Grandi scoperte

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Testa di animale a decorazione ornamentale con motivi vegetali e zoomorfi

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Testa di animale a decorazione ornamentale con motivi vegetali e zoomorfi

Foto: Ove Holst / University of Oslo

Intaglio in legno in cui compaiono una scena mitologica e Loki, la divinità norrena dell’inganno

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Intaglio in legno in cui compaiono una scena mitologica e Loki, la divinità norrena dell’inganno

Foto: Werner Forman / Gtres

Quattro delle slitte rinvenute sono riccamente intagliate; servivano per cerimonie e brevi viaggi

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Quattro delle slitte rinvenute sono riccamente intagliate; servivano per cerimonie e brevi viaggi

Foto: Eirik Irgens / University of Oslo (trineo)

Questo letto di legno rinvenuto a Oseberg ha i due lati della testata che terminano con due teste stilizzate di animali

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Questo letto di legno rinvenuto a Oseberg ha i due lati della testata che terminano con due teste stilizzate di animali

Foto: Album

Testa intagliata in legno che adornava uno dei fianchi del carro funebre scoperto a Oseberg

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Testa intagliata in legno che adornava uno dei fianchi del carro funebre scoperto a Oseberg

Foto: Ove Holst / University of Oslo

Le origini dell'uomo dei ghiacci

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Le origini dell'uomo dei ghiacci

Il ritrovamento del cadavere di Ötzi ha permesso d’imparare molte cose sugli usi e costumi dei nostri antenati vissuti cinquemila anni fa, ma le origini geografiche di quest’uomo sono ancora incerte. Secondo alcuni, Ötzi proverrebbe forse dalla zona dell’attuale Toscana e non dall’est o dal nord del Tirolo, come creduto in un primo momento. Nel 2016, un quarto di secolo dopo la sua scoperta, uno studio esaustivo dell’ascia di rame rinvenuta vicino al cadavere ha rivelato che la proporzione di isotopi del piombo coincide con quella dei filoni di rame presenti in alcune zone del territorio toscano. Bisogna tenere presente che Ötzi visse nell’Età del rame, un periodo tra il Neolitico e l’Età del bronzo in cui gli uomini divennero sempre più sedentari, organizzandosi in comunità complesse che vivevano di allevamento, agricoltura e commercio. È stato suggerito che Ötzi non debba essere necessariamente vissuto in Toscana, ma che piuttosto l’ascia di rame potrebbe essere giunta nelle sue mani in seguito ad alcuni baratti.  

Nell'immagine, ascia di rame di Ötzi. L'oggetto indica che l'uomo dei ghiacci aveva un certo status nella sua comunità.

 

Foto: Kenneth Garrett

Medicine e tatuaggi terapeutici

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Medicine e tatuaggi terapeutici

L’uso di piante medicinali era già comune tra i neanderthaliani, quindi non è strano che in due tasche della cintura di Ötzi vi fossero due pezzi di Piptoporus betulinus, un fungo di betulla noto per le sue proprietà antibatteriche. Per curare la ferita procuratosi nei giorni precedenti Ötzi aveva applicato sulla mano un muschio con proprietà curative. Ma il dettaglio più straordinario è la presenza di numerosi tatuaggi sul corpo dell’uomo, che potrebbero aver avuto fini terapeutici perché posti in corrispondenza delle articolazioni. Del resto, Ötzi soffriva di artrite. La mummia ha 61 tatuaggi suddivisi in vari gruppi, alcuni posti in strati profondi dell’epidermide. Tutti presentano forme geometriche riunite in due gruppi: per lo più si tratta di linee parallele, ma in alcuni casi ci sono anche delle croci. I tratti che compongono i disegni misurano tra gli 0,7 e i 4 centimentri.

I due tatuaggi che compaiono sul petto coincidono con il punto in cui sappiamo che Ötzi patì forti dolori perché predisposto a problemi cardiaci (aterosclerosi). Per realizzare i tatuaggi s’incideva la pelle e si strofinavano le ferite con polvere di carbone. Non sappiamo se avessero fini estetici o terapeutici, ma non si può scartare l’ipotesi di un qualche misterioso significato religioso o simbolico.  

Nell’immagine, un tatuaggio a forma di croce vicino al ginocchio di Ötzi.

