Atene sconfitta sul mare da Sparta

Nel 405 a.C., il generale spartano Lisandro ottenne una decisiva vittoria su Atene nella battaglia navale di Egospotami. La capitale dell’Attica si arrese poco dopo: si concluse così la Guerra del Peloponneso

Lisandro fu uno dei generali più brillanti della storia di Sparta. A lui la capitale del Peloponneso dovette il più importante trionfo: quello contro Atene nella lunga e terribile guerra che oppose le due città tra il 431 e il 404 a.C. Fu Lisandro a sconfiggere l’armata ateniese nella decisiva battaglia di Egospotami e successivamente a negoziare la resa di Atene.

Lisandro fu però uno capo spartano atipico. Non apparteneva al ristretto gruppo degli homoioi (cittadini con pieni diritti o “uguali”), bensì era un semplice mothax, figlio di uno spartiate e di una serva, un’ilota. Ciononostante, gli efori, i principali magistrati di Sparta, lo elessero comandante della flotta navale in giovane età, in buona parte grazie al potere di un suo sostenitore, Agesilao, che in seguito sarebbe stato re di Sparta e del quale egli nell’adolescenza fu amante (erastès).

L’egemonia  di Atene in Grecia si concluse  nel 404 a.C., quando la città dovette arrendersi all’esercito dello spartano Lisandro.

L’egemonia di Atene in Grecia si concluse nel 404 a.C., quando la città dovette arrendersi all’esercito dello spartano Lisandro.

Foto: Garry Black / Latinstock

Lisandro si fece notare per la sua sete di gloria sul campo di battaglia e per un’ambizione personale che gli valse numerosi nemici. Ma divenne famoso soprattutto per il suo gusto per gli stratagemmi e la sua maestria nell’arte della dissimulazione e dell’inganno. Per Plutarco, il suo stile consisteva «nell’ ingannare i fanciulli con i dadi e gli uomini con i giuramenti». Aggiunge poi che «se la rideva di chi credeva che i discendenti di Eracle [gli spartani] non dovessero condurre una guerra con l’inganno e diceva: dove non arriva la pelle del leone, bisogna cucirci sopra quella della volpe».

Vittorie e sconfitte

Lisandro entrò in scena nella fase finale della Guerra del Peloponneso, dopo il disastroso esito della spedizione ateniese in Sicilia, nel 413 a.C. Atene ne era uscita molto indebolita, ma le rimanevano ancora alcune risorse. Gli spartani erano coscienti che l’unica possibilità di sconfiggere la loro rivale era sottrarle i domini nell’Egeo orientale e tagliare le vie di approvvigionamento di grano dalle colonie del Mar Nero attraverso l’Ellesponto.

Lisandro diresse la guerra navale contro Atene  dalla città di Efeso, in Asia Minore. Dopo la vittoria  a Egospotami,  gli Efesini eressero una statua in onore di Lisandro,  il generale vincitore, nel tempio  di Artemide.

Lisandro diresse la guerra navale contro Atene dalla città di Efeso, in Asia Minore. Dopo la vittoria a Egospotami, gli Efesini eressero una statua in onore di Lisandro, il generale vincitore, nel tempio di Artemide.

Foto: José Fuste Raga / Age Fotostock

Per riuscirci si valsero dell’appoggio economico dei persiani – anch’essi desiderosi di ridurre il potere di Atene –, e s'insediarono nella colonia ionica di Abido, intenzionati a conquistare le città alleate di Atene nella zona e a bloccarne i rifornimenti. La reazione ateniese fu però inaspettatamente efficace. Capitanati da Trasibulo e da Alcibiade – il discusso comandante dell’avventura siciliana che era appena rientrato dall’esilio – gli ateniesi vinsero diverse battaglie, recuperando il controllo dell’Ellesponto e delle sue principali città. Fu allora che gli efori, i cinque magistrati supremi di Sparta, consapevoli della necessità di disporre di una guida carismatica, concessero il comando della flotta a Lisandro. Questi si stabilì a Efeso, e da lì intavolò una trattativa con il satrapo persiano in Anatolia, Ciro, figlio minore del re Dario II.

