Della regina Zenobia si sa molto poco, a parte gli eventi politici concentratisi in pochi anni, tra il 258 e il 272 d.C. Fu in questo periodo che il regno di Palmira, da lei governato, assunse d’improvviso importanza, distaccandosi dall’impero romano e dichiarandosi indipendente. La ribellione di questa coraggiosa regina non durò molto, ma in pochi anni riuscì a creare un regno cosmopolita incredibilmente esteso, supportato da diverse popolazioni locali.

La regina Zenobia dà ordini ai soldati. Giambattista Tiepolo, 1725-30
Foto: Cordon Press
L’erede di Cleopatra
Della regina Zenobia non si sa per certo né quando nacque, né quando morì: di lei gli storici antichi iniziano a parlare solo nel 258 d.C., quando compare al fianco di Settimio Odenato, signore di Palmira, come sua seconda moglie. C’è chi sostiene che fosse araba, chi la diceva ebrea: lei, per parte sua, affermò sempre di discendere dalla regina Cleopatra, rivendicando un’ascendenza egizia che sarebbe stata dimostrata dalle sue conoscenze di quelle terre (sulle quali scrisse anche un trattato) e dalla sua scioltezza nel parlarne la lingua. Il nome latino completo era Iulia Aurelia Zenobia (a cui dopo il matrimonio si aggiunse Settimia), il che fa pensare che la sua famiglia avesse acquisito la cittadinanza romana circa cento anni prima, sotto la dinastia degli Antonini.
Gli storici la descrivono come bella, casta, coraggiosa e intelligente; la sua corte a Palmira, al crocevia delle rotte commerciali tra Oriente e Occidente, attirava intellettuali da ogni parte dell’impero, tra cui spiccavano lo storiografo Callinico e Cassio Longino, il retore ateniese che divenne suo primo consigliere. La regina accompagnava il marito a caccia e sapeva sopportare fatiche e privazioni come un uomo.

Le fattezze della regina in una moneta del 272
Foto: Pubblico dominio
Palmira, il baluardo dell’impero a Oriente
Il marito Odenato tuttavia non si dilettava soltanto nella caccia: era il periodo dell’anarchia militare, in cui la carica di imperatore non rimaneva la stessa per più di pochi anni, e l’instabilità politica si abbatteva con facilità su ogni provincia dell’impero. Fu così che Odenato venne coinvolto in uno degli episodi più traumatici della storia di Roma: il rapimento dell’imperatore Valeriano da parte dei persiani, guidati dal re Sapore I, nel 260. In quell’occasione, la sconfitta delle truppe romane permise ai persiani d’infiltrarsi in profondità nei confini dell’impero, fino a conquistare l’intera provincia mesopotamica.
La supremazia romana fu ripristinata proprio da Odenato che, per conto del nuovo imperatore Gallieno, sconfisse più volte il re Saporo, riconquistando la provincia armena e diverse città mesopotamiche, fino ad assediare i persiani nella loro stessa capitale. Nel 262 Gallieno, grato per il ruolo svolto da Odenato nella zona, gli conferì i titoli di dux romanorum, re dei re e rector Orientis: gli affidò insomma la giurisdizione sulle province romane orientali che andava via via riconquistando. Si trattava di un potere quasi imperiale, per quanto sottoposto a quello di Gallieno, e aveva addirittura valore ereditario: fu proprio questo che spinse Zenobia all’azione.

Ritratto di Zenobia eseguito da Sir Edward Poynter (1878)
Foto: Pubblico dominio
La "regina guerriera"
La regina aveva infatti avuto dal marito almeno due figli, ma l’erede del regno di Palmira sarebbe stato Erodiano, il figlio di primo letto del regnante. Non potendo sopportare quest’idea, nel 267 Zenobia istigò un parente di Odenato, Meonio, a ucciderle il marito e il figliastro. In seguito si assicurò di giustiziare anche Meonio e assunse la reggenza per conto del figlio Vaballato, all’epoca ancora un infante.
Da principio la regina non si schierò apertamente contro l’impero romano, anzi, ribadì il proprio ruolo di garante dei confini orientali consolidando e rinforzando la provincia. Tuttavia, davanti all’instabilità di Roma (a Gallieno era già succeduto un nuovo imperatore, Claudio il Gotico, che rimase al potere per meno di due anni), la donna iniziò a progettare un regno autonomo, indipendente, che riunisse le diverse popolazioni d’Oriente ‒ greci, persiani, romani, ebrei, siriani ‒ sotto l’egida di un ellenismo cosmopolita. In un certo senso, era il suo regno a garantire stabilità a Roma, non il contrario: perché dunque sottomettersi a un potere imperiale che non le garantiva nulla?