 

Foto: Robert Clark / Getty Images

Gli ultimi istanti di Ötzi

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Gli ultimi istanti di Ötzi

La fine di Ötzi rimase avvolta nel mistero per anni. All’inizio si pensò che fosse morto in un incidente mentre cercava di attraversare le Alpi, ma le indagini sulle sue vesti condotte dallo scienziato Tom Loy rivelarono tracce di sangue appartenenti a quattro individui. Fu allora che prese piede l’ipotesi della morte dovuta alle azioni di altre persone. Oggi sappiamo che Ötzi si ferì alla mano destra con un oggetto appuntito diversi giorni prima della sua morte: il taglio si stava infatti cicatrizzando. Dalle indagini l’ipotesi più verosimile sembra quella dell’omicidio a tradimento: Ötzi riposava quando l’assassino, che voleva evitare lo scontro aperto, gli si avvicinò alle spalle e gli scagliò contro una freccia da una trentina di metri. 

Il caso di Ötzi fu studiato nel 2014 dalla Sezione di indagini criminali di Monaco con gli ultimi metodi forensi. Poiché tutti gli oggetti di valore di Ötzi, tra cui la sua preziosa ascia di rame, erano rimasti sul luogo del misfatto, si è scartata l’ipotesi del furto. Si crede oggi che il movente dell’omicidio fosse un qualche conflitto personale, forse legato al precedente scontro che causò la ferita alla mano. Quel che è certo è che gli ultimi istanti di vita di Ötzi furono una lenta agonia. Qualche minuto prima di morire l’uomo stava riposando dopo un sontuoso banchetto a base di carne e felci.  

Il disegno ricostruisce il momento in cui Ötzi fu colto alle spalle da una freccia. Non sapremo mai cosa accadde, ma gli scienziati hanno suggerito un’ipotesi: Ötzi era stato ferito in uno scontro con uno o più uomini ed era fuggito precipitosamente cercando di depistare i nemici. Una volta sulle Alpi, credendosi in salvo aveva ingerito il suo ultimo pasto e provato a curare le sue ferite. Ma alla fine venne stanato e aggredito. Dopo esser stato colpito dalla freccia che gli recise un’arteria, cadde a terra e batté la testa contro una roccia – o forse lo colpirono –, perse conoscenza e morì dissanguato.

 

Foto: SPL / Age Fotostock

L'equipaggiamento di un uomo del Neolitico

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L'equipaggiamento di un uomo del Neolitico

L'attrezzatura che Ötzi portava con sé sorprese gli scienziati. Indicava che era pronto per un lungo viaggio, perché vicino al suo cadavere c’era un vero e proprio kit di sopravvivenza. Legato alla cintura portava un marsupio di pelle che conteneva un set di piccoli strumenti: un raschiatoio, un perforatore, una lamella di selce affilata e pezzi di fungo d’esca (utile “miccia” per accendere il fuoco). C’era pure un ritoccatore fatto di corna di selvaggina e legno, che dovette utilizzare per affilare gli utensili in selce. Ötzi possedeva anche un pugnale corto fatto di una pietra chiamata chert, con una guaina in fibre vegetali, due punte di freccia sparse e, nella faretra, 12 frecce senza punta in legno di viburno. Viaggiava armato di un’ascia di rame e un grande arco non finito di legno, che si ruppe durante l’estrazione dal ghiaccio, e portava con sé pure due recipienti in corteccia di betulla. Uno conteneva foglie di acero riccio appena raccolte e frammenti di carbone di legna: usava forse il recipiente per mantenere accese le braci. In tutto possedeva oggetti di 18 legni diversi, il che dà un’idea della conoscenza che si aveva all’epoca circa le specie vegetali. Accanto al corpo furono ritrovate corde e una rete che doveva forse servire per cacciare uccelli o trasportare oggetti. I suoi indumenti, assemblati con cinque pelli diverse, erano completi e adatti al freddo, e includevano un’efficiente calzatura impermeabile. 

Pezzi: 1. Resti di calzoni. 2. Utensili e corda. 3. Recipiente in corteccia di betulla. 4. Berretto in pelle. 5. Rete in corteccia di albero per contenere la paglia che riempiva la scarpa. O forse era parte di una racchetta da neve. 6. Faretra di pelle e frecce senza punta. 7. Ascia di rame. 8. Punta di selce.

