
Foto: Pubblico dominio
Il 6 agosto fu un giorno fatidico nella storia della guerra: è la data in cui la città di Hiroshima fu praticamente cancellata dalla faccia della terra dalla prima bomba atomica della storia. Morirono più di 160mila persone: anche se non fu l'attacco più devastante della guerra sul suolo giapponese, provocò un grande shock nell'opinione pubblica per la brutalità e l'immediatezza della distruzione.
Nonostante le immagini di devastazione, una seconda bomba atomica fu sganciata sulla città di Nagasaki tre giorni dopo, uccidendo altre 80mila persone circa. All'epoca, il presidente degli Stati Uniti Harry Truman giustificò questa decisione con il desiderio di ottenere una resa immediata ed evitare così un'invasione del Giappone che avrebbe potuto costare molte più vite. Se così era, ci riuscì: sei giorni dopo il Giappone si arrese senza condizioni.
Ma già all'epoca ci s'interrogava sulla necessità e soprattutto sulla moralità dell'uso di armi così devastanti contro intere città, che causavano la morte indiscriminata di decine di migliaia di persone che non avevano nulla a che fare con la guerra e lasciavano cicatrici a lungo termine nei sopravvissuti. Questa decisione pesa ancora molto sulla memoria di Truman, il diretto responsabile dell'ordine di bombardare: soprattutto del secondo, quando le conseguenze erano ormai note.
In seguito ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki s'intensificarono le richieste internazionali di controllare e regolamentare l'uso delle armi nucleari, portando alla creazione di organizzazioni e trattati internazionali per prevenire la proliferazione delle armi nucleari. Ciò non impedì ulteriori test nucleari durante la Guerra fredda, ma una bomba nucleare non è mai più stata sganciata su un'area popolata.