Alcune cose da ricordare di Enrico Fermi

Il 28 novembre del 1954 moriva quello che probabilmente è stato il più grande scienziato italiano di tutti i tempi. Le sue scoperte hanno cambiato come poche il corso della storia, nel bene e nel male

Fermi è probabilmente lo scienziato italiano più conosciuto al mondo dopo Galileo Galilei e forse uno dei più grandi in assoluto. Alle sue eccezionali capacità teoriche, che lo fecero diventare giovanissimo il pioniere della meccanica quantistica in Italia, univa una grande abilità sperimentale: si sentiva perfettamente a suo agio in un laboratorio ad armeggiare con cavi e cacciaviti, e questa versatilità nei due campi, che forse si ritrova solo in Newton, sarebbe risultata fondamentale per alcune delle sue scoperte.

Enrico Fermi in una fotografia databile tra il 1943 e il 1949

Enrico Fermi in una fotografia databile tra il 1943 e il 1949

Foto: Pubblico dominio

Una nuova epoca per la ricerca scientifica

Ma Fermi fu anche espressione compiuta di una nuova epoca della ricerca scientifica, divenuta capace di generare ricadute tecnologiche immediate e di enorme portata, corteggiata come mai prima dagli stati e dall’impresa privata, e dipendente dai finanziamenti in grado di garantire lo sviluppo di una certa linea di ricerca. I fisici si ritrovarono improvvisamente a gestire un potere inedito, che li poneva di fronte a decisioni etiche e politiche di grande complessità. Per la scienza fu la fine dell’età dell’innocenza, vera o presunta, e dell’ideale della ricerca “pura”. L’attività scientifica richiedeva di sapersi muovere tra governi, industria e potere militare.

Fermi lo fece a modo suo, con scelte controverse, svolgendo un ruolo essenziale nel successo dell’impresa scientifico-tecnologica che avrebbe portato all’energia nucleare e alle bombe atomiche sganciate sul Giappone. Ecco alcuni punti importanti da ricordare della sua storia di scienziato.

Contributi fondamentali

Come altri fisici talentuosi di quel periodo (basti pensare a Heisenberg) Fermi ha una carriera fulminante. Classe 1901, si laurea nel 1922 e già nel 1925 pubblica un articolo di statistica quantistica sulla distribuzione all’interno dell’atomo degli elettroni e di altre particelle (poi nominate fermioni in suo onore), che risulterà fondamentale per lo sviluppo dell’elettronica. Qualche anno più tardi arriva un’altra pietra miliare della fisica, la teoria del decadimento beta, da cui discendono in qualche modo tutte le moderne descrizioni del mondo subatomico. Rappresenta la scoperta delle interazioni deboli, una delle quattro forze fondamentali a cui sono riconducibili tutti i fenomeni fisici dell’universo (le altre sono gravità, elettromagnetismo e interazione forte).

Un gruppo di giovanissimi talenti

Un altro aspetto in cui Fermi si dimostra particolarmente efficiente è quello organizzativo, dal reperimento di fondi alla gestione di ampi programmi di ricerca. Nel 1926 diventa professore titolare della prima cattedra di fisica teorica in Italia e riesce mettere insieme un gruppo di giovanissimi e brillanti ricercatori (Rasetti, Amaldi, Pontecorvo, Segré, Majorana e D’Agostino tra i più noti), che passeranno alla storia come “i ragazzi di via Panisperna” (dall’indirizzo dell’istituto di fisica teorica di Roma).

I ragazzi di via Panisperna. Da sinistra: D'Agostino, Segrè, Amaldi, Rasetti e Fermi. Foto scattata da Pontecorvo

I ragazzi di via Panisperna. Da sinistra: D'Agostino, Segrè, Amaldi, Rasetti e Fermi. Foto scattata da Pontecorvo

Foto: Pubblico dominio

Intuizione da Nobel

Fermi, ritenendo che sull’atomo si sapesse già più o meno tutto, decide di orientare gli sforzi del gruppo allo studio del nucleo. Nel 1934 i fisici francesi Irene Curie (figlia di Marie Curie) e Frederic Joliot avevano scoperto che la radioattività, fino ad allora ritenuta un fenomeno puramente naturale (alcuni elementi erano radioattivi, altri no), poteva essere provocata artificialmente bombardando alcuni elementi con particelle alfa (nuclei di atomi di elio a cui sono stati strappati gli elettroni orbitali). La squadra di via Panisperna inizia fare esperimenti in questa direzione. Alla carenza di attrezzature di avanguardia supplisce la grande ingegnosità pratica di Fermi, che costruisce praticamente da sé alcuni degli apparecchi necessari alle misure, come i contatori Geiger. È nell’ambito di queste ricerche che arriva la scoperta che i neutroni sono più efficaci delle particelle alfa per indurre la radioattività, e ancor più se “rallentati” da nuclei di idrogeno. Questa scoperta varrà a Fermi il Nobel per la fisica nel 1938 e semplificherà notevolmente la produzione artificiale di elementi radioattivi (già all’epoca considerati utilissimi in moltissimi campi, tra cui quello medico-diagnostico).

