Milano, 5 novembre 1918. Le rotative del quotidiano Il Corriere della Sera hanno appena stampato una prima pagina dell’edizione pomeridiana che passerà alla storia. Il titolo è a dir poco sensazionale: «L’Austria ha capitolato». Tre parole a caratteri cubitali raccontano la fine di una guerra durata quarantuno mesi, dal maggio 1915 al novembre 1918, che l’Italia ha combattuto ininterrottamente e dalla quale circa 650mila italiani non hanno fatto più ritorno a casa. L’armistizio firmato fra il regio esercito italiano e l’imperial regio esercito austro-ungarico entra in vigore alle ore 15 del 4 novembre. Le cronache raccontano quelle ore convulse che precedono il fatidico giorno, sono le ultime ore di guerra.

La prima pagina dell'edizione serale del Corriere della Sera. 5 novembre 1918
Foto: Corriere della Sera
«La fulminea arditissima avanzata»
Dodici giorni prima, 24 ottobre 1918. L'esercito italiano ingaggia un gigantesco scontro che passa alla storia come Battaglia di Vittorio Veneto. È l’ultimo conflitto armato fra i due schieramenti e segue un’altra gigantesca battaglia, combattuta a giugno e battezzata da Gabriele D’Annunzio come Battaglia del Solstizio, che ha visto il fallimento dell’offensiva austriaca. Il teatro degli scontri è vasto, include la zona del fiume Piave, il Grappa, poi il Trentino e il Friuli. L’inizio dei combattimenti fa presagire un esito tutt’altro che roseo: gli austriaci oppongano una forte resistenza specie sul Piave e sul Grappa, ma scontano l’indebolimento subito a giugno. A questo si aggiunge un crescendo di tensioni politico-sociali all’interno dell’impero che spingono per firmare la pace. Ma intanto gli italiani attaccano, gli austriaci respingono. Non si passa, ancora morti, ancora sangue. Poi, una controffensiva austriaca fallisce e finalmente gli italiani riescono ad infrangere la resistenza. Lo sfacelo delle linee nemiche comincia.
A Susegana (Treviso), l’ottava armata italiana passa il Piave inseguendo gli austriaci. L’avanzata dei nostri è fulminea e permette alle truppe del regio esercito di giungere la sera del 28 ottobre a Vittorio Veneto. All’inseguimento del nemico fuggente i reparti italiani procedono fino a Trento e Trieste, città simbolo di questa guerra che devono essere assolutamente conquistate, e dove finalmente entrano il 3 novembre. Il bollettino della vittoria definirà poi quegli eventi come una «fulminea arditissima avanzata». La popolazione si riversa nelle strade, è stremata per il lungo periodo di guerra ma accoglie i soldati con quel poco di entusiasmo rimasto. Ci sono voluti tre anni di combattimenti e migliaia di morti, ma alla fine il tricolore è innalzato nelle due città irredente.

Il generale italiano Armando Diaz, capo di stato maggiore del regio esercito.
Foto: The Print Collector / Heritage Image / Cordon Press
L’ora dell’armistizio
Villa Giusti, Padova, 30 ottobre 1918. C’è una villa di proprietà del conte Vettor Giusti del Giardino, senatore ed ex sindaco di Padova, in cui il comando supremo del regio esercito italiano ha istallato il suo quartier generale. È qui che la diplomazia di entrambi gli schieramenti è a lavoro da alcuni giorni ed è anche da qui che passano le ultime ore di guerra. Il luogo non pare sfarzoso e il giornalista Ugo Ojetti ne dà un giudizio implacabile sul Corriere della Sera. «Più brutta non si poteva trovare – scrive – ma gli austriaci la meritano. Brutta, sì, gialla, stinta e nuda. Ma quando il primo di novembre, l’automobile del generale Badoglio apparve al cancello e i quaranta carabinieri a cavallo lo salutarono con le sciabole, che sembrò un baleno, quella diventò la più bella delle ville d’Italia le quali sono le più belle del mondo». La delegazione austriaca guidata dal generale Weber von Webenau, delegato dell’imperatore Carlo I d’Austria vi giunge la sera del 31 ottobre ed è accolta con cortesia. Fra il personale di servizio della villa vi sono pure alcuni militari italiani che conoscono il tedesco e che, dismessa la divisa grigio-verde, indossano gli abiti di camerieri e maggiordomi, prestando orecchio a ciò che accade nei locali della villa «stinta e nuda».
Alle ore 10 dell’1 novembre il generale Badoglio, plenipotenziario del comando italiano, dà inizio alle trattative. L’interprete per parte italiana è il capitano Giovanni Battista Trener, uno a cui gli austriaci due anni prima hanno impiccato il cognato, l’irredentista Cesare Battisti, per tradimento. Nel processo sommario e senza garanzie, Battisti verrà poi condannato all’impiccagione. Inutile la sua richiesta di essere fucilato con indosso la divisa militare italiana perché catturato in azione di guerra. Morirà in abiti civili gridando «Viva Trento Italiana! Viva l’Italia!». Così, quando Trener è presentato al generale von Webenau, questi pare abbia esclamato «conosciamo bene questo cognome» per via della parentela con Battisti. Passati i convenevoli di rito, le discussioni cominciano e sono tutt’altro che semplici. Attorno al tavolo rotondo della ‘sala dell’armistizio’ (oggi perfettamente conservato presso la Villa Giusti come gli arredi originali di quei giorni), la trattativa diventa complicata e si protrae per tutte le giornate dell’1 e del 2, concludendosi solo alle tre del mattino del 3 novembre. L’Italia chiede la consegna di tutti i territori previsti col Patto di Londra del 1915, ma tali richieste sono subordinate al Trattato di Versailles.

