«Tutti gli uomini per natura tendono al sapere». Fu seguendo questo principio, espresso nella Metafisica, che Aristotele visse tutta la sua vita. Non solo s’interessò a ogni disciplina che attrasse la sua curiosità – per quanto sia ricordato principalmente come filosofo –, ma perseguì la verità anche quando significò opporsi a coloro che lo avevano protetto, fossero questi maestri o re. Del suo grande mentore, di cui spesso non condivise le idee, disse una volta: «Platone è mio amico, ma la verità è ancora più mia amica».
Il filosofo di Stagira. Ritratto di Giusto di Gand. 1475 circa. Louvre, Parigi
Foto: Erich Lessing / Album
Una curiosità insaziabile
Aristotele, nato nel 384 a.C. nella città di Stagira – nel nordest della Grecia –, venne al mondo sotto una buona stella: faceva parte di una stirpe di medici che da varie generazioni serviva la famiglia reale di Macedonia e inizialmente il suo destino fu quello di seguire questa strada. Il padre Nicomaco era il medico personale del re macedone Aminta III, padre di Filippo II e nonno di Alessandro Magno: due personaggi che avrebbero influito decisamente sulla vita del polimathes. Ma alla morte di Nicomaco, quando Aristotele aveva solo diciassette anni, il giovane fu affidato alla tutela del parente Prosseno, che si rese conto del suo intelletto straordinario e della sua curiosità insaziabile.
Fu così che Aristotele fu mandato ad Atene per studiare nel miglior luogo possibile per una mente poliedrica come la sua: l’Accademia di Platone. Anche se la grande polis greca aveva perso il potere politico dei tempi di Pericle, era rimasta la capitale ellenica del pensiero e delle arti, e la sua atmosfera aperta e dinamica offriva ai giovani studenti un ambiente ricco di stimoli di ogni tipo. L’Accademia era nota soprattutto per i suoi insegnamenti filosofici ma, proprio come Aristotele, s’interessava a un’ambia gamma di materie, che includevano tanto le scienze naturali come quelle sociali. Platone lo soprannominò “il lettore” per l’avidità con cui divorava le opere della biblioteca dell’Accademia. Il suo stesso nome sembrava un segno del destino, visto che significa “destinato al meglio”.
Aristotele fu mandato ad Atene per studiare all’Accademia di Platone e divenne il suo miglior discepolo
Da alunno a maestro
Il carattere e il pensiero di Aristotele si comprendono meglio confrontandoli con quelli del suo maestro Platone: mentre il secondo era più interessato al mondo delle idee, il suo discepolo preferiva studiare il mondo tangibile. Questa dicotomia fu resa magistralmente dall’artista rinascimentale Raffaello Sanzio, che la riprodusse nel famoso affresco La scuola di Atene nel palazzo Apostolico del Vaticano: al centro dell’opera figurano Platone e Aristotele, che indicano rispettivamente il cielo e la terra.
In questo particolare del celebre affresco di Raffaello, 'La scuola di Atene', l’anziano Platone indica il cielo e il giovane Aristotele la terra. Musei Vaticani
Foto: Oronoz / Album
Platone era un pensatore idealista, secondo cui il mondo degli uomini era solo il riflesso pallido e corrotto di un mondo superiore e perfetto. Aristotele si caratterizzava invece per il pragmatismo: preferiva studiare il mondo che poteva vedere, toccare e ascoltare. Benché sia ricordato come filosofo, dedicò gran parte dei suoi studi alla biologia, alla botanica e alla medicina, e perfino nell’ambito delle scienze sociali divenne molto esperto: le sue ricerche sulla politica e la storia sono guidate dai principi di Tucidide, che concepiva il mondo in base a una logica causa-effetto che non aveva nulla a che vedere con la volontà divina o con una giustizia superiore. Questa visione avrebbe influito in modo determinante sul pensiero e le scelte esistenziali di Aristotele, come quella di diventare maestro di Alessandro Magno.
Nonostante la netta opposizione tra la sua visione del mondo e le critiche dell’alunno al pensiero platonico in quasi tutti i suoi aspetti, l’anziano maestro lo considerava il suo miglior discepolo e, in parole sue, «la mente della scuola». Per questo dopo vent’anni trascorsi all’Accademia – prima come studente e poi come maestro – sembrava dovesse essere il successore naturale di Platone quando questi morì nel 347 a.C. Tuttavia Aristotele era un meteco – uno straniero, e non un cittadino della polis – e secondo la legge ateniese questo gli impediva di dirigerne le istituzioni. La successione ricadde su Speusippo, nipote di Platone, e Aristotele accettò l’invito di Ermia, amico e antico compagno dell’Accademia divenuto nel frattempo tiranno della città di Atarneo in Asia Minore, sulla costa occidentale dell’attuale Turchia.
Il precettore di Alessandro Magno
Aristotele rimase in Asia per tre anni e aprì la propria Accademia nella città di Asso, dove sposò Pizia, cugina di Ermia, con cui ebbe una figlia. Ma il soggiorno cessò bruscamente quando il suo protettore fu assassinato e lui dovete fuggire a Mitilene, sull’isola di Lesbo, dove continuò con la sua scuola. Tuttavia poco dopo ottenne l’incarico più importante della sua vita: il re Filippo II di Macedonia, ricordando il figlio del medico che aveva assistito suo padre e avendo saputo della sua fama, gli offrì di entrare a far parte del circolo di precettori del figlio Alessandro, che stava educando come suo successore.
