carri di rifornimento, che non riuscirono a seguire la marcia dell'esercito. Senza cibo e medicine, si stima che circa 200mila soldati imperiali morirono di fame e di dissenteria prima di poter scontrarsi con il nemico. La prima grande battaglia fu combattuta a Smolensk sette settimane dopo l'invasione. Dopo aver radunato tutte le truppe, protette dalle mura medievali della città, i difensori combatterono una battaglia impari che si concluse con la loro sconfitta. L'esercito dello zar si ritirò fino a raggiungere il villaggio di Borodino, dove il nuovo comandante in capo Michail Kutuzov schierò il suo esercito per la battaglia che avrebbe deciso il destino di Mosca. Era il 7 settembre 1812.

Napoleone incontra lo zar a Tilsit, in mezzo al fiume Niemen. I due accordarono il boicottaggio contro l'Inghilterra, una scelta nefasta per la Russia. ​

Napoleone incontra lo zar a Tilsit, in mezzo al fiume Niemen. I due accordarono il boicottaggio contro l'Inghilterra, una scelta nefasta per la Russia. ​

Foto: Pubblico dominio

L'inizio della battaglia

Il luogo dello scontro dal generale russo comprendeva una serie di villaggi disposti da nord a sud lungo le rive del fiume Kolocha, con le linee russe ancorate su un paio di colline fortificate con ridotte di terra scavate frettolosamente il giorno prima della battaglia. Il combattimento avrebbe contrapposto 133mila truppe imperiali a 155mila russi, ma i francesi avevano un numero maggiore di unità veterane, supportate da un'artiglieria meglio comandata.

Anche se il maresciallo Louis-Nicolas Davout cercò di convincere Napoleone che bisognava lanciare un attacco sul fianco russo per evitare un sanguinoso assalto frontale alle ridotte, l'imperatore ritenne che una tale manovra avrebbe richiesto un livello di coordinamento impossibile in un esercito così grande e multinazionale, quindi adottò il piano più semplice di attaccare prima il fianco sinistro russo e poi lanciare un assalto frontale al centro dello schieramento nemico. La battaglia ebbe inizio alle sei di mattina, quando una batteria francese sparò il primo colpo contro il villaggio di Gorky, quartier generale di Kutuzov, dando il via all'avanzata francese lungo tutta la linea. Le prime vittime dell'offensiva furono i jäger (cacciatori) della guardia russa trincerati nel villaggio di Borodino, una posizione completamente esposta sulla riva sbagliata del Kolocha, da cui dovettero ritirarsi con gravi perdite.

L'esercito francese attraversa il Niemen. Sulla sinistra si può distinguere la figura di Napoleone Bonaparte. Disegno di Felician von Myrbach (1853-1940)

L'esercito francese attraversa il Niemen. Sulla sinistra si può distinguere la figura di Napoleone Bonaparte. Disegno di Felician von Myrbach (1853-1940)

Foto: Pubblico dominio

Poi fu la volta della sinistra russa, comandata da Pëtr Bagration, che si difendeva da tre ridotte chiamate flèches, che formavano un triangolo rovesciato a sud del villaggio di Semionovskoie. Su di esse si abbatté tutta la furia dei 22mila francesi del corpo rinforzato di Davout, che nonostante la conquista delle due flèches anteriori furono spazzati via dal fuoco dei cannoni della terza e dovettero ritirarsi.
Alla loro destra, nel frattempo, ci fu un attacco di supporto da parte delle divisioni polacche del principe Poniatowski, che sebbene riuscirono a conquistare il villaggio di Utitsa, furono trattenute e respinte sulla difensiva dal contrattacco della seconda linea russa, che comprendeva diecimila miliziani armati di lance e asce.

Nel corso della mattinata le flèches cambiarono di mano numerose volte, con ripetute ondate di truppe che si contendevano il controllo. I combattimenti crebbero di intensità fino a diventare un tritacarne, assorbendo le forze di entrambe le parti. Le perdite furono tali che Kutuzov fu costretto a inviare parte del suo centro su richiesta di Bagration, che stava lottando per contenere la crescente pressione francese.