La sala di villa Giusti in cui fu firmato l'armistizio è rimasta praticamente intatta dal novembre 1918.
Foto: Pubblico dominio
L’unico punto veramente in discussione è quando cessare le ostilità. Un passaggio chiave poiché il comando supremo italiano intende prima occupare militarmente i territori del Patto e poi far cessare gli scontri. Di parere contrario sono gli austro-ungarici che vorrebbero cessare il fuoco senza ulteriori trattative. I negoziati si complicano ulteriormente, con Badoglio che minaccia di continuare le ostilità. Poi, la situazione generale ha una svolta; alla delegazione austriaca giungono notizie drammatiche sull’impossibilità delle loro truppe di continuare a combattere e, ulteriore colpo di coda di un impero ormai morente, l’Ungheria decide di uscire dal conflitto, abbandonando di fatto l’Austria. L’imperatore Carlo I ha infatti nominato un nuovo primo ministro magiaro l’1 novembre, il politico pacifistica Mihály Károlyi. A von Webenau non resta altra scelta che firmare l’armistizio. Sono le 15.20 del 3 novembre 1918. L’Austria ha capitolato. Ci vogliono ventiquattro ore affinché l’armistizio entri effettivamente in vigore, e per questo motivo le ostilità cesseranno su tutti i fronti dalle ore 15 del successivo 4 novembre.

Il generale austriaco Viktor Weber von Webenau nel suo studio
Foto: Pubblico dominio
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Una guerra ininterrotta ed asprissima
Nelle ore febbrili che seguono gli accordi è necessario recapitare la notizia dell’armistizio a tutte le formazioni impegnate nelle varie zone di guerra. Fra queste vi è un plotone d’avanguardia del tredicesimo reggimento fanteria della Brigata Pinerolo, agli ordini del sottotenente Federico Bera che è all’inseguimento di alcune unità austriache in ritirata nella zona di Asiago. Infatti la pattuglia è rimasta senza collegamento col grosso della brigata. Solo alla mezzanotte del 4 novembre un portaordini riesce finalmente ad intercettare Bera consegnandogli un piccolo foglietto mentre si sparano le ultime fucilate di guerra. L’ordine recita: «Sottotenente Bera, armistizio conchiuso. Formazione in Val Chiama, scenda sulla strada e aspetti il battaglione».
La guerra contro l’Austria-Ungheria è finita. Pare di sentire le ultime strofe della già nota canzone de La Leggenda del Piave, che diventerà popolarissima, «Indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento e la vittoria sciolse le ali al vento». Intanto, il comando supremo emana il suo ultimo bollettino, il numero 1268 datato 4 novembre, ore dodici. Si annuncia la vittoria su una guerra che l’Italia ha condotto «ininterrotta ed asprissima con fede incrollabile e tenace valore per quarantuno mesi», come si legge nel testo firmato dal generale Armando Diaz, capo di stato maggiore del regio esercito. In una prosa che a noi suona oggi impensabile, Diaz comunica che «I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza».

L'armistizio di Villa Giusti. Pubblicazione del Ministero della Guerra a cura del Colonnello Adriano Alberti. 1923
Foto: Pubblico dominioL'armistizio di Villa Giusti. Pubblicazione del Ministero della Guerra a cura del Colonnello Adriano Alberti. 1923
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