Alla vigilia della marcia su Costantinopoli che, nel 1081, consentì ad Alessio Comneno di ottenere il titolo di imperatore, la situazione in cui si trovava l’impero bizantino era a dir poco convulsa. Nei cinquant’anni precedenti una serie di congiure di palazzo e di rivolte armate aveva portato alla successione di ben tredici fra imperatori e imperatrici: fra essi anche uno zio di Alessio, Isacco Comneno, un generale originario dell’Asia Minore che nel 1057 aveva spodestato Michele VI, l’epigono della cosiddetta dinastia macedone, e che tuttavia due anni più tardi era stato costretto a deporre a sua volta la porpora per lasciare campo libero alla nuova dinastia dei Ducas.
Alessio I Comneno, mosaico del 1122 circa, Santa Sofia, Istanbul
Foto: Oronoz / Album
Una simile, reiterata fragilità politica aveva probabilmente concorso a rendere inefficaci le misure messe in atto per far fronte agli attacchi che, da più parti, minavano l’integrità dell’impero, quanto mai in discussione a partire dalla metà dell’XI secolo.
A nord il confine balcanico era posto sotto pressione dalle ripetute incursioni degli ungari e dei peceneghi. A occidente, nell’Italia meridionale, i normanni erano dilagati ovunque, arrivando nel 1071 a strappare a Bisanzio un’importante testa di ponte come la città di Bari. A oriente, soprattutto, la minaccia dei turchi selgiuchidi aveva assunto connotati drammatici, giacché essi nel 1071 avevano sconfitto e catturato l’imperatore romano IV Diogene nella battaglia di Mantzikert, nei pressi del lago di Van. Tale episodio, a torto o a ragione, è stato associato al rapido cadere dell’Asia Minore nelle mani dei turchi.
L’impero sotto attacco
Fu dunque nel segno delle urgenze militari e delle turbolenze politiche che, negli anni settanta dell’XI secolo, prese il via la carriera di Alessio. Brillante generale sotto l’imperatore Niceforo Botaniate, per il quale aveva rintuzzato le sollevazioni di Niceforo Briennio prima e di Niceforo Basilacio poi, Alessio colse repentinamente l’opportunità di assurgere alla vetta dell’impero nel 1081, quando – piuttosto che per stroncare una nuova ribellione, sobillata da Niceforo Melisseno – impiegò le proprie truppe per marciare direttamente su Costantinopoli: accordatosi con la guarnigione mercernaria a difesa della città, Alessio riuscì a penetrare agevolmente le possenti difese di essa, dando luogo a tre giorni di saccheggio. Sarebbe tuttavia un errore attribuire un carattere esclusivamente militare a tale colpo di mano, giacché esso a ben vedere venne accompagnato da una lungimirante strategia politica: Alessio si era infatti da poco sposato con Irene Ducas, legando così fra loro due fra le famiglie più potenti dell’impero, precedentemente nemiche e ora invece alleate.
Il castello di Bari, edificio normanno-svevo edificato in una zona periferica dell'antica città bizantina
Foto: Age Fotostock
Un’accorta combinazione fra forza militare e scaltrezza politica fu da subito la soluzione adottata da Alessio per fronteggiare efficacemente – e spesso simultaneamente – i propri nemici. Fra 1081 e 1082, per esempio, Alessio optò per concedere ai turchi selgiuchidi quanto da essi conquistato in Asia Minore negli anni precedenti, in modo da conservare almeno formalmente la propria sovranità sui territori perduti ed evitare per il momento l’intervento dell’esercito: esso fu piuttosto impiegato per fronteggiare all’altro capo dell’impero la minaccia normanna, poiché gli uomini di Roberto il Guiscardo avevano attaccato Durazzo e da lì erano dilagati nell’Epiro, in Macedonia e in Tessaglia. Alessio si vide peraltro costretto a ricorrere a costose truppe mercenarie e, soprattutto, a stringere onerosi accordi con Venezia al fine di sfruttarne la flotta: gli sforzi profusi condussero effettivamente alla progressiva ritirata normanna, un risultato che i veneziani si fecero retribuire con esenzioni doganali senza precedenti.
Pochi anni dopo si profilò all’orizzonte una nuova emergenza: nel 1090 Costantinopoli arrivò ad essere assediata via mare dall’emiro turco di Smirne, e contemporaneamente via terra dai peceneghi. Nuovamente Alessio riuscì ad avere ragione dei suoi nemici, calibrando con cura le forze a disposizione: contro Smirne istigò efficacemente i turchi di Nicea, mentre poté contare sul supporto dei cumani per respingere a nord i peceneghi, definitivamente sconfitti l’anno seguente a Levounion.