Fu durante uno di questi contrattacchi che Bagration ricevette una ferita mortale mentre cavalcava alla testa dei suoi uomini; le schegge gli frantumarono la tibia e lo costrinsero ad abbandonare la battaglia. La perdita di un generale così amato seminò lo sgomento tra i soldati, che senza un comando supremo non riuscirono a coordinare adeguatamente i loro attacchi e finirono per perdere le flèches intorno alle dieci. Rinfrancati dal successo, i francesi cercarono di continuare la loro avanzata verso nord, ma si scontrarono con il muro invalicabile della guardia russa a Semionovskoie. Schierato in formazione quadrata e vittima di un terribile bombardamento francese, i suoi battaglioni respinsero tutte le cariche della cavalleria francese, salvando così i russi dal disastro. In questo momento critico, i marescialli di Napoleone lo pregarono di inviare la sua guardia imperiale per sfondare il fronte russo, ma egli considerò una follia rischiare la migliore unità del suo esercito con la battaglia indecisa e la grande Armata a centinaia di chilometri dalla Francia.

Leggi anche

La presa della Grande ridotta

Tuttavia, la battaglia non era ancora vinta. Al centro dello schieramento zarista, infatti, dall'alto di una collina i cannoni russi sparavano contro l'avanzata francese. Era la Grande ridotta, un bastione pentagonale dotato di ventiquattro cannoni da dodici libbre e protetto da decine di pozzi con pali di legno appuntiti all'interno, ricoperti di rami. Chiamata anche ridotta Raiévski dal nome del generale che la comandava, la fortificazione fu attaccata per la prima volta poco dopo la ferita mortale di Bagration. Un totale di seimila francesi si precipitarono sul pendio, cadendo nei fossati e ingaggiando combattimenti alla baionetta con gli artiglieri russi, che difendevano coraggiosamente i loro cannoni.

Con questo primo attacco i francesi riuscirono a stanare il nemico dalla ridotta, ma furono falciati dall'artiglieria russa e si trovarono davanti le truppe del generale Yermolov. Accerchiati dalle baionette russe, gli uomini di Napoleone furono infine respinti attraverso il Kolocha. L'intervento della cavalleria russa, che all'inizio della battaglia attraversava il fiume Moskova e ora stava attaccando il nemico rimasto nei pressi di Borodino, fu fondamentale per la riconquista della ridotta. Comandati da Ataman Platov, gli ussari e i cosacchi costrinsero la fanteria francese ad arrestarsi e a formarsi in quadrato, fermando le divisioni che si muovevano a sostegno di Morand, che fu tagliato fuori dal contrattacco russo.

Contrattacco russo nella battaglia di Smolensk. Olio su tela di Alexander Yurievich Averyanov. Museo Borodino.

Contrattacco russo nella battaglia di Smolensk. Olio su tela di Alexander Yurievich Averyanov. Museo Borodino.

Foto: Pubblico dominio

Con la situazione ristabilita dalla Giovane guardia, Napoleone fu in grado di lanciare un secondo attacco alla ridotta, combinando l'avanzata della fanteria con un attacco di cavalleria su entrambi i fianchi. L'assalto finale, preceduto da uno scontro a fuoco da entrambe le parti, iniziò alle 14.00. Sostenuti da sbarramenti di artiglieria, i fanti francesi salirono nuovamente sulla collina ormai coperta di cadaveri, mentre squadroni di corazzieri francesi e tedeschi tagliarono le linee russe ed entrarono nella ridotta da dietro.

Questo attacco decisivo concluse la battaglia. Malconci ma non distrutti, i russi si ritirarono in modo ordinato verso nuove posizioni difensive su entrambi i lati della strada di Mosca. Troppo esausti per proseguire, i francesi si occuparono dei loro feriti in quella che era diventata la battaglia più letale di tutte le guerre napoleoniche.

Napoleone è scortato fuori dal Cremlino mentre Mosca brucia. Victory Museum, Mosca.

Napoleone è scortato fuori dal Cremlino mentre Mosca brucia. Victory Museum, Mosca.