Resti delle terme fatte costruire dalla regina Zenobia a Palmira
Foto: Pubblico dominio
Zenobia nominò quindi come comandante delle sue truppe l’abilissimo Settimio Zabdas e nel 269 iniziò la conquista di Arabia e Giudea, che in poco tempo caddero nelle sue mani. Poco dopo il comandante si diresse verso il confine con l’Egitto, a cui la regina si sentiva particolarmente vicina per via della sua presunta discendenza tolemaica. Non si sa se Zenobia fosse informata dell’imminente morte dell’imperatore Claudio o se fu soltanto un colpo di fortuna, ma il caos dinastico generato dal decesso dell’imperatore distrasse le alte gerarchie dalle vicende di provincia, e grazie all’abilità di Zabdas in pochi mesi Palmira conquistò l’Egitto. La regina inviò quindi il comandante in Siria e Asia Minore, dove le sue conquiste portarono il regno di Palmira al suo apogeo politico e territoriale.
La ribellione
Nel 270 la ribellione di Zenobia divenne palese: la regina assunse infatti il nome di Augusta (titolo riservato fino ad allora soltanto all’imperatore) e iniziò a battere moneta con il nome del figlio. Il nuovo imperatore Aureliano, che fino a quel momento aveva chiuso un occhio sulle sue conquiste perché persuaso delle migliori capacità amministrative della donna, scelse quindi di intervenire. Nel 271, repressa la rivolta dei goti che lo aveva impegnato fino a quel periodo, Aureliano si diresse dunque verso Oriente deciso a sconfiggere la “regina guerriera”.

L'estensione del regno di Palmira al suo apogeo
Foto: Pubblico dominio
La strategia di Aureliano fu intelligente: fin dalla prima città conquistata, Tyana, l’imperatore scelse di mostrare clemenza verso gli abitanti assediati, la cui città era stata presa grazie al tradimento di uno di loro. Questo gesto divenne presto noto nella zona, e incoraggiò molte città assediate ad arrendersi facilmente all’imperatore, consapevoli che non avrebbero subito vendette. Ciò nonostante, le tribù nomadi del deserto e gli stessi persiani di Sapore erano dalla parte di Zenobia, che insieme al fidato comandante era fiduciosa di poter resistere all’assedio imperiale.
Tuttavia, due importanti battaglie campali ‒ quella di Immae e quella di Emesa ‒ diedero la vittoria ad Aureliano. Zenobia e Zabdas si asserragliarono dunque a Palmira, convinti di poter resistere a qualunque assedio: la città era costruita attorno a un’oasi, e dunque le riserve d’acqua e di cibo non si sarebbero esaurite, a differenza di quelle dell’esercito assediante. Inoltre, attendevano a momenti i rinforzi delle popolazioni tribali ‒ che in effetti durante una scaramuccia nel deserto avevano inflitto una ferita allo stesso imperatore ‒ e soprattutto quelli dei persiani.

Herbert Schmalz, 'L'ultimo sguardo della regina Zenobia su Palmira durante l'assedio romano'
Foto: Pubblico dominio
Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!
Come se si trattasse di un generale
Fu così che, quando Aureliano mandò un’ambasciata alla regina offrendole di risparmiare lei e la città se gli si fosse arresa, Zenobia rifiutò sdegnosamente, inviandogli un messaggio scritto di suo pugno dal consigliere Longino. La donna non poteva sapere che proprio in quei giorni il re Saporo stava morendo, e che dunque i contingenti da lui inviati non sarebbero mai arrivati. Quando Zenobia s’inoltrò nel deserto in groppa a un dromedario insieme al figlio per parlare di persona con il re persiano, le truppe di Aureliano la raggiunsero e catturarono. La città di Palmira, privata della sua regina e allettata dalla clemenza imperiale, scelse di arrendersi, e la rivolta ebbe fine.
Dopo questa sconfitta non si sa esattamente che cosa accadde di Zenobia. I suoi consiglieri e il generale furono condannati a morte, ma lei fu trasferita a Roma per sfilare come prigioniera nel trionfo di Aureliano, celebratosi nel 274. Davanti ai senatori che lo deridevano per aver esibito una donna come bottino di guerra, come se si trattasse di un generale avversario, l’imperatore rispose che, se avessero conosciuto la saggezza di Zenobia, la sua determinazione, la sua fermezza, generosità e disciplina, l’influenza esercitata sulle scelte del marito e il timore che incuteva nelle popolazioni orientali, non ne avrebbero sottovalutato l’importanza.

Giambattista Tiepolo, 'La resa della regina Zenobia di Palmira'
Foto: Pubblico dominio
Che cosa sia seguito a questo trionfo non è chiaro. La vulgata sostiene che Zenobia ricevette il perdono imperiale, che le fu donata una villa a Tivoli, che si risposò con un ricco romano da cui ebbe molte figlie e che intrattenne una raffinata corte nella campagna romana. Altri storici affermano che la donna si lasciò morire di fame per protesta, o che perì di malattia, o addirittura che Aureliano la fece decapitare. Quello che rimane di lei sono le parole di elogio di un nemico e il sogno effimero di un regno orientale indipendente.

Se vuoi ricevere la nostra newsletter settimanale, iscriviti subito!