Le fibrillazioni lungo i confini dell’impero a ogni modo perdurarono: nel 1094 Alessio fu costretto a interrompere una campagna di consolidamento contro i serbi per far fronte proprio a un’insurrezione dei cumani, alla cui testa si era posto un pretendente al trono che si spacciava per Costantino Diogene, figlio dell’imperatore Romano IV. Catturato con uno stratagemma Costantino, l’esercito cumano venne rapidamente disperso.
La basilica di Santa Sofia fu sede di importanti cerimonie imperiali, tra cui l’incoronazione di Alessio I
Foto: Jean-Baptiste Rabouan / Gtres
Il supporto alla crociata
Conscio dei limiti dei mezzi a disposizione, negli anni Alessio aveva più volte chiesto supporto ai grandi signori dell’Occidente, per esempio a Roberto di Fiandra. Nel 1095, in un frangente particolarmente delicato per l’impero, i suoi ambasciatori avevano recato la sua richiesta di aiuto a papa Urbano II, a Piacenza. Probabilmente Alessio non sospettava che tale ambasceria avrebbe di lì a breve concorso alla promulgazione della Prima crociata, la cui idea di fondo era peraltro sostanzialmente estranea al mondo bizantino: nell’ottica imperiale la Terrasanta era una regione di antica pertinenza bizantina, e dunque la riconquista di essa non si sarebbe dovuta configurare come un obbligo della cristianità del suo complesso, ma al più come un compito dell’impero.
L’atteggiamento di Alessio nei confronti dei crociati fu prudente, quando non diffidente: del resto cospicue porzioni del composito fronte crociato finirono per creare non pochi problemi nei territori dell’impero che si trovarono ad attraversare, sia in termini di logistica sia di ordine pubblico. Significativamente, Alessio fece sì che i grandi condottieri occidentali che avevano preso parte alla crociata, e che fra il 1096 e il 1097 si trovarono a transitare nei pressi di Costantinopoli, gli giurassero fedeltà e, come contropartita del supporto imperiale, s'impegnassero a restituirgli le città un tempo appartenenti all’impero.
Sulle prime l’accordo sembrò funzionare: Nicea, conquistata nel giugno del 1097, venne occupata da una guarnigione bizantina e fu impiegata dalle truppe imperiali come testa di ponte per recuperare l’Asia Minore occidentale. Ma l’anno successivo il rapporto fra i crociati e l’imperatore s'incrinò: Antiochia, riconquistata nel 1098, non venne restituita ad Alessio, e anzi il normanno Boemondo istituì lì un proprio principato indipendente. Non si trattò di un episodio isolato, ma di una soluzione che finì per assurgere a regola, e che in breve orientò gli esiti geopolitici della Prima crociata. Quanto meno, ciò lasciò liberi i bizantini di concentrare i propri sforzi in Asia Minore: complice la frantumazione del potere turco, nel volgere di pochi anni l’impero riuscì ad avviare una concreta politica di recupero.
Alessio riceve il crociato Goffredo di Buglione che gli presta atto di fedeltà. Olio di A. Hesse, XIX secolo, palazzo di Versailles
Foto: Gérard Blot / RMN
Il contrasto con Boemondo di Antiochia, peraltro, lungi dall’esaurirsi con la Prima crociata, si trascinò per non meno di dieci anni. Affidata Antiochia al nipote Tancredi, Boemondo condusse in Occidente una martellante campagna denigratoria ai danni dell’imperatore bizantino, accusato di aver sabotato la crociata: il suo scopo era quello di radunare un nuovo esercito, con il quale nel 1107 sbarcare a Valona e marciare poi su Durazzo.
Nel 1108 Boemondo fu definitivamente sconfitto: Alessio abbinò alla nuova vittoria sui normanni il rafforzamento della posizione di Bisanzio nella penisola balcanica, anche guardando in prospettiva al peso via via crescente che aveva acquisito l’Ungheria. Non a caso il successore designato al trono imperiale, il figlio Giovanni, venne fatto sposare a una principessa ungherese.
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All’interno dell’impero
Alessio non dovette far fronte solo ai pericoli che dall’esterno minacciavano l’impero: anche i problemi che ne minavano dall’interno il funzionamento furono oggetto d’intervento, benché non sempre con risultati apprezzabili.