 

1. 2. e 3: W. Neeb / Bridgeman / ACI. 4 e 5: Robert Clark / Getty Images. 6: Kenneth Garrett / Getty Images. 7 e 8: Robert Clark / Getty Images

Cinquemila anni tra i ghiacci

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Cinquemila anni tra i ghiacci

Quando il cadavere di Ötzi venne trovato da Helmut ed Erika Simon era in posizione prona, con il braccio sinistro allungato e incrociato davanti al petto. Quello destro invece era steso lungo il fianco. Tale posizione fu spiegata solo dieci anni dopo il suo ritrovamento, nel 2001, quando il radiologo Paul Gostner, dell’ospedale di Bolzano, scoprì che Ötzi era stato assassinato: la mummia aveva una punta di freccia conficcata nella spalla sinistra, una ferita mortale che gli aveva paralizzato il braccio e aveva sezionato l’arteria, causando la morte per dissanguamento. Alcuni scienziati suggerirono poi che la posizione del cadavere potesse essere dovuta al fatto che, dopo la morte, qualcuno avrebbe girato Ötzi per provare a estrarre la freccia. Costui avrebbe strappato l’asta senza però riuscire a rimuovere la punta che rimase conficcata nel cadavere. 

Due giorni dopo il ritrovamento di Ötzi, quando si cercò d’introdurre il corpo in una cassa di legno per trasportarlo all’Istituto di medicina forense di Innsbruck, gli addetti allo spostamento del corpo gli torsero il braccio disteso, rompendogli accidentalmente l’omero sinistro, che dovette essere ricomposto. Oggi Ötzi è esposto nella stessa posizione in cui venne trovato, anche se supino, all’interno del Museo archeologico dell’Alto Adige, a Bolzano.  

Questo disegno ricostruisce gli ultimi attimi di vita di Ötzi. L’uomo del ghiaccio giace moribondo nel luogo che sarebbe divenuto la sua tomba, ricoperto dal suo mantello di paglia e con il braccio sinistro piegato sotto il corpo, come venne scoperto cinquemila anni più tardi.

 

Illustrazione: Gregory Harin / NGS

Ötzi riemerge dai ghiacci

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Ötzi riemerge dai ghiacci

Era il 19 settembre 1991. Una coppia tedesca in vacanza sulle Alpi, i Simon, scendeva dalla punta di Finale, una vetta a più di 3.500 metri di altitudine nelle Alpi di Ötzal o Venoste. Durante l’escursione s’imbatterono in un cadavere tra le nevi del ghiacciaio di Hauslabjoch. In un primo momento pensarono che si trattasse dei resti di un escursionista rimasto sepolto sotto la neve, forse per decenni. Il luogo del ritrovamento dista appena 90 metri dalla frontiera tra Italia e Austria, e i Simon decisero di avvisare le autorità austriache. La loro scelta causò un conflitto tra i due Paesi, che reclamarono per sé i resti. La contesa si risolse solamente quando venne stabilito il punto esatto del ritrovamento, in territorio italiano. In ogni caso, il corpo di Ötzi venne in un primo momento esaminato dalle autorità austriache che, come i Simon, propendevano per l’ipotesi del cadavere di un escursionista scomparso e nei giorni seguenti estrassero il corpo dal ghiaccio e lo portarono in elicottero a Innsbruck per sottoporlo all’autopsia. Ma appena iniziarono ad analizzarlo apparve chiaro che quello di Ötzi era un ritrovamento straordinario. La pelle, l’ascia di rame e altri utensili rinvenuti vicino al cadavere indicavano che era molto più antico, e a Ötzi s’interessarono vari archeologi, tra cui Konrad Spindler, allora capo dell’Istituto di Preistoria dell’Università di Innsbruck, che sarebbe diventato uno dei più grandi esperti in materia.  

Dopo il ritrovamento di Ötzi nella zona accorsero curiosi e alpinisti come il sudtirolese Reinhold Messner (a destra nell’immagine). A partire dall’osservazione di elementi come l’ascia rustica e l’arco in legno di tasso, Messner capì subito la portata dell’evento. «Non appena lo vidi mi resi conto che si trattava di un’importante scoperta archeologica», disse.

 

Foto: Paul Hanny / Gamma-Rapho / Getty Images

Fastigiadu

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Fastigiadu

È il nome che i res tauratori hanno dato a questo pugilatore composto da 49 frammenti ricostruiti.

Foto: Marco Ansaloni

La testa di Fastigiadu

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La testa di Fastigiadu

Gli occhi sono due cerchi concentrici perfetti.

Foto: Marco Ansaloni

Prexiau

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Prexiau

L’arciere mostra, ben conservati, i capelli raccolti in trecce e l’impugnatura  dello scudo. 

