Achille contro Ettore: la grande battaglia dell'Iliade

Venuto a sapere della morte del suo amico Patroclo per mano di Ettore, Achille tornò a unirsi alla guerra contro i troiani con le armi che il dio Efesto aveva forgiato per lui

L’Iliade di Omero dedica molto spazio alle descrizioni particolareggiate dei combattimenti, trattandosi di un’epopea incentrata sulla guerra che vide scontrarsi due grandi eserciti sotto le mura di una città dell’Asia Minore, Troia. Il culmine dell’azione epica viene raggiunto proprio in uno di questi duelli, quello tra l’eroe greco Achille e il troiano Ettore. Nonostante le personalità molto diverse, i due uomini hanno dei tratti in comune. Entrambi sono nobili; Achille è figlio di una ninfa e del re di Ftia, Ettore è il rampollo del re e della regina di Troia. Entrambi sono i guerrieri di punta dei rispettivi eserciti, ed entrambi sono giovani e rispettati. E come il poema epico cerca di dimostrare, entrambi hanno una disperata voglia di vivere.

Achille trascina con il suo carro il corpo senza vita di Ettore sotto l’ombra alata di Patroclo. Lekythos, V secolo a.C. Musée du Louvre, Parigi

Achille trascina con il suo carro il corpo senza vita di Ettore sotto l’ombra alata di Patroclo. Lekythos, V secolo a.C. Musée du Louvre, Parigi

Foto: RMN-Grand Palais

Per entrambi, il confronto finale assume dei toni molto personali. La carneficina compiuta da Achille tra i nemici troiani ha causato la morte dei fratelli e dei cognati di Ettore. Questi, a sua volta, ha ucciso il migliore amico di Achille, Patroclo. È peculiare il fatto che nel corso del poema i due eroi si scambino le armi. In realtà, le ragioni per cui Ettore arriva a indossare l’elmo e la corazza di Achille e le conseguenze del suo gesto costituiscono uno dei temi più drammatici della saga.

È noto che la causa della guerra è la fuga, secondo altri il rapimento, di Elena, regina della città greca di Sparta, tra le braccia di Paride, principe di Troia (detta anche Ilion, da cui deriva il nome dell’opera) e fratello di Ettore. Sebbene Elena e Paride siano personaggi centrali dell’Iliade, la loro fatidica romance è ormai un avvenimento remoto quando si alza il sipario sul poema epico, incentrato invece sulle tragiche conseguenze di quell’imprudente slancio di passione. I temi centrali dell’Iliade sono lo scontro implacabile tra due grandi eserciti, i continui combattimenti individuali tra i guerrieri, le fasi di preparazione e di recupero dalla battaglia, e il costo in termini di vite umane e di dolore generato dalla guerra.

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Anche se si ritiene che l’Iliade sia stata composta nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., la versione finale quasi certamente è frutto di almeno cinquecento anni di narrazioni orali di varie generazioni di poeti. La tradizione epica culminata nell’opera di Omero affonda dunque le sue radici nella civiltà micenea (1600-1150 a.C.), che è anche lo sfondo storico in cui l’autore colloca la guerra dei re greci contro la città nemica dell’Asia minore. Il periodo corrisponde all’Età del bronzo, che prende il nome dal nuovo materiale con cui le società del tempo producevano gli utensili destinati all’agricoltura, alla guerra o al commercio.

Due pugnali ageminati in oro, argento, bronzo e niello provenienti dalle cittadelle di Micene e Pilo

Due pugnali ageminati in oro, argento, bronzo e niello provenienti dalle cittadelle di Micene e Pilo

Foto: Dea / Scala, Firenze

Il mondo dell’Età del bronzo

Il bronzo è più resistente del rame e del ferro; pertanto le punte acuminate delle lance e delle frecce e le robuste spade fabbricate con questa innovativa lega di rame e stagno erano oggetti di utilità, prestigio e valore elevatissimi. Analogamente, le armature di bronzo – elmo, scudo e corazza per il corpo, schinieri per la parte anteriore delle gambe – costituivano per un guerriero il modo più sicuro di proteggersi dalle poderose armi, anch’esse di bronzo, che avrebbe trovato sul campo di battaglia.

