Il poeta Pindaro la definì «la più bella città dei mortali», e non esagerava. Nel momento di massimo splendore, tra la fine del quarto e il quinto secolo a.C., Agrigento poteva contare su almeno sei magnifici templi dorici nel sud della città. Tra questi si trovava il più grande mai costruito, l’Olympieion (dedicato a Zeus olimpico), un grande teatro, rinvenuto recentemente, e perfino un gigantesco sistema idraulico con cisterne, canali e acquedotti sotterranei che attraversavano la città fino alla cosiddetta Kolymbethra, all’epoca un grande stagno. Come racconta lo storico Diodoro Siculo, era «una grande vasca del perimetro di sette stadi, profonda venti braccia, vivaio di ricercata flora e abbondante fauna selvatica». Intorno all’ottavo secolo a.C. i greci avevano iniziato un’ondata di migrazioni – la “colonizzazione greca” – che li aveva spinti a stabilirsi in Sicilia e nel sud dell’Italia, zona poi nota come Magna Grecia. Lì avevano fondato grandi e prospere città: nel continente, tra le altre Napoli e Paestum, e in Sicilia Gela, Selinunte e, appunto, Agrigento, che chiamarono Akragas.

Tempio di Hera. Posto all'estremità orientale della collina, questo edificio fu costruito intorno al 460 o il 450 a.C. e riposa su una piattaforma di quattro gradoni
Foto: Claudio Cassaro / Fototeca 9x12
Una città amante del lusso
L’opulenza della città era rimasta nella leggenda. Nel tredicesimo libro della Bibliotheca historica, Diodoro Siculo fornisce altri dati sulla sontuosità e sulla ricchezza di Agrigento. Infatti egli afferma: «C’erano vigneti di eccezionali dimensioni e bellezza, e la maggior parte delle terre era coperta di ulivi, la cui abbondantissima produzione era destinata al commercio cartaginese». Racconta inoltre che gli agrigentini «accumularono fortune incalcolabili» e che perfino i monumenti funebri testimoniavano il lusso dei cittadini perché alcuni di loro venivano eretti «in memoria di cavalli da corsa e altri per gli uccelli che tenevano in casa i bambini e le bambine». Ricorda pure che nel 416 a.C., «in occasione della novantaduesima olimpiade, quando Esseneto di Acragante [Agrigento] ottenne la vittoria nella corsa, venne condotto in città su di un carro accompagnato da un corteo nel quale, per non parlare del resto, c’erano trecento bighe di cavalli bianchi, tutte appartenenti ai cittadini di Acragante. Infatti sin da piccoli erano educati al lusso, portavano vesti molto eleganti e monili in oro e usavano strigili e unguentari d’oro e d’argento».
Gli abitanti di Agrigento investirono parecchio denaro per abbellire la città. Grazie alla loro ricchezza e alla fede negli dèi greci possiamo contemplare ancora oggi i meravigliosi templi dorici che ammaliano chi ne visita le rovine. La Valle dei Templi, com’è chiamato ora il complesso archeologico, costituisce una delle più impressionanti eredità del mondo classico. Il nome si deve agli imponenti templi che gli agrigentini eressero nella zona meridionale della città, vicino alle mura. A eccezione di quello di Zeus, e forse di Eracle, i templi portano i nomi arbitrari che gli diede il frate domenicano Tommaso Fazello, il primo a volerne recuperare la memoria.

