Nel 1824 giunse a Torino la collezione di antichità egizie di Bernardino Drovetti, console generale di Francia in Egitto. Acquistata dai Savoia per 400mila lire piemontesi, costituì il primo nucleo del Museo egizio di Torino. Tra i reperti della raccolta si trova un papiro, unico nel suo genere, che mostra immagini che possono a prima vista definirsi pornografiche. Questo papiro sconvolse gli studiosi di allora che, abituati ad apprezzare gli egizi per la loro compostezza, saggezza e devozione verso gli dei, scoprivano ora un volto inedito di questa antica civiltà.
Frammenti del papiro erotico esposti a Torino
Foto: Pubblico dominio
Censura
Jean-François Champollion, che aveva decifrato i geroglifici solo due anni prima, era l’unica persona che fosse in grado di studiare il papiro, e quando lo prese tra le mani rimase scandalizzato dalle scene rappresentate. In una lettera al fratello Jaques-Joseph, datata 6 novembre 1824, lo descrisse come «un’immagine di un’oscenità mostruosa». Proprio a causa della sua licenziosità, nel primo volume dedicato al patrimonio papiraceo del Museo egizio di Torino vennero censurate alcune sue parti ritenute oscene, in primis gli enormi membri degli uomini. Si dovette attendere fino al 1973 perché fosse pubblicato integralmente.
Quando il papiro era giunto a Torino, nel 1824, era in pessime condizioni e fu oggetto di vari restauri, che spesso si rivelarono dannosi e che portarono alla quasi totale scomparsa del colore originario. Ora, dopo un accurato intervento di pulitura, restauro e consolidamento iniziato nel 2019, il papiro è nuovamente visibile al pubblico.
Deir el-Medina
Il papiro fu vergato nel villaggio di Deir el-Medina intorno al 1150 a.C., durante il regno del faraone Ramesse III, nella XX dinastia. In questa vivace comunità vivevano coloro che scavarono e decorarono le tombe della Valle dei Re e delle Regine: operai, artisti, scribi che godevano di grandi privilegi derivati dall’importanza del lavoro svolto. Erano ben retribuiti, ma non potevano uscire dal villaggio e avere contatti con estranei poiché il segreto dell’ubicazione delle tombe reali doveva essere mantenuto. Per essere sicuri che nessuno uscisse dal villaggio senza permesso, Deir el-Medina era circondata da un muro con una sola porta che veniva chiusa durante la notte. I suoi abitanti vivevano in una sorta di prigionia dorata, compensata dalla relativa agiatezza della loro condizione di vita, invidiabile rispetto a quella della maggior parte della popolazione.
Frammento del papiro di Torino in cui è raffigurata una banda di musici composta da leoni, scimmie, coccodrilli e asini
Foto: Museo egizio di Torino
Le due “facce” di uno stesso papiro
Il papiro, materiale molto costoso, era utilizzato per testi importanti, mentre per appunti o brutte copie si utilizzavano gli ostrakon, cocci di vasi o scaglie di calcare che non costavano nulla. Le immagini riprodotte sul nostro papiro sono invece di splendida fattura, eseguite con estrema perizia e abilità tecnica da uno sconosciuto artista di Deir el-Medina. L’alta qualità delle immagini non deve stupire, poiché la loro provenienza indica che l’ignoto artista faceva parte di quelli che decorarono le magnifiche tombe della Valle dei Re e delle Regine. Il papiro in questione era quindi destinato a una persona che faceva parte dell’élite degli scribi del villaggio.
A Deir el-Medina c’erano molti scribi che possedevano biblioteche personali, come quella dello scriba Qenherkhepeshef, che comprendeva testi poetici e medico-scientifici. In altre biblioteche ci saranno stati senz’altro anche testi licenziosi, come il papiro erotico giunto a Torino nel 1824. Lungo 261 cm e alto 22, il papiro va letto da destra verso sinistra ed è composto da due parti che a prima vista non sembrano avere nulla a che fare l’una con l’altra, ma che in realtà sono pervase dallo stesso spirito ironico. Nella parte destra ci sono scene satiriche, con rappresentazioni di animali intenti in attività umane, in una sorta di mondo alla rovescia: un gatto che porta a passeggio delle oche, topi che assediano una città di gatti, animali che suonano, un corvo che utilizza una scala per salire su un albero dove un ippopotamo è appollaiato sopra un ramo. Nella parte sinistra, lunga 173 cm, troviamo invece immagini licenziose: dodici scenette di sesso ambientate in un ambiente chiuso, probabilmente un bordello, dove uomini e donne si uniscono in acrobatici amplessi.
Un fumetto erotico- satirico
Le donne, bellissime, dai corpi armoniosi e curati, indossano gioielli e parrucche sormontate da fiori di loto, gli uomini invece sembrano quasi caricaturali: tozzi, con la pancia, pelati o con qualche sparuto ciuffo di capelli, e con la barba incolta. Questa trascuratezza tradisce la loro appartenenza allo strato più basso della popolazione, che non aveva né i mezzi né il tempo per prendersi cura del proprio aspetto fisico. Peggiora la loro già sgraziata figura il pene di dimensioni colossali, talmente sproporzionato da tendere al ridicolo.
Le piccanti scenette sono accompagnate da un testo in ieratico – una sorta di corsivo del geroglifico –, che trasforma questo papiro in un vero e proprio fumetto. Il testo, rovinato e frammentario, è ancora a tratti decifrabile e rivela tutta la comicità delle situazioni rappresentate. Nella terza scenetta, ad esempio, è disegnata una donna seduta su uno sgabello; con una mano si tiene le gambe, mentre con l’altra prende il fallo del cliente, distratto, che sembra titubante sul da farsi. Lei lo incita dicendogli: «Io faccio sì che il tuo diventi un piacevole lavoro, non avere paura… mi giri intorno! Guarda qui, torna in te, dentro di me. Tu non mi hai preso… amami, mio bastardo». Oppure, nella sesta “vignetta”, si vede un uomo caduto dal letto, forse a causa del peso del suo enorme pene, lasciando così sola l’amata. L’uomo da terra si lamenta esclamando: «Il mio grande fallo… soffro».
Il dio della fertilità Min raffigurato con il fallo eretto. Deir el-Medina
Foto: SFEC_2009_POT-0013.JPG, shorturl.at/hjPS4
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Una lettura tra il piccante e l'ironico
Alcuni ritengono che questo papiro sia pornografico, ma la realtà sembra essere molto diversa. Nell’antico Egitto la sessualità non era un tabù, e dunque la pornografia, nell’accezione negativa che oggi le diamo, non aveva ragione d’essere. Nel panteon egizio troviamo divinità rappresentate con il pene eretto, come il dio Min, oppure immagini di amplessi divini in cui nulla è lasciato all’immaginazione. O ancora, secondo il mito della creazione della città di Eliopoli, il dio solare Atum per dare origine a tutto ciò che esiste si masturbò. Allora come oggi, quando ci si trova davanti a simili immagini, ci si imbarazza, ma allo stesso tempo si sorride divertiti.
Quella del papiro era appunto una lettura satirico-erotica, non pornografica. Testimonianze come questa sono importanti, perché raccontano gli egizi in maniera diversa rispetto a quello che ha sempre fatto la storiografia ufficiale. La lontananza di questo papiro dalla fredda etichetta dell’ufficialità permette d’intravedere un Egitto più intimo e proprio per questo più vero.
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