Foto: Marco Ansaloni

Scudo di guerriero

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Scudo di guerriero

È stato ricostruito a partire da 23 frammenti. La superficie era decorata con incisioni a scalpello.

Foto: Marco Ansaloni

Quattro divinità

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Quattro divinità

Sulle quattro placchette esterne del calderone di Gundestrup sono raffigurate divinità con le mani in alto in atteggiamento orante. Sulle loro spalle compaiono diverse figure: un pugile e un personaggio che salta sopra un cavallerizzo; due uomini che danno la caccia a un cinghiale (nell'immagine); due animali metà cavallo e metà drago, e due cervi. Probabilmente queste immagini sono legate alle narrazioni mitiche evocate nei racconti irlandesi successivi.

 

Foto: Kit Weiss / National museum of Denmark

Processione dei guerrieri verso l’aldilà

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Processione dei guerrieri verso l’aldilà

Il dio raffigurato appare con un codino o un berretto con una nappa. Tra le mani tiene un uomo a testa in giù e sembra lo stia immergendo in un oggetto a forma di cubo sotto il quale si vede un cane che fa un balzo in aria. Compaiono poi due file di guerrieri, divisi da un albero disposto in senso orizzontale. I guerrieri della fila superiore sono cavallerizzi con elmi tipicamente celtici con ornamenti diversi, mentre quelli della fila inferiore sono fanti muniti di lance e scudi oblunghi tipici dell’Europa Centrale e Occidentale. Gli ultimi tre uomini della fila inferiore suonano il carnyx, il famoso corno da guerra celtico, sopra i quali è raffigurato un serpente. 

Alcuni dettagli non sono di origine celtica, come gli abiti e dischi che assicurano i tiri dei cavalli, che sono dello stesso tipo di quelli dell’Europa del Sud. Qualcuno ritiene che i cavalli siano bardati secondo lo stile dei cavallerizzi ausiliari romani, molti dei quali provenivano dalla Tracia. 

Si ritene che l’immagine rappresenti un’immersione rituale in un «calderone della resurrezione»: i guerrieri morti marciano con la lancia in spalla verso il calderone e poi se ne allontanano a cavallo una volta resuscitati per vivere in un mondo celeste. Il cane e il serpente con le corna sarebbero simboli dell’altro mondo, mentre l’albero orizzontale separerebbe l’inframondo dal paradiso. Secondo altri studiosi, però, la scena rappresenterebbe una morte per annegamento che si incontra spesso nei racconti irlandesi, come Aided Muirchertaig maic Erca e Aided Diarmada.

Foto: Erich Lessing / Album

Il Giove celtico?

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Il Giove celtico?

Al centro, il busto di un dio barbuto regge nella mano destra una mezza ruota, alla quale si aggrappa a sua volta un altro personaggio che sta saltando su un serpente con le corna. A ciascun lato del gruppo c’è un lupo o un leone, mentre al di sotto sono raffigurati tre grifoni in fila. Alcuni studiosi hanno identificato la divinità Taranis, il Giove celtico, che di solito è rappresentato insieme alle ruote. Altri, invece, vedono il giovane dio Cú Chulainn, protagonista del racconto irlandese Táin Bó Cuailnge, nel quale usa una ruota spezzata contro il dio barbuto Fergus. Il serpente con le corna potrebbe essere la dea Morrigan che, in un altro aneddoto della storia, si maschera da anguilla e alla fine viene calpestata e schiacciata da Cú Chulainn.

Foto: Kit Weiss / National museum of Denmark

La dea degli elefanti

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La dea degli elefanti

Una dea compare raffigurata sopra un carro del quale si vedono molto chiaramente le ruote.
Ai due lati della dea vi sono due elefanti che si fronteggiano. Sotto di essi sono disposti due grifoni, anch’essi che si fronteggiano, e tra questi, sotto al carro, c’è un cane. È stato ipotizzato che l’esotica presenza degli elefanti si spieghi attraverso l’influenza di una qualche moneta romana che rappresenta due elefanti che tirano un carro. La figura centrale è stata identificata con la dea celtica Medb, divinità della guerra e del potere. I diversi animali che la circondano e il carro sul quale è seduta rappresenterebbero, in questo caso, sia la sua natura guerriera sia il suo dominio del territorio.