Colonne del tempio dei Dioscuri, secondo il mito figli di Zeus e Leda
Foto: Johanna Huber / Fototeca 9x12
Le divinità della terra
Nella parte sud-est di Agrigento, dove si alza la porta V, comincia una sorta di via sacra che collega uno per uno tutti i templi fino alla porta II delle mura. La prima fermata è il cosiddetto santuario delle divinità ctonie, al cui interno si trova il tempio detto dei Dioscuri, anche se non ci sono ragioni particolari per credere che fosse dedicato ai due mitici figli di Zeus. Un altro grande tempio, diversi altari e fosse per le offerte (bothroi) lì presenti sono invece caratteristici del culto di Demetra e di Persefone, divinità ctonie o terrestri (chton in greco significa “terra”) opposte a quelle del cielo. Il loro culto ad Agrigento dovette essere importante, visto che Pindaro indica la città come «sede di Persefone». Demetra e Persefone, madre e figlia, sono le dee dei cereali, del raccolto e delle stagioni. Costituiscono una coppia indissolubile: la divinità anziana e la giovane rappresentano il grano dell’anno precedente e quello nuovo. In questo santuario e in altri limitrofi alla città – come quello di Sant’Anna, al quale si arriva proprio dalla porta V – aveva luogo una delle feste più importanti per le donne greche: le Tesmoforie, in onore delle due dee. Vi partecipavano soltanto le donne sposate; gli uomini, i bambini (tranne i lattanti) e le giovani vergini ne rimanevano esclusi.
Anche se non ci sono molte informazioni sui rituali effettuati durante le Tesmoforie, si crede che il sacrificio di maiali fosse un aspetto importante della festività. Lo provano le ossa, le statue votive che rappresentano questi animali o le terrecotte della dea con un maialino in braccio, tutte trovate all’interno del santuario. A quanto pare, le carcasse dei suini morti venivano scagliate nei bothroi, delle specie di altari rotondi con una fossa al centro: nel santuario di Agrigento ce ne sono diversi, e ben conservati. Una volta putridi, i resti venivano raccolti, mescolati ai semi e sparsi per i campi al fine di ottenere un buon raccolto.

Telamone del tempio di Zeus Olimpico, o Olympieion, conservato fino ad oggi. Attualmente è esposto nel Museo di Agrigento
Foto: Claudio Cassaro / Fototeca 9x12
Telamone del tempio di Zeus Olimpico, o Olympieion, conservato fino ad oggi. Attualmente è esposto nel Museo di Agrigento
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L’Olympieion
Un poco più avanti, sempre lungo la via Sacra, ci s’imbatte nel tempio più impressionante di Agrigento: l’Olympieion, dedicato a Zeus olimpico. Le straordinarie dimensioni – 56,30 metri di larghezza per 112,70 di lunghezza – lo rendono il tempio dorico più grande finora conosciuto. Ha sette colonne sui lati corti e quattordici su quelli lunghi, e raggiungono un’altezza di ventuno metri. Si tratta di un tempio abbastanza singolare. Per esempio, non è periptero, ovvero circondato da un portico di colonne, bensì pseudoperiptero, giacché le colonne sono in realtà una sorta d’ibrido tra vere e proprie colonne – nella parte esterna – e lesene – nella parte interna. Inoltre, a differenza della maggior parte dei templi greci, gli spazi tra queste erano riempiti da un muro, sopra il quale si trovavano i famosi atlanti o telamoni: più che cartaginesi vinti, come proposto da alcuni, i telamoni rappresentavano probabilmente i titani, costretti a sopportare il peso del tempio di Zeus. Il dio aveva vinto queste figure mitologiche nella cosiddetta Titanomachia, la lotta che gli dei dell’Olimpo condussero contro i titani dopo che Zeus si fu ribellato al padre Crono.
Quest’ultimo, anch’egli un titano, aveva “l’abitudine” di mangiare i propri figli perché nessuno di loro potesse usurpargli il trono. Su ogni colonna dell’Olympieion era poggiato un capitello di quasi due metri di altezza. Diversi testimoni dell’antichità riferiscono che il tempio non era stato terminato e infatti non aveva il tetto. Tuttavia sembra più plausibile credere che, come nel caso di altri templi di simili dimensioni, l’Olympieion fosse coperto soltanto nelle parti laterali, e non al centro. Con grande probabilità fu costruito durante il governo di Terone, tra il 488 e il 472 a.C. Fu questo il momento di maggiore splendore della città. La vittoria sulle truppe cartaginesi di Amilcare primo, giunte in Sicilia per aiutare Terillo, il tiranno d’Imera, comportò per Agrigento un notevole arricchimento, e a questo si aggiunsero altri benefici quali un bottino cospicuo, la riscossione dei tributi e un’ingente quantità di prigionieri, che sarebbero stati venduti come schiavi (qualche notabile ne ottenne addirittura cinquecento). Furono sicuramente gli schiavi a innalzare il tempio.