Foto: Pubblico dominio

L'incendio di Mosca

La concentrazione di un numero così elevato di uomini su un campo di battaglia di soli sei chilometri quadrati esponeva i soldati a un terribile fuoco incrociato, che falciava intere unità nelle loro postazioni. Inoltre, furono fatti solo duemila prigionieri, mentre entrambe le parti giustiziarono tutti i feriti che caddero nelle loro mani. Dopo dodici ore di combattimenti, la giornata si concluse con perdite di circa 30mila francesi e 50mila russi. Kutuzov cercò di presentare questa carneficina come una vittoria russa al suo sovrano, assicurandogli che gli imperiali avevano sofferto altrettanto o di più. Ma il suo ordine di ritirarsi la notte stessa mostra chiaramente che, dopo aver perso un terzo delle forze, i russi non erano in condizione di combattere.

Così l'esercito zarista si ritirò oltre Mosca, che fu evacuata dai suoi cittadini e occupata dai francesi il 14 settembre. Da solo, nella capitale spirituale e deserta dell'immensa Russia, Napoleone si scontrò con il rifiuto dello zar di accettare un accordo di pace. Peggio ancora, le sue vie di rifornimento erano state tagliate dai cosacchi e la situazione peggiorava di giorno in giorno. L'ultimo chiodo sulla bara francese fu l'incendio che scoppiò nella capitale russa, scoppiato a causa della disattenzione delle truppe francesi ma anche come conseguenza delle azioni dei piromani pagati dal conte Rostopchin, il sindaco di Mosca. Per quattro giorni, davanti ai soldati stremati dalla durezza della campagna militare e totalmente demoralizzati dalla resistenza nemica, la città continuò a bruciare. Con lo zar ancora al suo posto e l'esercito russo di nuovo sul piede di guerra dopo aver ricevuto rinforzi, era chiaro che l'invasione era fallita. Napoleone tentò di ritirarsi verso sud, cercando di trovare un percorso che lo portasse a incrociare città e villaggi risparmiati dalla strategia della terra bruciata russa, ma fu fermato da Kutuzov a Maloyaroslavets e non ebbe altra scelta che fuggire lungo la strada devastata di Smolensk.

I soldati francesi dormono all'addiaccio nel corso della ritirata. Molti morivano congelati durante la notte. Vasily Vereschagin, 1897. Victory Museum, Mosca.

I soldati francesi dormono all'addiaccio nel corso della ritirata. Molti morivano congelati durante la notte. Vasily Vereschagin, 1897. Victory Museum, Mosca.

Foto: Pubblico dominio

A novembre cadde la prima neve e la temperatura scese gradualmente sotto i ventuno gradi. Perseguitati dai cosacchi, gli imperiali stavano lentamente deperendo per fame, dissenteria e congelamento. L'attraversamento del fiume Berézina fu particolarmente drammatico, con migliaia di francesi che caddero nelle acque gelide mentre ponti di legno improvvisati si rompevano sotto il loro peso. Dei centomila uomini partiti da Mosca il 18 ottobre, appena venticinquemila raggiunsero il Niemen a dicembre, solo l'ombra dell'immenso esercito che aveva invaso la Russia sei mesi prima.

Napoleone tornò a Parigi e radunò in fretta e furia un esercito di leva per affrontare russi, svedesi, austriaci e prussiani nel 1813, ma fu sconfitto a Lipsia e dovette andare in esilio all'Elba. Così, nonostante la vittoria nella battaglia di Borodino, Napoleone fu distrutto dalla sua eccessiva ambizione, che lo portò ad entrare in un territorio vasto e inospitale con un esercito troppo grande e difficile da rifornire. in definitiva la Grande armata fu distrutta non tanto dalle armi russe, quanto dal flagello invisibile della fame, del freddo e delle malattie.

Caricatura inglese: il Generale Inverno fa la barba a Napoleone dopo averne schiacciato le truppe. Incisione di William Elmes, 1812.

Caricatura inglese: il Generale Inverno fa la barba a Napoleone dopo averne schiacciato le truppe. Incisione di William Elmes, 1812.

Foto: Pubblico dominio

Leggi anche

Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!

Condividi

¿Deseas dejar de recibir las noticias más destacadas de Storica National Geographic?