I due raggiunsero un accordo e, grazie ai fondi di Ciro, Lisandro rinforzò la flotta con nuove imbarcazioni e aumentò i salari dei suoi marinai. Ciò provocò molte defezioni tra i rematori ateniesi, che cambiarono fazione attratti dal denaro che Atene non poteva offrire. Secondo Plutarco, quelli che rimasero al proprio posto «divennero pigri e sediziosi» . Come dichiarò il re spartano Archidamo, la guerra «non è tanto questione di armi quanto piuttosto di denaro, per il quale le armi fanno comodo».

Alcibiade fu accusato dai suoi concittadini  del fallimento della spedizione in Sicilia e  della sconfitta di Notio. L’eroe morì in esilio. Busto in marmo. V secolo a.C. Galleria degli Uffizi, Firenze.

Alcibiade fu accusato dai suoi concittadini del fallimento della spedizione in Sicilia e della sconfitta di Notio. L’eroe morì in esilio. Busto in marmo. V secolo a.C. Galleria degli Uffizi, Firenze.

Foto: Akg / Album

Nell’ottobre del 407 a.C. Alcibiade si stabilì a Notio, il porto della città ionica di Colofone. Da lì sperava di sorprendere Lisandro a Efeso, alcuni chilometri a sud-est. Ma commise un errore: partire per assistere il suo amico e compagno Trasibulo nell’assedio di Focea, lasciando il comando della flotta al timoniere della sua nave, Antioco, invece che a un generale o a un altro trierarca, un comandante navale. Antioco aveva l’ordine di mantenere le navi ormeggiate, ma quando scorse la flotta di Lisandro vicino al porto di Notio decise di attaccare, in cerca di una grande vittoria che lo consacrasse alla fama.

Il generale spartano non si fece sfuggire l’occasione e inflisse una severa sconfitta ai disorganizzati ateniesi. Alcibiade fu considerato responsabile del disastro dai suoi compatrioti e dovette andare di nuovo in esilio. Ciononostante, gli ateniesi riuscirono a riprendersi ancora una volta e alla fine dell’estate del 406 a.C. ottennero una grande vittoria nella battaglia delle isole Arginuse, vicino a Lesbo. Gli spartani persero 70 delle loro 115 navi e il loro generale Callicratida morì nello scontro. Ma il trionfo degli ateniesi ebbe un finale amaro: un nubifragio si abbatté sulla flotta vincitrice, causando numerosi morti e naufraghi. I generali non riuscirono a salvare i loro uomini, e quando fecero ritorno ad Atene tutti loro, incluso il figlio primogenito di Pericle, furono condannati a morte.

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Il salvatore di Sparta

Dopo l’inaspettata sconfitta delle Arginuse, gli occhi degli spartani e dei loro alleati si volsero nuovamente verso Lisandro. Gli ambasciatori delle città che appoggiavano Sparta sollecitarono la sua nomina a comandante della flotta, «perché, comandando lui, partecipavano con più volontà a ciò di cui c’era bisogno». Gli spartani accettarono e, dato che una legge proibiva che la stessa persona ricoprisse per due volte la carica di comandante della flotta, gli attribuirono il ruolo di comandante in seconda. Nominalmente il comando fu affidato a un certo Araco, ma in realtà Lisandro ebbe l’incarico di guidare tutte le operazioni. Subito si incontrò a Sardi con Ciro, che gli offrì fondi per la sua spedizione. Quindi intraprese, da Efeso, una campagna che lo avrebbe portato ad attaccare varie città ioniche alleate di Atene per poi dirigersi di nuovo nell’Ellesponto, il punto strategicamente vitale della guerra. La prima città filoateniese che conquistò fu Lampsaco, che fu saccheggiata dai soldati. Allertata, la flotta di Atene si stabilì a Sesto, all’ingresso dell’Ellesponto; poi avanzò fino alla spiaggia di Egospotami, sulla sponda europea del canale, proprio di fronte al luogo in cui aveva attraccato Lisandro.