L’imperatore Alessio I Comneno è raffigurato sul rovescio di un hyperpyron in oro, introdotto nel 1092 con una riforma della monetazione bizantina
Foto: Art Archive
Si prenda il precario quadro economico di Bisanzio: le difficoltà finanziarie ereditate si andarono a sommare a quelle prodotte dall’impegno militare a cui Alessio fu ripetutamente costretto. Per tenervi testa inasprì il regime fiscale, mostrandosi nei fatti incapace di porre un freno alla crescente iniquità del sistema di riscossione dei tributi, perlopiù in balìa dell’arbitrio di esattori e appaltatori. Il reiterato ricorrere alla svalutazione monetaria, una pratica di per sé non nuova, tanto più nella Bisanzio dell’XI secolo, portò alla circolazione, accanto ai vecchi nomisma d’oro, di nuove monete dal valore intrinseco inferiore, il che generò soprattutto con l’estero non pochi problemi di flussi. Difficile tacere, inoltre, dell’impatto negativo che ebbe sul commercio bizantino la penetrazione delle repubbliche marinare italiane – Venezia e Pisa in testa –, forti di posizioni di privilegio inconcepibili appena pochi decenni prima.
Da un punto di vista amministrativo Alessio si direbbe aver lavorato affinché la pronoia – cioè la concessione a terzi, da parte dello stato, di un bene materiale formalmente non alienabile o ereditabile, di contro alla prestazione di uno specifico servizio – assumesse una valenza militare, evidentemente a tutto vantaggio della potenza bellica di Bisanzio. Questo è stato sovente interpretato come un elemento di feudalizzazione dell’impero: si tratta per la verità di un punto controverso, giacché applicare alla realtà bizantina gli schemi della feudalità occidentale potrebbe rivelarsi inopportuno.
Meno controverse, invece, risultano le ripercussioni sociali e politiche dell’operato di Alessio. La dinastia comnena avallò il definitivo imporsi dell’aristocrazia fondiaria (che gli studiosi di Bisanzio hanno a lungo distinto, non senza qualche forzatura, in civile e militare), a discapito di quella piccola proprietà contadina che aveva in precedenza costituito l’ossatura militare e tributaria dell’impero. Il latifondo, oggetto spesso di esenzione fiscale e persino di immunità giuridica, arrivò a dominare la scena. La vera chiave di volta del regno di Alessio fu tuttavia l’appropriazione dei vertici dell’impero da parte della compagine familiare dei Comneni e dei Ducas, appropriazione che si riverberò nella riforma che investì i titoli di corte: Alessio ne creò di nuovi per le più alte cariche dello stato, che assegnò in larga parte ai propri familiari. Va da sé come i precedenti titoli finirono in breve per risultare svalutati.
Con il crescere della sua potenza commerciale, Venezia si emancipò sempre più da Costantinopoli
Foto: Masterfile / Latinstock
Il rafforzamento ad opera di Alessio non solo dell’impero, ma anche della figura dell’imperatore, si può probabilmente dedurre anche dalla capacità di questi di fronteggiare la saltuaria ma decisa opposizione della Chiesa bizantina. Alessio entrò in frizione con essa in occasione delle guerre contro i normanni prima e contro i peceneghi poi, quando si vide costretto a requisire i tesori ecclesiastici per finanziare le spese militari dell’impero. Non solo: l’istituto del charisticium, attraverso il quale Alessio si arrogò ripetutamente il diritto di assegnare ampi patrimoni monastici a un amministratore laico di sua diretta nomina, gli attirò il comprensibile risentimento della Chiesa. Tuttavia, eccettuate queste criticità, il rapporto fra essa e l’imperatore fu sostanzialmente proficuo, non fosse altro in ragione della comunanza di interessi e dell’efficace cooperazione contro i movimenti ereticali, come per esempio quello dei bogomili.
Alessio morì nel 1118: gli successe il figlio Giovanni, secondo esponente di una dinastia che, pure venuta formalmente meno nel 1185, continuò ad assurgere a riferimento ben oltre l’esito disastroso della cosiddetta Quarta crociata (1204).
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Per saperne di più
Storia dell’Impero bizantino. Georg Ostrogorsky, Einaudi, Milano, 2014
Bisanzio e Venezia. Giorgio Ravegnani, Il Mulino, Bologna, 2020
Strategikon. Manuale di arte militare dell’Impero romano d’Oriente. Maurizio Imperatore, Il Cerchio, Rimini, 2017
Bisanzio. John Julius Norwich, Mondadori, Milano, 2001