Nel 347 a.C. Aristotele si stabilì ad Asso, nell’attuale Turchia. Nella foto, il teatro della città
Foto: René Mattes / Gtres
Per il principe macedone il maestro greco fu forse la persona più influente della sua vita. Da lui apprese le gesta degli eroi omerici – con una particolare predilezione per Achille, con cui s’identificava – e l’interesse per il vasto mondo che si estendeva oltre i confini della Grecia, di cui volle raggiungere il limite. Aristotele stimolò la sua curiosità e gli insegnò le qualità di un governante che desideri essere ricordato per sempre. Gli mostrò il cammino per poter essere più di Alessandro III di Macedonia e trasformarsi nella leggenda immortale chiamata Alessandro Magno, il conquistatore che in meno di dieci anni avrebbe ottenuto l’inimmaginabile: conquistare l’immenso impero persiano.
Per Alessandro Magno il suo maestro Aristotele fu forse la persona più influente della sua vita
I loro cammini si separarono due anni dopo, quando Alessandro terminò la formazione accademica e cominciò l’addestramento militare, ma il principe non dimenticò mai il suo maestro e durante la conquista dell’Asia raccolse per lui campioni di flora e fauna locali dei luoghi da cui passò. Un nipote e discepolo di Aristotele, Callistene, lo accompagnò nelle sue spedizioni come storico personale. Tuttavia le critiche al re macedone e il sospetto della sua implicazione in una congiura contro Alessandro lo fecero cadere in disgrazia. Essendo greco, non poteva essere processato secondo la legge macedone, ma fu incarcerato e morì poco dopo, d’inedia o in seguito a torture o avvelenamento. La morte del nipote allontanò definitivamente Aristotele dal suo discepolo più celebre, che ai suoi occhi si era ormai trasformato in un tiranno.
Aristotele precettore di Alessandro Magno
Foto: Pubblico dominio
Il ritorno ad Atene
Dopo aver concluso l'incarico in Macedonia Aristotele tornò per alcuni anni alla città natale, Stagira. La moglie Pizia era morta e lui cominciò una relazione con una donna di nome Erpillide, forse una sua serva: non è documentato se i due si sposarono, ma lei gli diede un secondo figlio, Nicomaco. Nel 335 a.C., dopo che la Macedonia aveva affermato il suo potere militare sulla Grecia, grazie alla protezione garantitagli per essere stato il precettore del principe e poi re Alessandro decise di tornare alla città della sua formazione: Atene.
A quasi cinquant'anni e ormai famosissimo, Aristotele tornò ad Atene e vi fondò la propria scuola, il Liceo
Aristotele aveva ormai quasi cinquant’anni e godeva di una grandissima fama, e ciò gli permise di fondare la propria scuola, il Liceo, malgrado le limitazioni che anni prima gli avevano impedito di assumere la guida dell’Accademia platonica. Presto giunse da lui un gran numero di discepoli, che chiamava “peripatetici” (dal greco peripatein, "passeggiare", perché aveva l’abitudine d’insegnare camminando). Dopo la morte del fondatore la scuola peripatetica prese una strada più incentrata sulle scienze naturali, al contrario di molte altre che davano maggior peso alle scienze sociali. Fu in questo periodo che Aristotele scrisse buona parte delle opere che ci sono arrivate. Molte di queste erano in origine materiale preparatorio per le lezioni e furono raccolte più tardi dai discepoli o da altri seguaci del pensiero aristotelico.
Copia romana in alazzo Altemps del busto di Aristotele di Lisippo
Foto: Pubblico dominio
Il suo ultimo soggiorno ad Atene durò poco più di dieci anni: nel 323 a.C. la morte di Alessandro Magno fece risorgere gli animi antimacedoni della città, guidati dall’oratore Demostene. Anche se Aristotele si era distanziato completamente dall’antico discepolo, considerò più prudente allontanarsi dalla città: appena in tempo, perché i suoi nemici lo accusarono di empietà, lo stesso crimine per cui la democrazia ateniese aveva condannato a morte Socrate. Si rifugiò a Calcide, nell’isola di Eubea, dove morì il 7 marzo dell’anno seguente in circostanze bizzarre che, secondo alcune teorie non dimostrate, farebbero pensare a un avvelenamento.
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Un pensatore dalle mille sfaccettature
Aristotele, insieme al maestro Platone e ad altri eruditi come Tucidide, da cui si abbeverò, è uno dei pensatori più importanti dell’antichità, specialmente per la storia del Vecchio continente, da lui profondamente influenzata. Attraverso il suo discepolo Alessandro la cultura ellenistica giunse al cuore di Asia ed Egitto, dove il re macedone fondò la città destinata a diventare il nuovo faro del pensiero: Alessandria.
La sua inesauribile curiosità, l’ampiezza dei suoi interessi e il suo attaccamento alla realtà e allo studio pratico fecero di Aristotele un pensatore sfaccettato che marcò un punto d’inflessione non solo nella filosofia, ma nella conoscenza in generale. La sua eredità fu raccolta dai romani, dagli arabi e dai persiani, fino a raggiungere l’Italia del Rinascimento e le stanze vaticane decorate da Raffaello. Dal meraviglioso affresco, in compagnia del suo maestro, a più di duemila anni di distanza ci lancia un doppio messaggio: guardare la cielo, ma con i piedi piantati in terra. Un’opposizione che il geniale pittore di Urbino ha saputo rendere complementarietà.
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