Winckelmann, tragica fine di un archeologo

Johann Joachim Winckelmann è considerato il padre fondatore dell'archeologia moderna e della storia dell'arte antica. Venne ucciso da un cuoco a Trieste, mentre tornava a Roma da Vienna, ma le cause sono ancora avvolte nel mistero

Anton Raphael Mengs, 'Johann Joachim Winckelmann' (1755 circa). Metropolitan Museum of Art, New York

Anton Raphael Mengs, 'Johann Joachim Winckelmann' (1755 circa). Metropolitan Museum of Art, New York

Foto: Pubblico dominio

Ci sono dei delitti che forse non verranno mai svelati. E se la vittima è un personaggio di spicco, le ipotesi e i depistaggi aumentano di pari passo con l'interesse popolare.

I primi anni

Johann Joachim Winckelmann nacque nel 1717 a Stendal, nella marca di Brandeburgo, da una famiglia di umili origini. Del padre sappiamo che era calzolaio, mentre la madre era figlia di un tessitore. Grazie a una spiccata intelligenza e a una ferrea forza di volontà, Winckelmann riuscì non solo a proseguire gli studi, ma anche a specializzarsi prima in teologia ad Halle e poi in medicina e matematica a Jena. Finiti gli studi, cominciò a insegnare come istitutore. In questo periodo approfondì la conoscenza dei classici greci e latini, e nel 1748 spiccò il primo salto di carriera diventando bibliotecario e aiutante del conte Henrich von Bünau, che viveva vicino a Dresda e si occupava di ricerche storiche. Sei anni dopo, Winckelmann venne assunto dal cardinal Passioneri a Dresda, sempre come bibliotecario. In questo periodo abbandonò la fede luterana (che non aveva mai praticato) per convertirsi al cattolicesimo.

La grande svolta arrivò nel 1755, quando grazie a un sussidio del re di Sassonia si trasferì a Roma, dove prima divenne bibliotecario del cardinal Archinto e successivamente prese servizio presso il cardinal Albani, appassionato collezionista di arte classica. Qui non si occupò più solo della biblioteca, ma prese a gestire e catalogare la collezione del prelato. Il nuovo impiego gli offriva la possibilità di fare man bassa d'informazioni sulle opere archeologiche e di poterle studiare dal vivo. In breve divenne uno studioso di fama europea, tanto da passare alla Cancelleria vaticana. Nel 1763 fu nominato prefetto delle antichità del Vaticano. Questa nuova carica gli dava l'opportunità di seguire direttamente gli scavi e di prendere in prima persona decisioni sull'esportazione dei reperti.

Raffigurazione del cardinale Alessandro Albani, il munifico protettore di Winckelmann a Roma

Raffigurazione del cardinale Alessandro Albani, il munifico protettore di Winckelmann a Roma

Foto: Pubblico dominio

Un nuovo modo di studiare l'arte

Per Winckelmann, vivere a Roma e avere la possibilità di osservare da vicino le opere dell'arte classica fu una fortuna straordinaria. L'esperienza diretta unita alla conoscenza enciclopedica delle fonti antiche gli diede l'ispirazione per concepire uno studio delle vestigia secondo criteri nuovi. Fino a quel momento, infatti, si era tentato di ricostruire un mondo perduto, ammantato dal mito.

Un primo passo per avvicinarsi a una ricostruzione meno ideale e più reale era stato fatto da Giorgio Vasari, il quale con le sue Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori aveva dato l'opportunità di leggere l'opera nel contesto biografico del suo autore. Winckelmann lo superò, dandole un'interpretazione alla luce del contesto storico più ampio. Non è infatti un caso se viene considerato a tutti gli effetti il “padre della storia dell'arte antica”. All'epoca, si parlava di una generica “arte classica”, ma egli non solo fece un distinguo fra quella romana e quella greca, ma focalizzò la sua attenzione su quest'ultima suddividendola in quattro epoche, caratterizzate ognuna da uno stile peculiare: l'infanzia, la maturità, la vecchiaia e la decadenza.

L'Apollo del Belvedere (secondo Winckelmann, "il più alto ideale artistico fra tutte le opere dell'antichità sfuggite alla distruzione") in una foto storica

L'Apollo del Belvedere (secondo Winckelmann, "il più alto ideale artistico fra tutte le opere dell'antichità sfuggite alla distruzione") in una foto storica

Foto: Pubblico dominio

Come strumenti di studio, accanto all'osservazione delle statue, Winckelmann si rifece alla letteratura, in particolare a Plinio e Vitruvio. Nella sua idea, le opere d'arte si sarebbero dovute restaurare seguendo una tecnica mimetico-riscostruttiva, ovvero orientata a preservarle nel rispetto di quanto erano state originariamente e senza idealizzarle.

Winckelmann diede un contributo fondamentale anche nel campo della museologia, che egli concepiva come uno spazio didattico ordinato cronologicamente e stilisticamente, al fine di conservare i cimeli ma anche educare il senso estetico della borghesia. Con la pubblicazione di diverse opere, in particolare Storia dell'arte nell'antichità (1764), la sua fama si andò a consolidare sempre più in tutta Europa, contribuendo a formare il gusto neoclassico.