La flotta ateniese era guidata da sei generali che si alternavano ogni giorno al comando. Tutti loro, temendo che i fondi si esaurissero, desideravano iniziare al più presto la battaglia: quando Alcibiade giunse all’accampamento a cavallo e propose loro una ritirata tattica, lo cacciarono senza pensarci due volte. Per diversi giorni si diressero con la flotta fino alla spiaggia di Lampsaco, cercando di provocare gli spartani, ma Lisandro non raccolse la sfida.

Due opliti si scontrano in combattimento. Vaso attico a figure nere. V secolo a.C. Museo archeologico nazionale, Napoli.

Due opliti si scontrano in combattimento. Vaso attico a figure nere. V secolo a.C. Museo archeologico nazionale, Napoli.

Foto: Dea / Age Fotostock

Il quinto giorno ripeterono la manovra e, vedendo che di nuovo Lisandro rifiutava lo scontro, tornarono sulla spiaggia di Egospotami. I soldati sbarcarono e si dedicarono alle loro faccende: «Se ne erano andati chi a far compere, chi a passeggiare per la campagna, chi a dormire nelle tende, chi a prepararsi da mangiare ben lungi dal supporre quanto stava per accadere a causa dell’imperizia dei loro comandanti», scrive Plutarco.

L’ultimo atto della guerra

Lisandro, che si era già reso conto della scarsa disciplina che regnava nell’accampamento ateniese, passò allora all’azione. Secondo Senofonte e Plutarco, ordinò ad alcune navi vedetta di seguire gli ateniesi e di tornare indietro non appena li avessero visti sbarcare. A metà strada avrebbero dovuto issare a prua uno scudo: questo sarebbe stato il segnale per attaccare. Ricevuto il segnale, la flotta spartana si diresse verso la spiaggia di Egospotami e colse alla sprovvista gli ateniesi. Molti fuggirono allo sbando, molti furono fatti prigionieri e più di cento triremi furono catturate o bruciate. La sconfitta di Atene fu totale. Plutarco scrive che, «saccheggiato l’accampamento, Lisandro ritornò a Lampsaco al suono di flauti e canti di vittoria: con il minimo sforzo aveva compiuto un’ impresa della massima importanza e in una sola ora aveva messo fine alla guerra più lunga».

Triremi greche colpiscono navi persiane a Salamina nel 480 a.C.

Triremi greche colpiscono navi persiane a Salamina nel 480 a.C.

Foto: Akg / Album

In effetti la guerra del Peloponneso si concluse in quel giorno nefasto nell’unico modo possibile: con l’annientamento di uno dei contendenti. La flotta ateniese era stata eliminata e le casse del tesoro ormai vuote non permettevano più di pensare a una rivincita. Sparta ora avrebbe esercitato il suo dominio su tutta la Grecia. Ma ci fu ancora posto per un’ennesima atrocità nella già di per sé sanguinaria guerra tra le due città greche. Insieme alle navi ateniesi, Lisandro portò con sé a Lampsaco oltre tremila prigionieri. Dopo alcuni giorni riunì i suoi alleati perché deliberassero sulla loro sorte. I rappresentanti di città come Corinto, Megara ed Egina, le più colpite dall’imperialismo ateniese, si mostrarono inflessibili. Ricordarono che l’Assemblea ateniese aveva approvato un decreto nel quale ordinava di tagliare le mani ai nemici in caso di vittoria, i massacri compiuti dagli ateniesi nella città di Scione e sull’isola di Melo. Perciò «si decise di condannare a morte tutti i prigionieri ateniesi». Uccidere i prigionieri era contrario agli usi bellici greci, ma, in questa guerra avvelenata ormai da tempo, ogni codice d’onore era stato distrutto.

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