Considerato il tema centrale dell’opera, non sorprende che nell’Iliade siano dedicate descrizioni particolarmente minuziose anche all’equipaggiamento bellico. E nella grande varietà di armi tratteggiate, nulla è paragonabile alla magnifica panoplia appartenente ad Achille. In realtà il figlio della ninfa Teti possiede due diverse armature, ognuna delle quali è a suo modo unica e rimanda a una fase specifica della partecipazione dell’eroe greco al conflitto. La prima corrisponde al momento in cui era il più feroce e temuto guerriero sul campo di battaglia; la seconda a quando si ritira completamente dal combattimento, adirato per il fatto che il comandante in capo, Agamennone, gli ha confiscato la parte centrale del suo bottino di guerra: una giovane vedova di nome Briseide, a cui Achille teneva particolarmente.

Le armi di Achille

In quanto figlio di una ninfa e di un mortale, Achille è un semidio, un essere superiore agli altri eroi, nelle cui vene non scorre il sangue divino, il cosiddetto “icore”. Sebbene proprio come il resto dei guerrieri Achille sia mortale, il suo stretto rapporto con gli dei dell’Olimpo gli procura alcuni innegabili vantaggi. Sua madre è in contatto diretto con Zeus, il re dei numi, e può intercedere per il figlio senza dover ricorrere alla trafila di suppliche proprie degli umani.

Zeus e Teti. Olio di Jean-Auguste-Dominique Ingres. 1811. Musée Granet, Aix-en-Provence

Zeus e Teti. Olio di Jean-Auguste-Dominique Ingres. 1811. Musée Granet, Aix-en-Provence

Foto: Joseph Martin / Album

Sul campo di battaglia Achille dispone di cavalli da guerra divini, dono di nozze degli dei al padre e generati da Zefiro, il dio del vento. Anche la sua caratteristica lancia di frassino – che nessun altro eroe ha la forza sufficiente per sollevare – è un regalo di matrimonio al padre, in questo caso del centauro Chirone, fratellastro di Zeus. Pure la meravigliosa armatura è un omaggio nuziale, che Peleo ha ricevuto dalle divinità olimpiche. Ma ciò che maggiormente contraddistingue Achille è che sembra avere la possibilità di scegliere il suo destino.

La madre di Achille, Teti, ottenne da Zeus una protezione speciale per il figlio

Questo fatto si rivela quando una piccola delegazione di compagni si presenta alla sua tenda per chiedergli di tornare a unirsi alla battaglia. Achille rifiuta e in un intervento decisivo dichiara di sapere che se riprenderà a combattere perderà la vita: «Mia madre, Teti dai piedi d’argento, mi parla di due destini che mi conducono a morte: se resto qui a battermi intorno alle mura di Troia, non farò più ritorno ma eterna sarà la mia gloria; se invece torno a casa, nella patria terra, per me non vi sarà gloria, ma avrò lunga vita, non mi raggiungerà presto il destino di morte».

Achille decide di restare nella sua tenda. Da quel momento l’andamento dello scontro inizia a volgere a sfavore dei greci (che nel poema sono chiamati achei). Alla fine Patroclo rivolge all’amico la richiesta disperata di prestargli la sua leggendaria corazza: «Le tue armi dammi, da portare sulle mie spalle, e i troiani mi scambieranno per te e si daranno alla fuga, mentre i figli degli achei, sfiniti, avranno respiro». Con riluttanza l’eroe cede alle suppliche del compagno. Così Patroclo si dirige verso il campo di battaglia con addosso la favolosa armatura di Achille.

Elmo miceneo del XVI secolo a.C. Nell’Iliade Ettore è spesso menzionato con l’epiteto «dall’elmo lucente». Museo archeologico nazionale, Atene

Elmo miceneo del XVI secolo a.C. Nell’Iliade Ettore è spesso menzionato con l’epiteto «dall’elmo lucente». Museo archeologico nazionale, Atene

Foto: Dea / Album

Il nobile gesto di Patroclo ottiene i risultati sperati, migliorando notevolmente la situazione degli achei. Tuttavia finirà per costargli la vita a causa dell’intervento del dio Apollo, infaticabile difensore di Troia. Protetto da una coltre di nebbia, il nume colpisce Patroclo sulla schiena e sulle ampie spalle con il palmo della mano per poi spogliarlo di tutto l’equipaggiamento prestatogli dall’amico Achille: gli sfila l’elmo dalla testa, gli spezza la lancia, gli sgancia la fibbia con il balteo e infine gli slaccia la corazza.