Thomas Dundas, futuro primo barone Dundas (1764); Aske Hall, Richmond. Sullo sfondo del dipinto si scorgono le tre sculture classiche predilette da Winckelmann: l'Apollo del Belvedere, il Laocoonte e l'Antinoo

Thomas Dundas, futuro primo barone Dundas (1764); Aske Hall, Richmond. Sullo sfondo del dipinto si scorgono le tre sculture classiche predilette da Winckelmann: l'Apollo del Belvedere, il Laocoonte e l'Antinoo

Foto: Pubblico dominio

Una tragica fine

Nel 1768, dopo aver pubblicato Monumenti antichi inediti e Trattato preliminare del disegno, Winckelmann tornò per qualche tempo in patria. Rientrando si fermò a Vienna, dove fu ricevuto con grandi onori dall'imperatrice Maria Teresa in persona. Questa, in segno di stima, gli donò delle medaglie in oro e argento. All'incontro era presente anche il fidatissimo ministro degli esteri, von Kaunitz.

Sulla via del ritorno, l'archeologo fece sosta a Trieste, all'epoca città dell'impero asburgico, e da lì aveva intenzione d'imbarcarsi per Ancona per tornare poi a Roma. Trieste non doveva essere altro che una tappa di passaggio, ma egli perse l'imbarco e dovettere restare in città. Prese dunque alloggio presso la centrale Locanda Grande sotto il nome di Giovanni, e non fece alcun passo per conoscere le autorità cittadine che senz'altro lo avrebbero accolto con gli onori del caso.

Ritratto di Johann Joachim Winckelmann su paesaggio classico (dopo il 1760). Castello reale di Varsavia

Ritratto di Johann Joachim Winckelmann su paesaggio classico (dopo il 1760). Castello reale di Varsavia

Foto: Pubblico dominio

Presumibilmente durate un pasto (all'epoca nelle locande si pranzava a un grande tavolo comune con tutti gli altri ospiti) conobbe il suo vicino di stanza, Francesco Arcangeli, un cuoco toscano giunto da poco da Vienna dopo una condanna di un anno ai lavori forzati per furto. Pur diversissimi per ceto sociale, cultura e interessi, i due fecero amicizia e presero a frequentarsi assiduamente negli otto giorni che seguirono. Forse Winckelmann sperava di trovare un imbarco per Ancona grazie ad Arcangeli, e forse questi sperava che lo studioso gli avrebbe trovato un lavoro.

La mattina dell'8 giugno 1768, in seguito a un litigio, il toscano aggredì Winckelmann, e dopo aver tentato di strangolarlo con una corda lo pugnalò al petto per cinque volte. Sentite le urla, un cameriere, Andrea Harthaber, accorse e trovò l'aggressore col coltello in mano inginocchiato accanto al moribondo. Accortosi della sua presenza, Arcangeli scappò dalla locanda e dalla città, dirigendosi in Istria. Alcuni giorni dopo venne fermato dalla polizia mentre percorreva la strada tra Fiume e Lubiana. Identificato e arrestato, confessò subito il delitto e, ricondotto a Trieste, venne condannato a morte il 18 giugno.

Winckelmann invece morì poche ore dopo. Prima di spirare ricevette i sacramenti e fece testamento nominando erede il cardinal Albani e facendo alcune donazioni, una delle quali in favore dei poveri di Trieste.

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Le ipotesi

Sulle motivazioni dell'omicidio vennero fatte diverse ipotesi. La prima ruotava attorno al furto delle monete ricevute dall'imperatrice. In fondo, Arcangeli aveva già rubato in precedenza. Ma perché avrebbe dovuto uccidere? Non era stato colto di sorpresa, visto che si trovava sin dall'inizio nella stanza assieme all'archeologo. Forse aveva ricevuto delle avances da Winckelmann? Ma allora perché questi gli avrebbe gridato contro accusandolo di essere una spia, stando a quanto riferito dal cameriere e dallo stesso aggressore? Inoltre, il giorno prima Arcangeli aveva comprato il coltello e la corda, per cui era plausibile una premeditazione.

Anton von Maron, Ritratto di Johann Joachim Winckelmann (1768). Castello di Weimar

Anton von Maron, Ritratto di Johann Joachim Winckelmann (1768). Castello di Weimar

Foto: Pubblico dominio

Un'ipotesi particolarmente interessante potrebbe risalire al ruolo svolto da Winckelmann alla corte di Vienna: forse era il latore di un carteggio segreto fra il cardinal Albani e Maria Teresa, che in quel periodo stava estromettendo i gesuiti del suo impero dalle posizioni di rilievo. Questo spiegherebbe sia le accuse di spionaggio rivolte all'Arcangeli sia l'interesse costante che il ministro von Kaunitz dimostrò nel corso di tutte le indagini, chiedendo fra l'altro che gli venissero spediti gli effetti personali della vittima per poterli visionare prima di finire delle mani di Albani, legittimo erede.

Un'ulteriore (fantasiosa) congettura vorrebbe Winckelmann morto per cause naturali già a Vienna, e poi sostituito da un impostore in combutta con Arcangeli. Giunti a Trieste, i due avrebbero litigato per questioni venali che avrebbero portato al regolamento di conti. Qualunque sia la verità, probabilmente non la sapremo mai.

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