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Nella storia del Giappone i tatuaggi sono sempre stati presenti, con diversi usi e significati. Alcuni storici spiegano che l’arte del tatuaggio è presente nell’arcipelago fin dal periodo Jōmon, circa 10mila anni fa. Fu però durante il periodo Edo (1603-1868) che assunse maggior rilevanza. Lo usavano differenti classi sociali, ma si diffuse soprattutto tra la nobiltà e i criminali. La tecnica del tatuaggio tradizionale, i cui motivi potevano essere mitologici, storici, o perfino sentimentali o estetici, era nota come Horimono. L’Horimono rispondeva peraltro a una tecnica concreta: malgrado oggi si usi anche il procedimento occidentale, anticamente i tatuaggi si eseguivano solo mediante una tecnica chiamata tebori. Questa consisteva nell’introdurre sottopelle una tinta attraverso uno strumento specifico detto dogu, che richiedeva grande abilità e precisione, oltre che molta concentrazione da parte del tatuatore. Naturalmente questo metodo era molto più lento, e per arrivare a coprire gran parte del corpo ‒ com’era abituale ‒ le giornate di lavoro potevano diventare settimane, mesi e addirittura anni, anche perché i disegni erano molto elaborati e pieni di dettagli. Fu questo il caso della donna ritratta in questa immagine, scattata nell’estate 1937, il cui tatuaggio richiese tre anni per essere completato.