Ormai completamente vulnerabile, Patroclo viene ferito alla schiena da una lancia troiana. Cerca di fuggire, ma Ettore si avventa su di lui e lo finisce. Vantandosi di fronte al corpo del nemico ucciso, il principe di Troia vuole impossessarsi della sua armatura. Tra achei e troiani scoppia una feroce lotta per il prezioso bottino. Alla fine sono questi ultimi ad avere la meglio. Ben presto Ettore decide di abbandonare le sue armi per indossare quelle di Achille. Di fronte a questo atto di orgoglio Zeus, che osserva la scena dall’alto, scuote il capo in segno di disapprovazione.

Apollo, avvolto nella nebbia, colpì Patroclo e gli slacciò la corazza; questi fu poi ferito da un guerriero troiano e quindi ucciso da Ettore

Il dolore di Achille

Quando Achille viene a sapere della morte di Patroclo, la sua ira nei confronti di Agamennone svanisce all’istante: è pervaso dal dolore per l’amico caduto e dall’odio verso Ettore. Assetato di vendetta, il figlio di Peleo annuncia la sua decisione di tornare a combattere e chiede alla madre Teti di procurargli una nuova armatura. Con questa scelta Achille compie un passo decisivo in direzione di quel destino che, in un primo momento, aveva voluto evitare, ovvero una morte nel pieno della giovinezza.

Il dio Efesto consegna lo scudo appena forgiato alla ninfa Teti, che vi si riflette. Affresco di Pompei. Museo archeologico nazionale, Napoli

Il dio Efesto consegna lo scudo appena forgiato alla ninfa Teti, che vi si riflette. Affresco di Pompei. Museo archeologico nazionale, Napoli

Foto: Erich Lessing / Album

A questo punto l’azione sul campo di battaglia si ferma, e il poeta segue Teti nell’Olimpo, la dimora delle divinità, e nella fucina di Efesto, mastro ferraio dei numi. Nella sua vivace e magica bottega – dotata di un gigantesco mantice e di alcuni congegni meccanici – Efesto forgia la nuova armatura di Achille, che rappresenta una sorta di punto di svolta nella vita del celebre eroe. Le armi che la madre ha fatto realizzare per lui nella speranza che lo proteggano sono in realtà un simbolo della sua morte imminente. Efesto ne è consapevole. Egli costruisce il più splendido equipaggiamento che un mortale abbia mai indossato. Tuttavia, come ammette candidamente, la sua arte non sarà sufficiente a salvare il figlio della divina Teti: «Come vorrei poterlo sottrarre alla morte tremenda quando lo raggiungerà il destino crudele: così lui avrà armi bellissime, meraviglia per gli uomini che le vedranno».

Deciso a impegnarsi a fondo nel suo compito, Efesto realizza un elmo, una corazza e degli schinieri magnifici. Il suo capolavoro è lo scudo: «Su di esso il dio dall’abile ingegno incise molti disegni a rilievo. Raffigurò la terra e il cielo e il mare, e poi il sole instancabile e la luna piena e tutte le costellazioni che incoronano il cielo». Efesto rappresenta sullo scudo le città con il loro brulicare di vita, i matrimoni e le assemblee, la guerra, i pastori e le loro greggi, le fattorie e le vigne. Insomma lo scudo con cui Achille torna in guerra è un compendio delle varie forme di vita che si accinge a perdere per sempre.