Ricostruzione del santuario dedicato a Eracle. Era il tempio più allungato di tutti, con 15 colonne – invece delle solite 13 – sui lati lunghi
Illustrazione. Rise StudioRicostruzione del santuario dedicato a Eracle. Era il tempio più allungato di tutti, con 15 colonne – invece delle solite 13 – sui lati lunghi
Il tempio di Eracle
Dall’altro lato dell’agorà si trova il tempio di Eracle (Ercole per i romani), il più antico della città. Il fatto che sia stato forse costruito tra il 510 e il 480 a.C. è indice della prosperità di Agrigento già a quei tempi. È stato possibile identificarlo come tempio dedicato a Eracle grazie a un passaggio di In Verrem, più noto come Verrine, una serie di orazioni scritte da Cicerone contro gli abusi commessi da Gaio Verre, ex propretore della Sicilia, nei confronti dei cittadini da lui amministrati. Cicerone afferma che non lontano dall’agorà si trovava un tempio dedicato a Ercole, semidio lì molto venerato, e che al suo interno c’era una statua di bronzo dell’eroe. Commenta Cicerone: «Difficilmente potrei dire di aver visto qualcosa di più bello [...] la sua bellezza è tale [...] che le sue labbra socchiuse e il mento sono un po’ consunti perché, nelle preghiere e nei ringraziamenti, i fedeli non si limitano a venerarla, ma sono anche soliti imprimervi dei baci». Probabilmente la statua di cui parla Cicerone è la stessa presente del tempio e, a quanto pare, Verre cercò di appropriarsi di questa come di altri gioielli, ma la popolazione riuscì a impedirglielo.
Concordia ed Hera Lacinia
Sempre lungo la via Sacra, un po’ più avanti, si raggiunge il tempio della concordia. Non si sa a chi fosse dedicato. Si conserva in modo eccellente perché nel 597 venne trasformato in chiesa per volontà del vescovo Gregorio di Agrigento. Il tempio rimase così fino al 1748, quando venne restaurato per essere restituito allo stato originale.

Tempio della concordia. Utilizzato come chiesa dal VI secolo, è quello che si è conservato meglio. Fu eretto intorno al 440 a.C.
Foto: Johanna Huber / Fototeca 9x12
L’ultimo dei templi che la via Sacra tocca da sud è quello di Hera Lacinia, posto su una collinetta. Neppure in questo caso abbiamo notizie sulla divinità a cui era consacrato. È così chiamato perché lì vicino Fazello trovò un’iscrizione latina contenente la parola concordia e pensò che si riferisse al tempio. Nella Naturalis historia Plinio il Vecchio narra che, per questo tempio, gli agrigentini chiesero al famoso pittore Zeusi una raffigurazione di Giunone, il nome latino di Hera. Autori come Cicerone, però, informano che il quadro non venne dipinto per tale tempio, bensì per quello di Hera Lacinia situato a Capo Lacinio – attualmente Capo Colonna, in Calabria.
L’amore per la bellezza
Oltre al tempio di Hera, la via Sacra conduce alla porta II, all’estremo sud-est della città. Da qui si può giungere a Gela, altra metropoli di cui Agrigento era una costola. Vicino alla porta si trova un ulteriore tempio di Demetra in cui, a giudicare dalla grandezza del temenos (il recinto sacro che delimita il santuario), avevano probabilmente luogo imponenti cerimonie. La città di Agrigento era, con ogni probabilità, la più ricca tra quelle greche della sua epoca, e i suoi abitanti palesavano l’amore per la bellezza nelle strade monumentali e nei magnifici templi che dedicarono agli dei in cui credevano.
E ancora oggi le rovine dell’antica Akragas, i resti del suo antico splendore, osservano impassibili coloro che, anche solo per una manciata di ore, abbiano il desiderio di compenetrare appieno il fascino dei tempi che furono.
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