Foto: Kit Weiss / National museum of Denmark

La vittoria finale sul caos

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La vittoria finale sul caos

Per la sua posizione, la placca tonda che era collocata alla base del calderone è forse la scena più importante di tutte quelle che illustrano l’oggetto. Gran parte della superficie è occupata da un toro ferito. Sopra il bovino compare il suo avversario, una donna armata con una spada alzata, pronta ad attaccare. Tre cani sembrano aiutare la donna, anche se uno di essi è morto durante il combattimento: giace raggomitolato ed è poco marcato. Alcuni studiosi ritengono che il toro potrebbe simboleggiare il caos dell’universo, mentre la dea che riveste il ruolo della “carnefice” cercherebbe di assicurare, con la morte dell’animale, che l’ordine del mondo rimanga intatto: il bene, dunque, sta vincendo la partita, poiché il potente toro è già caduto al suolo e lo aspetta il colpo fatale.

Foto: Werner Forman / Gtres

Uccisione rituale

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Uccisione rituale

In questo pannello interno del calderone di Gundestrup sono raffigurati tre tori che guardano nella stessa direzione. Davanti a ogni toro c’è un uomo sul punto di attaccarlo con una spada; sotto, tre cani corrono verso sinistra mentre una creatura simile a un gatto fa lo stesso sulla groppa del toro. La composizione tripla è stata messa in relazione con l’usanza celtica di rappresentare in gruppi di tre le azioni degli eroi e l’uccisione dei mostri, anche se va sottolineato che le figure non sono completamente identiche, poiché l’uomo al centro indossa una giacca e gli altri due no. Poiché i tori e le figure umane sono raffigurati in posa molto stilizzata, si ritiene che la scena rappresenti un’uccisione rituale.

Foto: Kit Weiss / National museum of Denmark

Il dio cervo

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Il dio cervo

Sulla placca compare un personaggio con corna di cervo, una torque al collo e un’altra nella mano destra, e un serpente con le corna nella mano sinistra. Da sinistra a destra si possono identificare i seguenti animali: un toro, un cervo, un cane, un leone (o cinghiale), un delfino (o storione) con cavaliere, un altro toro e due leoni che lottano. Il personaggio con le corna è stato identificato con il dio celtico Cernunnos, signore degli animali, e le due torque sarebbero il simbolo della sua ricchezza e prosperità. Tuttavia, la calzamaglia aderente e retta da una cintura non è celtica, ma somiglia agli indumenti dei cavallerizzi dell’Europa sudorientale. Altri credono che si tratti dell’equivalente gallico dell’eroe irlandese Cú Chulainn.

 

Foto: Kit Weiss / National museum of Denmark

Dèi senza nome né storia

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Dèi senza nome né storia

I rilievi del calderone di Gundestrup sono ricchi di immagini molto dettagliate che senza dubbio avevano un significato concreto per i traci o i celti, ma che oggi risultano molto difficili da interpretare. Non v’è dubbio alcuno che i personaggi principali siano dèi, però non conosciamo con certezza la loro identità. I tentativi di decifrazione realizzati dagli studiosi hanno seguito due linee. Alcuni hanno cercato dei parallelismi nella mitologia celtica o gallica così come ci è stata trasmessa dalle fonti antiche, il che, per esempio, ha permesso di identificare la presenza di Cernunnos, il dio con corna di cervo. Altri studiosi, invece, hanno cercato parallelismi con i racconti dei celti irlandesi trascritti nel Medioevo, come il Ciclo dell’Ulster. In questo caso, il presunto Cernunnos sarebbe il modello originario gallico di un personaggio della mitologia irlandese, Cú Chulainn. 

Foto: Kit Weiss / National museum of Denmark

Sul piedistallo

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Sul piedistallo

Mediante l’ausilio di una leva e delle corde, il moai veniva collocato in posizione eretta e sistemato su un gigantesco piedistallo (ahu).

Illustrazione: Getty Images

Preparazione

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Preparazione

Il moai veniva adagiato dalla parte del ventre su una slitta in legno e veniva fatta passare una corda intorno al collo della statua.

 

Illustrazione: Getty Images

Trasporto di legno di cedro del Libano con navi fenicie. Rilievo del palazzo del re Sargon II d’Assiria a Khorsabad. VIII secolo a.C. Musée du Louvre, Parigi

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Trasporto di legno di cedro del Libano con navi fenicie. Rilievo del palazzo del re Sargon II d’Assiria a Khorsabad. VIII secolo a.C. Musée du Louvre, Parigi

La corda veniva poi fissata al vertice di due pali a forcella. Tirando quest’ultima in posizione verticale, la statua si spostava in avanti.