Tornato finalmente sul campo di battaglia, Achille avanza fino a quando il destino non lo fa ritrovare faccia a faccia con Ettore. Questi indossa l’armatura sottratta al cadavere di Patroclo e appartenuta in precedenza allo stesso Achille. Il principe troiano vede avvicinarsi il suo avversario rivestito di bronzo e fulgido come una stella, e il suo coraggio vacilla. Per un attimo pensa di spogliarsi completamente dell’armatura e arrendersi inerme ad Achille. Ma poi abbandona l’idea, spronato dalla dea Atena, che ha assunto le sembianze di suo fratello Deifobo. Ora è di nuovo pronto a battersi contro il suo avversario, che incede verso di lui.

All’inizio del XIX secolo lo scultore inglese John Flaxman disegnò questo disco d’argento dorato decorato con una selezione di scene omeriche

All’inizio del XIX secolo lo scultore inglese John Flaxman disegnò questo disco d’argento dorato decorato con una selezione di scene omeriche

Foto: Bridgeman / Aci

I due eroi marciano l’uno in direzione dell’altro: «Simile a un’aquila dall’alto volo che attraverso le nuvole oscure punta sulla pianura per rapire un tenero agnello o una timida lepre. Così Ettore si lanciò agitando la spada affilata. Achille si lanciò a sua volta con l’animo pieno di furia selvaggia: gli copriva il petto lo scudo, luminoso, bellissimo, oscillava sul capo l’elmo splendente, a quattro punte, volteggiava intorno la bella criniera d’oro che Efesto aveva fatto ricadere, folta, intorno al cimiero».

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Armi magiche

Gli studiosi ritengono che nella tradizione preomerica la lancia di frassino di Achille avesse dei poteri magici, come la capacità di non mancare mai il bersaglio o di tornare in mano al suo proprietario dopo essere stata scagliata. Ma nell’Iliade è semplicemente un’arma di ottima fattura. Così, i cavalli di Achille, pur essendo in teoria divini e veloci come il vento, nel poema sembrano avere caratteristiche del tutto ordinarie. Nell’epica orale precedente alla sistematizzazione di Omero probabilmente anche l’armatura di Achille era dotata di facoltà taumaturgiche e rendeva invulnerabile chi la indossava. Questa teoria spiegherebbe le strane circostanze della morte di Patroclo. Nessun altro eroe viene fisicamente attaccato da un dio, come invece capita a lui: Apollo sembra intenzionato non semplicemente a tramortirlo, ma a spogliarlo dell’armatura prodigiosa di Achille.

Ora che i due avversari si trovano uno di fronte all’altro, il corpo di Ettore è protetto da quella stessa corazza, ma non completamente: «Là dove la clavicola separa il collo dalle spalle – la gola – quel punto era scoperto». È proprio lì che Achille assesta il suo colpo, ferendo mortalmente Ettore. Lo sguardo predatorio con cui Achille scruta il corpo del nemico è semplicemente un segno delle sue abilità strategiche? Oppure è un residuo di una versione precedente del mito in cui l’eroe greco doveva cercare l’unico punto che la magica armatura indossata da Ettore non riusciva a proteggere?

Con l’aiuto di Atena, Achille affonda la sua lancia nella gola di Ettore. Olio di Rubens. Musée des Beaux-Arts, Pau

Con l’aiuto di Atena, Achille affonda la sua lancia nella gola di Ettore. Olio di Rubens. Musée des Beaux-Arts, Pau

Foto: Bridgeman / Aci

Il poeta che elaborò la versione finale dell’Iliade era erede di una tradizione epica antica di almeno cinque secoli. Questa metteva a sua disposizione vari artifici per intrattenere il pubblico: cavalli divini, pozioni miracolose, mantelli che conferiscono l’invisibilità e un’armatura capace di rendere invulnerabile l’eroe principale della vicenda. Ciononostante Omero sembra aspirare a trasmettere un messaggio più profondo e universale. Nel suo racconto anche un semidio come Achille è fatto di carne e di ossa, e dunque può essere ferito e sanguinare. La riflessione finale che l’Iliade lascia in eredità è ineludibile: la guerra è qualcosa di così terribile che neppure gli eroi possono uscirne indenni.

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Per saperne di più

Iliade. Omero. Mondadori, Milano, 2018
Il grande racconto della guerra di Troia. Giulio Guidorizzi. Il Mulino, Bologna, 2018
Le lacrime degli eroi. Matteo Nucci. Einaudi, Torino, 2014

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