Ricerche clandestine

Foto: Cordon Press

Il 30 dicembre di dieci anni fa moriva, all’età di 103 anni, Rita Levi-Montalcini, scienziata premio Nobel per la medicina e senatrice a vita. Ripercorrere la sua vita equivale a rivivere un pezzo di storia italiana. Nata a Torino nel 1909 in un’agiata famiglia ebrea, con un padre dalla mentalità vittoriana per il quale gli studi universitari ne avrebbero ostacolato i doveri di moglie e madre, Levi-Montalcini scelse comunque di studiare medicina. Conobbe così l’istologo Giuseppe Levi, il padre di Natalia Ginzburg, che la iniziò alla ricerca scientifica. In seguito all’emanazione delle leggi razziali, la scienziata dovette abbandonare l’Italia, insieme alla famiglia e al suo mentore, e nel 1939 fu accolta come ospite presso l’università di Bruxelles. L’invasione nazista del Belgio la costrinse nuovamente alla fuga, e nell’inverno del 1940, di ritorno a Torino, istituì un laboratorio clandestino nella propria camera da letto. Come ricorda la stessa scienziata, la parte più difficile fu procurarsi un microscopio, uno strumento molto costoso. Mentre rientrava da Milano con l’ingombrante pacco, fu fermata da alcuni poliziotti che sospettavano si trattasse di un panettone comprato alla borsa nera, ma alla vista del misterioso oggetto la lasciarono passare. Dopo l’8 settembre i Levi dovettero nuovamente trasferirsi, questa volta a Firenze, per sfuggire alla deportazione, ma malgrado i continui spostamenti e la clandestinità la scienziata non abbandonò mai le sue ricerche. Il frutto dei suoi studi fu la scoperta del fattore di crescita nervoso, una nozione fondamentale per le ricerche neurologiche, che nel 1986 le valse il Nobel per la medicina.

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