 

Illustrazione: Getty Images

Hathor, Micerino e il nomo di Cinopoli

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Hathor, Micerino e il nomo di Cinopoli

Sulla destra del faraone, la dea Hathor, mentre sulla sinistra,
la divinità del nomo, o provincia, di Cinopoli. Le mani delle dee sono visibili sulle braccia del re. Altezza: 96 centimetri. Museo egizio, Il Cairo. 

 

Foto: Dea / Album

Hator, Micerino e il nomo di Tebe

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Hator, Micerino e il nomo di Tebe

Micerino, al centro, ha in mano dei rotoli. Alla sua destra, Hathor, e a sinistra, con dimensioni estremamente ridotte, la personificazione del nomo di Tebe. Altezza: 92 centimetri. Museo egizio, Il Cairo.

 

Foto: José Lucas / Age Fotostock

La triade di Hator

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La triade di Hator

La dea Hathor, sul trono, sostiene per la vita Micerino, che regge nella mano destra una mazza. Accanto alla dea, la rappresentazione del nomo della Lepre, di dimensioni minori. Altezza: 84,5 centimetri. Museum of Fine Arts, Boston.

 

Foto: Bridgeman / Aci

La grande sposa reale

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La grande sposa reale

Si ritiene che la donna rappresentata insieme al faraone Micerino in questo gruppo scultoreo sia la sua Grande sposa reale, la regina Khamerernebti II, anche se per alcuni ricercatori potrebbe trattarsi della madre. Questa diade presenta delle similitudini formali con le triadi ritrovate da Reisner nello stesso luogo. Qui il faraone indossa un nemes, copricapo regale, e il suo gonnellino è liscio e non pieghettato.
La donna, della sua stessa statura (un segno della sua importanza), sostiene il sovrano, imitando la postura della dea Hathor in quello che sembra un gesto di protezione o forse di legittimazione del monarca per linea materna. La statua, incompiuta, misura 139,5 cm di altezza ed è conservata al Museum of Fine Arts di Boston.

 

Foto: Bridgeman / Aci

Cortei dionisiaci e le avventure di Paride

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Cortei dionisiaci e le avventure di Paride

In alto, sulla destra della composizione, ammiriamo il corteo di Dioniso, aperto da due satiri con delle torce e seguiti da un gruppo di centauri. Tutti indossano pelli di leopardo, un animale associato al dio.

La parte inferiore inizia a sinistra con il giudizio di Paride in merito alla bellezza delle dee Atena, Era e Afrodite. La scelta del principe troiano ricadrà su Afrodite. Questa decisione, insieme alla fuga di Elena e Paride ritratta a destra sarà il preludio della guerra di Troia.

Foto: Asf / Album

Una sfida per la mano di Ippodamia

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Una sfida per la mano di Ippodamia

In questo pannello, sulla sinistra vediamo il re di Olimpia Edomao seduto sul trono e circondato da alcuni personaggi, tra cui il suo auriga Mirtilo, vestito di bianco. Questi lo tradirà aiutando Pelope, il pretendente della principessa Ippodamia, a vincere la gara.

Nella scena sulla destra è invece rappresentata Ippodamia mentre abbraccia l’amato Pelope, che indossa un copricapo frigio ed è appena sceso dalla quadriga con cui ha sconfitto il re Enomao, vincendo così la mano della principessa. 

 

Foto: Asf / Album

Attori, pugili e trombe

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Attori, pugili e trombe

Nella parte più a destra di questo mosaico compaiono quattro attori, due dei quali interpretano personaggi femminili, intenti a mettere in scena un’opera teatrale. 

Sotto compaiono dei pugili e un suonatore di tromba incorniciati da alcune colonne.

 

 

Foto: Asf / Album

Quasi trecento metri quadrati

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Quasi trecento metri quadrati

La sala tricora è l’ambiente della villa romana di Noheda con la maggior presenza di mosaici. Si estende su una superficie di ben 290,64 metri quadri alla quale si accedeva tramite uno spazio porticato e aveva probabilmente la funzione di triclinio – la sala da pranzo in cui il facoltoso proprietario organizzava sontuosi banchetti. 

Le tre esedre, o absidi, conservano una decorazione musiva geometrica e floreale, mentre il resto della stanza (231 metri quadri) è caratterizzato da splendidi mosaici figurativi quasi tutti a tema mitologico. 

In alto, il triclinio tricoro della villa romana di Noheda. Nell'immagine si possono distinguere i pannelli in cui è suddiviso.

Foto: Asf / Album

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