I rapporti con il fascismo

Quando nel gennaio del 1938 va a ritirare il Nobel a Stoccolma, Fermi indossa il frac invece dell’uniforme fascista e non fa il saluto romano. Dopodiché s’imbarca con la famiglia su un piroscafo e raggiunge gli Stati Uniti, dove lavorerà allo sviluppo dell’energia nucleare e alla creazione della bomba atomica. In Italia sono da poco entrate in vigore le leggi razziali. La moglie di Fermi, Laura Capon, è ebrea.

In realtà per molti anni Fermi è stato un intellettuale perfettamente integrato nel regime. È iscritto al partito fascista dal 1929 ed è membro dell’Accademia d’Italia, l’istituzione culturale voluta da Mussolini. Ancora nel 1937 presenta una proposta e una richiesta di finanziamento per la costituzione di un Istituto di radioattività nazionale, ma il suo progetto viene respinto. Fermi non è realmente interessato alla politica, così come non ama perdersi in questioni filosofiche. Ciò che gli sta realmente a cuore è portare avanti i suoi programmi di ricerca. E in Italia cominciano a venire meno le condizioni: i fondi diminuiscono, accaparrati dalle esigenze belliche, e mancano tecnologie chiave come gli acceleratori di particelle.

La “fuga” negli Stati Uniti, insomma, non è semplicemente una scelta etica e politica. E neppure l’unica opzione possibile per chi volesse schierarsi contro il regime. La storia di altri membri del gruppo di via Panisperna è lì a dimostrarlo. Rasetti abbandonerà la fisica e si dedicherà alla biologia per non dover collaborare alla costruzione dell’atomica. Pontecorvo abbraccia l’ideologia marxista e anni più tardi andrà a fare ricerca in URSS. La scomparsa di Majorana resta avvolta nel mistero, ma c’è chi, come Leonardo Sciascia, la interpreta come una presa di distanza dalle potenzialità distruttive del nucleare.

L’era dell’energia nucleare

Fermi invece negli Stati Uniti ci va e svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo del programma atomico. Presso l’Università di Chicago dirige il gruppo di ricerca che costruisce la prima pila nucleare: è il 2 dicembre 1942 quando entra in funzione il Chicago-Pile 1, il primo reattore artificiale a fissione nucleare al mondo. Questo evento è considerato l’inizio dell’era dell’energia nucleare.

Disegno del reattore nucleare di Chicago

Disegno del reattore nucleare di Chicago

Foto: Pubblico dominio

In seguito Fermi va a lavorare nei laboratori di Los Alamos, nel New Mexico, dove dal marzo del 1943 il fisico tedesco Oppenheimer dirige il progetto Manhattan, un programma di ricerca e sviluppo in ambito bellico incentrato sul tentativo di produrre la prima bomba nucleare.

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Ma la bomba va sganciata o meno?

Inizialmente tra gli scienziati emigrati negli Stati Uniti c’è un forte consenso sulla necessità di produrre la bomba per battere sul tempo i tedeschi e fermare Hitler. Questo consenso però s’incrina nel 1945, soprattutto dopo il suicidio del Führer e l’uscita della Germania dal conflitto. La bomba è ormai in fase sperimentale e si comincia a parlare della possibilità di utilizzarla contro il Giappone, che è ancora in guerra.

Vari ricercatori coinvolti nel progetto Manhattan si schierano apertamente contro quest’eventualità e presentano al presidente statunitense Truman una petizione nota come rapporto Franck (dal nome di uno degli autori), che suggerisce di procedere a una semplice dimostrazione della potenza dell’ordigno “in presenza di rappresentanti di tutte le Nazioni Unite, nel deserto o su un’isola disabitata.”

Il direttore del progetto Manhattan, Oppenheimer, con Fermi e Lawrence

Il direttore del progetto Manhattan, Oppenheimer, con Fermi e Lawrence

Foto: pubblico dominio

La posizione di Fermi

Truman nel frattempo ha creato una commissione con il compito di occuparsi dell’uso dell’atomica, il cosiddetto Interim Committee. A questa commissione politica viene affiancato un panel composto da quattro consulenti scientifici. Uno di loro è Fermi. Il panel discute il rapporto Franck nel giugno del 1945 e invia all’Interim Committee le sue conclusioni, in cui si legge: «L’opinione dei nostri colleghi scienziati sull’uso iniziale di queste nuove armi non è unanime: si va dalla proposta di una mera dimostrazione tecnica all’uso militare più appropriato per indurre alla resa. […] Ci troviamo più vicini a quest’ultimo parere; non siamo in grado di proporre una dimostrazione tecnica che abbia probabilità di mettere fine alla guerra e non vediamo un’alternativa accettabile a un uso militare diretto».

Qualche settimana dopo lecirca 250mila vittime civili dirette provocate dal bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, la posizione di Fermi non sembra essere in alcun modo cambiata. In una lettera ad Amaldi datata 28 agosto 1945, descrive gli anni a Los Alamos con queste semplici e conclusive parole: «È stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l'aver contribuito a troncare una guerra […] è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione».

Hiroshima dopo il bombardamento atomico

Hiroshima dopo il bombardamento atomico

Foto: Pubblico dominio

Dopo la guerra mondiale Fermi si dedicherà allo studio delle particelle elementari presso l’Università di Chicago. Morirà il 28 novembre del 1954 per un tumore allo stomaco.

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