Antigone e il potere della scelta solitaria

Simbolo di lotta e determinazione, Antigone è una giovane donna vittima e allo stesso tempo eroina, l'unica capace di sfidare il tiranno Creonte e le leggi della polis pur di dare sepoltura al suo amato fratello Polinice. Nel corso dei secoli, e in particolare nel novecento, la sua figura è divenuta sinonimo di resistenza e rivendicazione

«L’odio incombe su Tebe come un sole atroce [...] I cuori sono aridi come i campi; il cuore del nuovo re è arido come la roccia. Tanta aridità chiama il sangue [...] La sola Antigone, vittima del diritto divino, ha ricevuto come appannaggio l’obbligo di perire, e questo privilegio può spiegare il loro odio». Spettinata, sudata, nell’ombra della notte la giovane protagonista del racconto Antigone o la scelta (1936) di Marguerite Yourcenar si fa strada tra i carri armati e i cadaveri. Sfidando l’editto dello zio, il re Creonte, cerca di seppellire le spoglie abbandonate del caro fratello Polinice.

In Yourcenar, come nella tradizione antica su cui il racconto si basa, Antigone è vittima, o anche coraggiosa eroina che contrasta da sola l’implacabile Creonte. La sua colpa è quella di aver trasgredito il decreto che vieta di sotterrare il nemico principale della polis di Tebe, Polinice, e pure quella di aver voluto sfidare il tiranno. La giovane incarna quindi la disobbedienza civile e la lotta contro la cieca autorità, tanto che ancora ai nostri giorni viene accostata a molte polemiche che coinvolgono la politica, il femminismo, i diritti degli emarginati, la giustizia e perfino la bioetica, come avviene nell’opera teatrale di Valeria Parrella, Antigone (2012).

Antigone. Olio di Frederic Cameron Leighton, 1882

Antigone. Olio di Frederic Cameron Leighton, 1882

Foto: Pubblico dominio

Le origini di Antigone

Difatti, a partire dalla tragedia che l’ha resa famosa, l’Antigone di Sofocle, rappresentata ad Atene nel 442 a.C., questa ragazza che si confronta al potere nell’indifferenza generale non ha mai smesso di affascinare attivisti, scrittori, drammaturghi e filosofi. In realtà la giovane paga anche lo scotto di appartenere a una famiglia su cui gli dei hanno scagliato una maledizione. Lo ricorda Sofocle e, prima di lui, Eschilo nei Sette a Tebe. Quale sarebbe la terribile maledizione che perseguita lei, il padre Edipo, la madre Giocasta e i fratelli Eteocle e Polinice?

Salita alla ribalta nel teatro classico del V secolo a.C., la famiglia di Edipo è la protagonista di uno dei miti greci più strazianti e suggestivi. Tutto ha inizio con Edipo, abbandonato alla nascita dal padre Laio, re di Tebe, perché, secondo l’oracolo di Delfi, il figlio l’avrebbe poi ucciso per sposarne la moglie, Giocasta. Edipo viene però salvato da alcuni pastori e cresciuto dai sovrani di Corinto, che tacciono sulle sue vere origini. Ma la sorte è destinata a compiersi ugualmente: per errore, nel viaggio da Corinto a Tebe, Edipo uccide Laio e, dopo aver risolto l’enigma della temibile Sfinge, diviene regnante della città sposando Giocasta, la madre.

Edipo e la Sfinge. Dipinto di Jean Auguste Dominique Ingres. 1808-27

Edipo e la Sfinge. Dipinto di Jean Auguste Dominique Ingres. 1808-27

Foto: Pubblico dominio

Secondo un poema epico dell’VIII secolo a.C. andato quasi interamente perduto, l’Edipodia (attribuito a Cinetone di Sparta), dall’unione con Giocasta Edipo non ha prole. Secondo la versione dei drammaturghi classici, giacendo con la madre genera invece quattro figli: Eteocle, Polinice, Ismene e Antigone. Ma in tutto ciò Edipo vive ancora all’oscuro. Quando a Tebe scoppia una terribile pestilenza, il re cerca di capire perché gli dei vogliano punire la città: la verità del parricidio e dell’incesto viene scoperta, Giocasta s’impicca e Edipo si acceca, lasciando poi Tebe in compagnia di Antigone. Nel frattempo Eteocle e Polinice si spartiscono il governo, ma allo scadere del mandato Eteocle si rifiuta di passare le consegne a Polinice, che chiama a sé l’esercito argivo, come descritto nei Sette a Tebe. Al culmine della battaglia i due fratelli si trafiggono a vicenda. Tocca ora a Creonte, fratello di Giocasta, salire al trono. Decreta per il difensore della patria, Eteocle, sepolture degne di un eroe, ed emana un editto che impedisce di inumare Polinice, destinato perciò a vagare come un’ombra nell’Ade.

Simbolo di lotta e rivendicazione

Per questo interviene Antigone, tornata ora a Tebe. Non accetta la legge di Creonte e, di nascosto, prova a coprire di terra Polinice. Creonte la scopre e la condanna a essere murata viva. Ma nella tomba della giovane è riuscito a nascondersi Emone, il figlio di Creonte e compagno di Antigone, che si trafigge con la spada dopo lei s'impicca. Dilaniata dal dolore, anche la madre di Emone si suicida, ponendo fine anche alla stirpe del tiranno Creonte, contro il quale i tebani non avevano avuto il coraggio di ribellarsi.

Antigone prova a seppellire Polinice. Olio di Jean-Joseph Benjamin-Constant. Olio su tela. 1868

Antigone prova a seppellire Polinice. Olio di Jean-Joseph Benjamin-Constant. Olio su tela. 1868

Foto: Pubblico dominio

Dell’Antigone di Sofocle sono rimaste impresse alcune affermazioni, che segneranno le riscritture seguenti. Riguardano in particolare due aspetti: il contrasto politico tra Creonte e Antigone e lo status di donna della ragazza. All’inizio del dramma, infatti, Ismene cerca di dissuadere la sorella ricordando: «Bisogna pensare che due donne siamo, e non siamo nate per lottare contro uomini». Le fa eco un feroce scambio di battute tra Antigone e Creonte: «Non condivido l’odio, ma l’amore», afferma la giovane, e le ribatte così lo zio: «Scendi sotterra e amali, se devi: mai, finch’io viva, prevarrà una donna».

Non solo: Antigone si appella al rispetto delle leggi «non scritte, e innate, degli dèi», che prevedono per un corpo la giusta sepoltura; Creonte rivendica la legittimità del diritto di stato, che punisce il ribelle. Antigone difende la sacralità della famiglia, Creonte il proprio governo. L’empietà proclamata da Creonte è per Antigone pietà, e i due non trovano mai un punto d’accordo.

Per secoli il contrasto tra Antigone e lo zio sembra rimanere nell’ombra, e torna ad animare la sensibilità degli artisti quando nella società occidentale s’inizia a riflettere sull’individuo come parte del corpo sociale. Nella Fenomenologia dello spirito (1807), il filosofo Hegel vedrà in Creonte e Antigone due possibilità etiche inconciliabili: la vergine greca rappresenta l’espressione dell’oikos, casa o famiglia, mentre Creonte è il portavoce della polis, con le sue leggi scritte e ufficiali.

Eteocle e Polinice. Giovanni Silvagni. 1800 circa

Eteocle e Polinice. Giovanni Silvagni. 1800 circa

Foto: Pubblico dominio

Sorte sempre dalla tragedia sofoclea, le numerose riscritture del mito puntano proprio su uno di questi due aspetti: sulla rivendicazione femminile o sulla difesa del singolo, o della famiglia, minacciati da stati e dittature. E non è un caso che, tranne pochi precedenti, come in Alfieri e Racine, la maggior parte delle riletture compaia nel XX secolo, periodo di guerre cruente e fratricide nonché di lotte femministe. Numerose pensatrici, tra cui Luce Irigaray, Judith Butler e Adriana Cavarero, si riconosceranno nella figlia di Giocasta, sola, in lotta con il patriarcato, intessendo un lungo dibattito che mira a scardinare la famosa affermazione dell’Ismene sofoclea.

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Antigone va in guerra

Non solo: le molte riscritture del XX e XXI secolo, soprattutto di ambito politico, tendono a mostrarsi nella forma teatrale perché, come nella tragedia classica, il palcoscenico è luogo di scontro e catarsi nonché strumento per coinvolgere il pensiero critico degli spettatori.

Varrà quindi la pena ricordare due famose interpretazioni teatrali di Antigone – di Jean Anouilh (1941-42) e di Bertolt Brecht (1947) – che si riferiscono entrambe alla Seconda guerra mondiale. Nell’opera di Anouilh, nata durante il governo collaborazionista francese di Pétain, Antigone è un’infantile borghese che compie un gesto disperato, consapevole di non avere prospettive. Creonte è invece un pragmatico legislatore, ma la sua punizione è destinata a divenire una colpa collettiva, come urla il Coro: «Non lasciar morire Antigone, Creonte! Porteremo tutti questa piaga al costato per secoli!». La guerra è protagonista pure in Brecht, che apre la tragedia con la straziante immagine di un Polinice impiccato dalle SS ed esposto in strada nella Berlino dell’aprile 1945. Disertore, è punito dal regime nazionalsocialista di cui Creonte è rappresentante, e Antigone oppositrice.

Come eroina del dissenso politico, Antigone cambierà maschera più e più volte: è ad esempio simile alle madri argentine di plaza de Mayo, che lottano contro la dittatura e chiedono notizie dei loro figli desaparecidos nell’opera Antigone furiosa (1986) di Griselda Gambaro. Oltre a ciò, Antigone diviene anche simbolo dell’esilio e della marginalità durante e dopo la guerra civile spagnola, quel conflitto fratricida che tanto ricorda lo scontro tra Eteocle e Polinice. Tra gli altri, sia il catalano Salvador Espriu sia la spagnola María Zambrano dialogano con la figlia di Edipo durante i duri anni del franchismo. Nella Tomba di Antigone (1967) Zambrano fa della vergine una figura della pietà, che riesce finalmente a purificarsi negli ultimi istanti della sua vita. Più cinico, Espriu la rende simbolo del perdono, ma lascia intendere che il suo sacrificio sarà inutile.

Se in scena e nella storia nulla cambia, è perché gli uomini, gli spettatori, sono stati e sono ancora carnefici, non soltanto vittime. Il colpevole ora non è unicamente Creonte, con le sue leggi che non contemplano l’amore: il colpevole è il silenzio di chi a Creonte non si oppone né si assume le proprie responsabilità individuali, come invece fa l’eroina sofoclea. Lo sottolinea pure la celebre e provocatoria messinscena di Antigone del Living Theatre, presentata in tournée negli stessi anni in cui il mondo si confronta con la guerra in Vietnam: subito prima degli applausi gli attori si allontanano impauriti dal pubblico, assassino più dei legislatori. Ecco quindi spiegato l’eterno fascino di questa piccola, giovane donna immortalata da Sofocle: continuerà a rivivere ogni volta che potrà sfidare le imposizioni o l’indifferenza. Sempre sola, spettinata, armata di compassione e testarda, perché mossa dal sentire del proprio cuore. «Il pendolo del mondo è il cuore di Antigone», chiude del resto così il suo meraviglioso racconto Marguerite Yourcenar.

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